Il ricatto verde

per Fabio Belli

Il cosiddetto “Green Pass” viene considerato come la panacea di tutti i mali conseguenti alla dichiarata pandemia.

Oltre ad essere un dispositivo lesivo della privacy, discriminatorio e anticostituzionale, è anche inutile agli scopi che si prefigge di raggiungere.

Per quanto riguarda la privacy, ci ha pensato il Garante, che già aveva espresso perplessità, tuttavia nei giorni scorsi è intervenuto nel bloccare Mitiga, l’applicazione utilizzata per il tracciamento durante la finale di Coppa Italia e che qualcuno pensava bene di usare anche in altri eventi culturali o sportivi. Come infatti hanno dichiarato i suoi sviluppatori, aveva un meccanismo uguale a quello del “Green Pass”, per cui il Garante ha sentenziato che “non esiste al momento una valida base giuridica per il trattamento di dati, anche particolarmente delicati come quelli di natura sanitaria”.

C’è poi da considerare il chiaro e lampante aspetto anticostituzionale e discriminatorio, quest’ultimo non certo degno di una società dominata dal mantra dell’inclusione a tutti i costi dove si trovano criticità persino nelle parole “madre” e “padre”, che qualcuno ha pensato anche di poter sostituire con “genitore 1” e “genitore 2”!

L’anticostituzionalità, collegata alla discriminazione stessa, è data in primis dall’articolo 3 che recita: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali…”. Pertanto lo status personale previsto dal “Green Pass” non può essere di privilegio.

Ma quale privilegio documenterebbe questo fantomatico lasciapassare da reputarlo così utile ed efficace? Come è noto sono previste tre condizioni opzionali.

La prima è quella della guarigione, fissata in un periodo massimo di sei mesi, lungi da fare le veci delle “viro-star televisive” onnipresenti, non è ancora sicura la durata di questi anticorpi nel nostro organismo, quindi è quantomeno azzardato mettere un periodo così empirico.

La seconda è quella del tampone. Essere negativi 48 ore prima di un viaggio, non è garanzia di esserlo nei giorni successivi dove possiamo contrarre il virus e contagiare. Il test potrebbe casomai avere senso per l’accesso temporaneo in un locale, tuttavia la considero una misura in stile “apartheid”.

La terza è quella della vaccinazione, per la quale nessuno studio certifichi la totale immunizzazione sebbene inibisca più o meno efficacemente i sintomi della malattia. Ad ogni modo non è tuttora dimostrato che i vaccinati non contagino gli altri, anzi una miriade di casi documentati recenti fanno presagire proprio il contrario.

Pertanto il “Green Pass”, da molti ambito come irrinunciabile strumento di libertà, oltre ad essere a tutti gli effetti un dispositivo che attribuisce diritti già sanciti dalla Costituzione, ha l’unico scopo di fungere da misura subdola, surrogata e ricattatoria ad un obbligo vaccinale che, almeno per ora, non può essere attuato.

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