Il rugby e l’immortalità del nome

per domenico argondizzo
Autore originale del testo: Giampiero Buonomo
Fonte: L’Ago e il Filo
Url fonte: http://www.lagoeilfilonline.it/il-rugby-e-limmortalita-del-nome/

di Giampiero Buonomo 30 gennaio 2015

La traduzione italiana della union scrum, nel gioco del rugby, è “pacchetto di mischia”: un piccolo gruppo, fortemente motivato, lanciato verso il possesso dell’ovale, dal quale dipende poi tutta la successiva evoluzione della partita, con seguito di apertura della mischia, di lanci e di finale deposito oltre la linea di fondo.

Come per gli asparagi e l’immortalità dell’anima, nel delizioso apologo di Achille Campanile, non si capirebbe come queste tecniche sportive possano accostarsi ad eventi seri come l’elezione del Capo dello Stato in una repubblica parlamentare, cioè l’evento laico più vicino ad un conclave (che attribuisce ad un umano l’immortalità del nome). Proveremo quindi a farci aiutare da uno schema, tratto dall’elezione-archetipo della Prima repubblica, quella che portò Sandro Pertini al Quirinale:

SCRUTINI PRESIDENZIALI DEL 1978

19

27

27

506

501

487

436

434

437

429

420

427

424

418

406

14

ASTENUTI

79

48

48

77

70

73

136

142

124

106

91

101

88

76

92

121

BIANCHE

19

2

4

4

2

3

2

1

4

3

2

1

2

1

1

1

NULLE

5

13

8

8

4

3

6

4

12

10

9

8

6

10

9

7

DISPERSI

392

383

351

GONELLA

6

2

2

C.  MORO

3

2

2

E. MORO

2

4

15

ZACCAGNINI

1

2

2

2

2

2

3

7

FANFANI

2

FORLANI

3

TAVIANI

2

SCALFARO

3

SANDULLI

2

6

2

BRANCA

1

2

BOFFARDI

2

BASTIANI

3

MESSINA

339

337

339

355

358

350

357

358

357

355

355

354

364

355

347

4

AMENDOLA

3

4

3

2

3

2

2

TERRACINI

88

86

81

NENNI

2

9

6

8

2

GIOLITTI

9

2

2

BOBBIO

3

4

2

BALLARDINI

1

4

19

35

9

DE MARTINO

15

18

2

4

3

2

3

MARIOTTI

2

5

4

4

4

VASSALLI

 

 

5

 

6

10

4

 

 

2

 

 

 

3

5

832

PERTINI

3

LEPRE

3

11

10

11

15

13

15

17

17

17

21

22

18

18

15

2

P. ROSSI

26

27

25

CONDORELLI

3

6

BIRINDELLI

2

5

MADIA

5

2

SELVA

2

4

DALLA CHIESA

2

2

LA MALFA

2

BAFFI

20

21

20

PARRI

4

5

4

4

4

4

4

3

CEDERNA

2

BETTIZA

15

35

2

3

2

16

15

12

11

10

12

10

9

9

BOZZI

 

         Dopo il rituale ossequio ai “candidati di bandiera” dei maggiori partiti, nei primi tre scrutini, l’unico grande partito a mantenere il suo in pista fu il PCI con Giorgio Amendola: DC e PSI si rifugiarono in una tecnica consueta quando non c’è accordo, cioè “impedire” ai grandi elettori di esprimersi.

         In proposito, la tecnica fino ad allora usata era stata quella della scheda bianca. Una tecnica, però, che aveva ricevuto un durissimo colpo proprio sette anni prima, e proprio ad iniziativa dell’allora presidente della Camera, Sandro Pertini.

Nel 1971, in occasione dello stallo (tutto endo-DC) tra Leone e Fanfani, la direzione della Democrazia cristiana volle garantirsi da diserzioni – rispetto alla scelta di non scegliere (ancora) – imponendo la scheda bianca. In una delle prime dirette televisive della storia televisiva d’Italia, fu offerto al Paese il deprimente spettacolo degli whips della Balena bianca che si accalcavano sui banchi del Governo, a ridosso del corridoio sotto la Presidenza. Quel rito laico del quale le più antiche democrazie sono fiere – del parlamentare che riceve dal Commesso la scheda ad inizio corridoio, la compila e la depone a fine corridoio nell’urna presidiata da un altro Commesso – fu sfregiata dall’inquietante visione dei Grandi elettori, chiamati dal whip a mostrare la scheda aperta prima di piegarla e riporla nell’urna. Con la foga di chi scaccia i mercanti dal tempio, il Presidente della Camera ordinò di far cessare quello sconcio, allontanando le “fruste” dai dintorni del corridoio ed accelerando l’esito della scelta: garantiti dalla Presidenza, i Grandi elettori deposero nell’urna schede di cui non si sapeva più se fossero state vergate e, soprattutto, con quale nome. Ne uscì il nome di Giovanni Leone, ma, soprattutto, ne uscì una reputazione di adamantina credibilità, di cui Pertini seppe giovarsi, sette anni dopo.

Tornando al 1978, al banco di Presidenza, stavolta, sedeva Pietro Ingrao, ma lo smaliziato predecessore conosceva assai bene tutte le tecniche della votazione a scrutinio segreto. In primis, quindi, occorreva dimostrare di esserci: “asciugando” le bianche e le astensioni con un “pacchetto” di pochi voti, che all’occorrenza potevano spostarsi su candidati occasionali, allo scopo di mostrare – nelle negoziazioni a latere delle votazioni – che erano voti proprio “fidati”. Una piccola falange, appunto: un pacchetto azionario con cui scalare il flottante ed irreggimentare il parco-buoi, se si vuole usare una metafora borsistica. In effetti, era la condotta di voto più spregiudicata ma anche, a ben vedere, più comune tra i cripto-candidati: quelli che non osavano esporre il loro nome pubblicamente se non come fiumi carsici, riaffioranti in alcune votazioni per poi tornare a sommergersi in altre, camuffandosi con nomi scelti all’uopo.

Il “pacchetto di mischia” di Antonio Giolitti e di Francesco De Martino peccavano, rispettivamente, per incostanza (alta) o per dimensione (elevata). Quello di Pertini (probabilmente in tandem con Giuliano Vassalli) aveva, invece, il pregio delle piccole imbarcazioni inglesi al largo di Plymouth, contro l’Invincibile Armata: costante (sempre presente, quindi in grado di mostrare indipendenza rispetto all’ordine di non votare) e proteiforme (in grado di infliggere colpi d’immagine, con simil-candidati di prestigio che si prestavano); in più, era modesto di numero (quindi non preoccupante, per chi temesse intese negoziate direttamente dal candidato, fuori delle “centrali” partitiche nazionali). Tutti requisiti che mancavano ai pur esistenti pacchetti democristiani – già seriamente danneggiati dalla perdita di un regista come Aldo Moro (come con tutta onestà riconobbe lo stesso Pertini, nel suo discorso di insediamento) – e comunisti (in cui la scelta del “destrorso” Amendola non aveva prodotto la capacità attrattiva desiderata, portando all’inverso ad un principio di dissanguamento colto con immediatezza dalla dirigenza di Botteghe oscure). Il risultato fu quello di un’elezione genuinamente parlamentare, cioè alla quale le segreterie dei partiti furono “accompagnate” dai voti parlamentari, e non viceversa.

La tecnica di votazione è cambiata – poiché dal 1992 a metà del corridoio di Montecitorio fu fatto collocare da Scalfaro il “catafalco” (poi sostituito dalle tre piccole “cabine ad orecchio” che attualmente sono a mezzo di tre corsie, ricavate anche dai due banchi del governo) – ma i comportamenti politici sono i medesimi: il braccio di ferro tra le segreterie dei partiti ed il principio dell’indipendenza del parlamentare nel voto conosce nuove forme, ma l’eterna dialettica tra divieto di mandato imperativo e sua negazione partitica non viene meno. Lo si è visto negli scrutini andati a vuoto all’inizio di questa legislatura, quando un gruppo politico scelse di cautelarsi (dall’accusa di aver “cecchinato” Prodi nel segreto dell’urna, che evidentemente giudicava probabile) vergando la scheda con il cognome del candidato preceduto dall’iniziale (puntata) del nome: cautela opportuna, che consentì di respingere al mittente l’accusa. Anche lì il principio dell’identificabilità del voto fu sottoposto ad un notevole stress, ma la scelta della Presidenza di leggere la scheda nella sua interezza ne sanò, in qualche modo, l’anomalìa.

Si spera che le elezioni che stanno iniziando mettano a frutto il buono che c’è nei precedenti, e dismettano il meno buono: ciò nella consapevolezza che, nell’incertezza o nello stallo dei partiti e delle loro dirigenze, riprendono vita le tecniche parlamentari nella loro poliedrica varietà. In linea di principio, avere un Presidente eletto con il consenso delle segreterie è buona cosa, perché garanzia di consonanza tra indirizzo politico di maggioranza, indirizzo politico costituzionale e funzione di rappresentanza dell’Unità nazionale. Ma, proprio per questo, il libero convincimento dei Grandi elettori è il punto di caduta, in cui questo consenso trova il suo inveramento. Proprio come il voto dei cardinali, in conclave, segue l’intonazione del Veni Creator Spiritus e precede la scelta del nome, con il quale il candidato passa all’immortalità.

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