Il socialismo della Domenica. Un radioso pensierino prima di prender sonno

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Fausto Anderlini

di Fausto Anderlini – 12 settembre 2018

Tutto si risolse fra i ’70 e gli ’80. La linea berlingueriana dell’austerità auspicava un modello di società più frenato dal lato dei consumi individuali e più spostato sui consumi ‘collettivi’. Più lavoro produttivo, con l’allargamento della base produttiva, unito a più lavoro riproduttivo avrebbero dovuto risolvere le strozzature dell’economia italiana, prima fra tutte il divario nord/sud. Ma c’è da dire che questa linea non incontrò un grande fervore popolare. L’ideologia del lavoro fu variamente contestata da un nascente desiderio di modi di vita più flessibili e individualizzati. Quando il sindacato sottopose alla base dei lavoratori la scelta di una settimana lavorativa basata su sei giorni con riduzione dell’orario giornaliero (un orientamento che tendeva ad armonizzare nella stessa unità giornaliera tempo libero sociale, tempo riproduttivo e tempo di lavoro) l’opzione abbracciata a gran voce fu quella della settimana corta. Nel segno del mito del week-end. A partire dagli ’80 si afferma la proprietà della casa, un processo che si compie ai nostri giorni saturando quasi l’80 % delle famiglie, laddove ancora all’inizio dei ’70 la quota dei proprietari non arrivava al 20 %. Una società di micro-proprietari immobiliari posti in relazione da scabrose riunioni condominiali si è sostituita a una popolazione di affittuari legati da un rapporto solidale. Una trasformazione di portata sconvolgente che ha trasformato in profondità il rapporto con l’ambiente e fra gli individui. Nel contempo è dilagata la preferenza per la dimora isolata suburbana: una spinta, assieme ad altre, che ha sostenuto l’onda gigantesca dello sprawl suburbano con la conseguenza di una vasta erosione territoriale. Il processo di individualizzazione e privatizzazione di spazi sempre più ampi dell’esistenza ha portato infine all’implosione degli spazi pubblici: piazze, centri civici, ambiti i più vari di partecipazione e fruizione collettiva, anelli cruciali nella connessione fra vita privata e vita pubblica. Oggi va di moda accusare l’immigrazione di aver reso insicuro lo spazio pubblico, degradandolo, ma in realtà se ciò ha un qualche fondamento è solo perchè quello spazio era già stato svuotato. Per poi essere surrogato da una generale mercatizzazione. Oggi lo spazio pubblico per antonomasia è il centro commerciale, più spesso decentrato è strutturato, come in molti outlet, come una sorta di città incastellata. Ma anche i centri storici, che vorrebbero contrapporre la loro realtà densa di storia ai nuovi simulacri, sono essi stessi evoluti come outlet a cielo aperto. Quando tempo orsono feci una ricerca su un quartiere di Bologna (Borgo Panigale, con una radicata tradizione popolare e di sinistra) e alla richiesta di indicare l’elemento simbolico figurale più rappresentativo del quartiere la maggioranza degli intervistati indicò l’outlet del ‘Centro Borgo’.
Ora mi mancano gli elementi per valutare l’impatto specifico dell’annunciata chiusura domenicale dei centri commerciali. Ho comunque serie perplessità che essa possa produrre una reversione del modello. La chiusura domenicale di queste cattedrali di vita sociale alienata e solitaria, ma con diverse subordinate utilitarie (dall’aria condizionata per gli anziani, ai giochi per bambini, alla vasca indoor fra le scaffalature e le griffes, alla possibilità di andare in bagno senza essere vessati come accade in molti esercizi pubblici), non ripristinerà di certo i rituali tradizionali, familiari e religiosi del dì di festa, e men che meno rilancerà i piccoli negozi vicinali. Più facile scateni un’ansia nevrotica surrogatoria. Cionondimeno è vero che il processo di privatizzazione, mercatizzazione e individualizzazione ha toccato il suo limite. Non solo perchè c’è sempre più gente priva di potere d’acquisto, ma perchè c’è sempre più gente annoiata. Ed anche per questo, in mancanza di alternative, incline all’aberrazione violenta, anzichè a una rilassata scholé. Basta vedere quanti energumeni si vedono in giro. Bisognerebbe avere il coraggio e la forza di rilanciare, sebbene aggiornato, quel discorso che Berlinguer iniziò alla fine dei ’70 e che finì invece in disgrazia. Spostare il pendolo del rapporto fra i consumi dal lato di quelli collettivi e fare di questi il volano di una possibile crescita economica. Bisognerebbe cioè avere il coraggio di delineare alcuni degli elementi di una società diversa. Un altro modo di vivere di luxury. Un’altra idea di sovranità. Elementi di socialismo…

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