Fonte: La stampa
Ilaria Salis: “Vittima di ingiustizia”. Prima intervista da Budapest dopo la concessione degli arresti domiciliari: «Non voglio essere giudicata per le idee politiche. Se eletta mi occuperò dei detenuti»
«So di essere dalla parte giusta della Storia». Dalla sua cella nel carcere di Gyorskocsi Utca, a Budapest, dentro cui è rinchiusa da quindici mesi in un regime di massima sicurezza, Ilaria Salis racconta la sua verità. Quella di una donna di 39 anni che si sente «vittima di un’ingiustizia», che reclama un «processo in cui mi siano garantiti i diritti fondamentali» e che non vuole che la sua storia e le sue convinzioni politiche diventino la sua stessa condanna.
È la prima volta che Ilaria Salis ha l’opportunità di comunicare con l’esterno. Se l’è ricavata giorno dopo giorno, nei pochissimi minuti in cui le è consentito di parlare con suo padre Roberto. A lui abbiamo fatto arrivare le nostre domande. E lui, poco alla volta gliele ha trasmesse a voce. Allo stesso modo ha raccolto le sue risposte. Ilaria Salis non può ricevere visite, non ha diritto a leggere i giornali, non ha accesso a Internet. Sa poco o nulla di quel che accade nel mondo da quindici mesi. L’unica sua finestra sul mondo sono le conversazioni con suo padre – quasi sempre monopolizzate da questioni pratiche – e la tv ungherese che i detenuti possono guardare in alcuni momenti e che ha imparato a capire.
Ha risposto ad alcune domande. Ad altre non ha voluto, ad altre ancora non ha potuto. «Ha paura: per la sua incolumità fisica e per il suo destino processuale», racconta il padre Roberto. «Ogni sua parola rischia di ritorcersi contro di lei, forse anche di chiudere quell’esile spiraglio che si è aperto qualche giorno fa». La prossima settimana uscirà dalla cella in cui è tenuta dall’11 febbraio dello scorso anno. Andrà agli arresti domiciliari, a Budapest, e da lì ricomincerà la sua battaglia in tribunale, dove rischia una condanna a 24 anni. La accusano di aver aggredito, insieme ad altre persone, alcuni neonazisti nei giorni in cui migliaia di militanti di estrema destra da tutta Europa si erano radunati in Ungheria per festeggiare la ricorrenza che celebra il battaglione nazista che nel 1945 tentò di impedire all’Armata Rossa di assediare Budapest.
Anche della sua detenzione non parla: dei ceppi con cui l’hanno trasportata in tribunale, degli assorbenti e della carta igienica che le sono stati negati per giorni, dei vestiti inviati dalla famiglia che le sono stati consegnati dopo un mese, dei panni sporchi che per settimane ha dovuto usare per asciugarsi dopo la doccia perché non aveva altro. Oltre i domiciliari ci sono le elezioni europee: ha accettato la candidatura offerta da Alleanza Verdi-Sinistra che potrebbe garantirle l’immunità riconosciuta agli europarlamentari. Ed è proprio da questa decisione che è cominciata la nostra intervista.
Perché ha scelto di candidarsi?
«Voglio trasformare questa mia vicenda in qualcosa di costruttivo non solo per me. Vorrei potermi dedicare a una cosa che mi sta molto a cuore: la tutela dei diritti umani».
C’è chi pensa che questa sovraesposizione potrebbe nuocere alla sua vicenda giudiziaria. Altri che voglia scappare dal processo garantendosi l’immunità. Che cosa risponde?
«La mia situazione giudiziaria non può e non deve essere pregiudicata o aggravata dalle mie posizioni politiche».
È quel che sta accadendo?
«Se ciò avvenisse sarebbe un fatto molto grave. Non è mia intenzione sottrarmi, ma difendermi all’interno di un processo in cui siano garantiti i diritti fondamentali, il principio di proporzionalità e la presunzione di innocenza».
Se eletta siederà al Parlamento europeo. Che cosa è per lei l’Europa oggi? E che cosa dovrebbe essere?
«È difficile dire cosa sia l’Europa oggi senza considerare la sua storia. Quando si parla di immigrazione, ad esempio, dobbiamo tenere a mente cosa sono stati il colonialismo e la decolonizzazione. La storia del ’900 ha mostrato dove possono portare nazionalismo e guerra e per quasi mezzo secolo una cortina di ferro ha separato due sistemi politici, economici, sociali e culturali contrapposti. L’Europa di oggi affonda le sue radici in queste vicende: facendo i conti con il proprio passato troverebbe certamente spunti per affrontare il presente e costruire il proprio futuro».
Quale futuro auspica lei?
Sì è sentita sostenuta e aiutata dal governo italiano nella sua vicenda giudiziaria?
«Preferisco non rispondere».
Ritiene che la vicinanza tra alcuni partiti della maggioranza in Italia e il premier ungherese Orban abbia pesato in qualche modo?
«Anche in questo caso preferisco non dire niente».
Da mesi vive in uno stato di privazione. La condizione dei detenuti è un tema drammatico, anche in Italia. Come ci si sente dentro una cella?
«Se sarò eletta farò in modo che chi si trova in situazioni di ingiustizia come la mia non sia lasciato solo. Credo sia importante dare visibilità e voce al mondo delle carceri. Un mondo dimenticato in cui vivono e muoiono uomini e donne, in un rapporto considerato come corpo estraneo e non facente parte della società. Il tema dei detenuti fa parte di un discorso più ampio: la tutela dei diritti fondamentali della persona. Voglio dedicarmi a sostenere uomini, donne e bambini vittime di ingiustizie, sfruttamento, violenze, guerra, povertà e discriminazioni».
Ha saputo del dilagare delle proteste nelle università di Stati Uniti ed Europa contro le operazioni militari nella striscia di Gaza?
«Ho visto le immagini delle proteste nei telegiornali ungheresi. È rincuorante che gli studenti non siano rimasti in silenzio davanti al massacro quotidiano di civili, la fame e le bombe che si abbattono sulla striscia di Gaza».
Lei è un’insegnante, cosa pensa di questa mobilitazione? Ha ragione chi contesta i metodi degli studenti?
«Da insegnante credo che la formazione di una persona non si esaurisca nello studio. È fondamentale che i ragazzi si abituino a riflettere sul mondo che li circonda. In un’epoca in cui il pianeta e la società mutano più rapidamente che mai il contributo dei giovani e la loro partecipazione politica sono particolarmente preziosi».
A che cosa si è aggrappata in questi mesi di prigionia per restare a galla?
«Fin dal primo giorno ciò che mi ha dato il coraggio e la speranza per andare avanti a testa alta è la consapevolezza di essere dalla parte giusta della Storia. La mia forza cresce di giorno in giorno grazie alla solidarietà e ai pensieri che ricevo da compagne e compagni, familiari e persone che mi vogliono bene».
Che cosa farà il giorno in cui uscirà dal carcere?
«Per prima cosa abbraccerò finalmente le persone a cui voglio bene. Poi mangerò una pizza».