di Alessandro Gilioli su L’Espresso 25 giugno 2014
Mentre l’Italia si indignava per l’espulsione di Marchisio e il morso di Suarez, il ministro Boschi si incontrava con Matteoli e Verdini per blindare la riforma costituzionale del Senato. Blindare vuol dire assicurarsi i voti di oltre i due terzi dei senatori: non sia mai che i cittadini vengano consultati con un referendum per sapere se tale modifica è di loro gradimento. (post lunghetto, chi è di corsa molli qui)
Così andrà, pare: Pd, Forza Italia, Lega e centristi messi insieme sfondano di parecchio la soglia in questione, sicché se anche i malpancisti democratici Chiti & co. dovessero avere le palle per unirsi a Sel e M5S nel no, è probabile che non serva a nulla.
Curioso che a tutto ciò si arrivi senza che nessuno abbia spiegato ancora agli italiani perché un ramo del Parlamento non debba essere elettivo. Cioè quali vantaggi questa non elettività apporterebbe al Paese, alla democrazia, alla rappresentanza.
Finora l’unica motivazione che ho sentito è che un Senato composto da consiglieri regionali e sindaci costerebbe meno, perché questi senatori non sarebbero stipendiati per la loro seconda funzione. Già di per sé l’argomentazione è debole, ma lo diventa ancora di più se messa al confronto con altre proposte: ad esempio quella di Chiti (che riduce il numero complessivo dei parlamentari a 415, quindi comporta risparmi maggiori rispetto a 630 deputati che continueranno a costare come prima, nel disegno Boschi-Renzi) o quelle che ipotizzano un taglio sia dei parlamentari sia dei loro emolumenti.
Altre ragioni per rendere il Senato non elettivo non ne ho ancora ascoltate: se qualcuno ne conosce, ci faccia sapere.
In compenso la non elettività del Senato comporta effetti di altro tipo: ad esempio, che l’assemblea di palazzo Madama sarà composta da 5 senatori scelti dal Quirinale, 21 sindaci e, soprattutto, 74 consiglieri regionali selezionati tra i 1014 eletti a tale carica nelle venti regioni italiane. Selezionati come? Con precisione lo sapremo solo quando verrà emenata la legge ordinaria che seguirà quella costituzionale, ma – quale che sia la soluzione tecnica – in questa selezione saranno fondamentali le decisioni o pressioni dei vertici dei partiti a livello regionale o nazionale. In altre parole: i futuri senatori non saranno scelti dai cittadini ma dai partiti. O meglio: i cittadini ne sceglieranno come sempre mille, come amministratori locali, ma non avranno voce in capitolo su quali 74, tra quei mille, saranno anche senatori.
Ora, certo: in questo Paese siamo piuttosto abituati a non scegliere i parlamentari, dopo otto anni di Porcellum. Tuttavia (anche a seguito dello stesso Porcellum) si è da tempo creato un vasto e trasversale movimento d’opinione – a parole condiviso da tutti i partiti – secondo il quale quel meccanismo lì (parlamentari scelti più dai partiti che dai cittadini) non era tanto bello, perché allontanava le persone comuni dal palazzo, perché allungava la distanza tra deleganti e delegati. In sostanza, perché diminuiva la legittimità democratica di chi occupava (e occupa) una carica politica.
Più in generale, se vediamo tutto quello che è successo in Italia (ma non solo) negli ultimi vent’anni, notiamo che la direzione più virtuosa e sentita era il maggiore coinvolgimento dei cittadini. Ad esempio, attraverso l’elezione diretta dei sindaci anziché quella intermediata dai consigli comunali che si aveva fino al 1993; ad esempio attraverso le primarie, che da noi hanno debuttato nove anni fa con Prodi e che poi hanno avuto effetti anche fuori dal centrosinistra (perfino la Lega le ha in qualche modo adottate); ad esempio, con le parlamentarie grilline, ridotte quanto volete nel numero dei votanti ma che tuttavia hanno permesso alla base di mandare a Roma persone non scelte dall’alto. E così via: il principio è che per legittimare la democrazia rappresentativa bisogna rendere più stretto e interattivo il rapporto tra cittadini ed eletti; bisogna insomma ridurre la distanza tra persone e palazzo.
Ecco: questa riforma del Senato va nella direzione opposta.
E a me, con rispetto, pare un po’ fallace anche l’argomentazione “tanto il nuovo Senato non conterà niente”. Mi pare fallace intanto per il principio: se creiamo un nuovo organo dello Stato con il presupposto che non conti niente, forse siamo ubriachi. Ma comunque non è esattamente così, perché il nuovo Senato – salvo modifiche – invece qualche potere significativo l’avrà: non nella fiducia al governo, ma nel “filtro consultivo” rispetto alle leggi ordinarie passate alla Camera, nelle future modifiche costituzionali ed elettorali, nella scelta del Presidente della repubblica e dei membri della Consulta. Insomma non è un organo decorativo: quindi non mi sembra che la sua presunta non incidenza sia un motivo sensato per sottrarlo o allontanarlo dalla scelta dei cittadini.
Ma, come ho scritto più volte, il problema della rappresentanza democratica va oltre la riforma del Senato perché si intreccia con quella della Camera, che invece procede con legge ordinaria.
E qui il problema si ripropone: i listini bloccati previsti dall’Italicum infatti non sono esattamente il modo migliore per allargare la possibilità di scelta della propria rappresentanza da parte dei cittadini. Certo, un listino di cinque o sei persone è meglio del listone del Porcellum, ma porta comunque l’elettore a una scelta “obbligata”: se gli piace il primo in lista (presumibilmente il leader del partito, si chiami Berlusconi o Renzi) deve votare anche tutti gli altri, compreso il terzo o il quarto che magari è un portaborse, un inquisito, un ricattatore o semplicemente un incapace. Il quale diventerà deputato – e potrà fregiarsi del titolo di rappresentante dei cittadini – senza che nessuno davvero lo abbia scelto. Entrerà in scia, come quelli che si mettono dietro le ambulanze. Il testo dell’Italicum passato alla Camera permette inoltre le candidature multiple: quindi, per capirci, il leader acchiappavoti può essere messo capolista in più collegi e i portaborse-inquisiti pure, così il capopartito può farli poi entrare grazie al meccanismo dell’opzione.
Di nuovo: dopo anni di Porcellum, siamo abbastanza vaccinati. Ma con l’Italicum è certo che almeno una parte di deputati non saranno di fatto scelti dai cittadini (che magari manco sanno chi sono i terzi e i quarti in lista: votano il nome del primo) quindi si perpetua una carenza di legitimità democratica dell’assemblea dei deputati nel loro complesso; e si mantiene una distanza lunga tra cittadini e palazzo.
Se poi ci mettiamo anche che l’Italicum porta la soglia di sbarramento dei gruppi non coalizzati all’8 per cento (la più alta d’Europa, Turchia esclusa), vediamo che si aggiunge al pasticcio pure una extraparlamentarizzazione delle minoranze (non proprio insignificanti: parliamo di quasi tre milioni di voti) i cui effetti in termini vuoi di diminutio della rappresentanza vuoi di scontro sociale non sono al momento prevedibili.
Insomma, per farla breve: riforma del Senato più Italicum uguale scarsa legittimità democratica del Parlamento e soprattutto inversione di tendenza rispetto al declamato percorso di avvicinamento dei cittadini agli eletti.
È un golpe? No, evidentemente: viene tutto fatto secondo Costituzione. È però, nei contenuti e negli effetti, un indietro tutta rispetto alla tendenza e al movimento di pensiero che per vent’anni ha predicato e praticato l’avvicinamento degli eletti agli elettori e l’empowerment della cittadinanza tanto nei partiti e nelle coalizioni (primarie) quanto nelle istituzioni (no al Porcellum).
A me un po’ colpisce che all’interno di quell’ampio e trasversale movimento di pensiero fino a pochi mesi fa ci fossero, senza ombra di dubbio, anche molte persone che oggi non solo sono renziane, ma proprio tra i più stretti collaboratori del segretario-premier. Persone che quando i capataz del vecchio Pd sceglievano i segretari consutandosi tra loro nei corridoi, rimanevano fuori a esporre striscioni per “primarie sempre” e adesso esaltano modelli rappresentativi e istituzionali che vanno nella direzione opposta.
Ma pazienza: a me oggi interessa più spiegare come stanno le cose che polemizzare con chi ha cambiato idea. Purché chi l’ha fatto almeno lo ammetta, di avere cambiato idea: non si sta più dalla parte dell’accorciamento della corda tra cittadini ed eletti, ma da quella del suo allungamento.
Sarebbe poi fantastico se di questo cambiamento d’opinione a 180 gradi, di questo indietro tutta, attori ci fornissero anche una spiegazione, a parte i consueti “siete palude”, “rosiconi”, “professoroni”, etc etc etc: che come argomentazione sul merito dei contenuti, con permesso, è un po’ scarsina