da www.movisol.org 14 mggio 2014
Pochi giorni fa il prof. Giulio Sapelli, noto docente di storia economica all’Università di Milano, ha rilasciato un’intervista a ilsussidiario.net in merito alle rivelazioni contenute nel nuovo libro dell’ex Segretario al Tesoro Usa Timothy Geithner. Si tratta delle richieste fatte ad Obama da alcuni “funzionari europei” – chiaramente un riferimento ad Angela Merkel e Nicolas Sarkozy – per aiutare a far cadere il governo Berlusconi nel 2011. Nell’intervista Sapelli dice una cosa nota a pochi, ma che indica il vero livello dello scontro politico in atto in quel momento: “È stato fatto cadere il governo Berlusconi, ma il vero nemico non era lui, bensì Giulio Tremonti: l’uomo da far fuori era lui”. Sapelli ricorda le iniziative di Tremonti per affrontare la crisi prima che arrivasse, ben documentate nel libro “Uscita di Sicurezza” pubblicato dall’ex Ministro nel gennaio del 2012, e chiaramente non in linea con le politiche promosse dai centri di potere internazionali.
Chi segue la battaglia per la riforma del sistema finanziario internazionale sa che da anni Tremonti si batte per la separazione bancaria sul modello Glass-Steagall, e per nuovi strumenti che permettano il credito agevolato per le imprese produttive e gli investimenti nelle infrastrutture, in contrasto con la visione “mercatista” di quella che chiama la “Repubblica internazionale del denaro”.
Naturalmente, avendo passato diversi anni al Governo, Tremonti è anche oggetto di molte critiche da parte di chi lo vede come co-responsabile della crisi. Ora Tremonti ha pubblicato un nuovo libro, Bugie e Verità: La ragione dei popoli (Mondadori, marzo 2014), in cui affronta nei dettagli la crisi dell’euro e i suoi riflessi in Italia negli ultimi anni, spiegando che cosa è stato fatto da entrambe le parti, per poi proporre un nuovo approccio per far sì che il paese riacquisti la propria sovranità e torni a pesare sulla scena internazionale.
Il libro comincia con una forte critica alle ricette dei tecnici, applicate a partire dagli anni Novanta e poi in modo ancora più intenso con la crisi del 2011. In buona sostanza Tremonti afferma che l’Italia è stata ricattata dalla combinazione fra i mercati finanziari e la Bce, non per via di una presunta emergenza o crisi impellente, ma per farle pagare le perdite delle banche di altri grossi paesi europei. I conti italiani erano in ordine, il sistema previdenziale era stato riformato in modo adeguato; sono state la Germania e la Francia a cercare di “salvare l’euro” facendo pagare il conto all’Italia.
L’esempio più lampante è la contribuzione ai fondi di salvataggio (per esempio l’Esm) utilizzati per coprire i buchi di che deteneva i titoli a rischio di paesi come la Grecia, la Spagna e l’Irlanda. L’Italia paga in misura del 18%, riflettendo la grandezza del proprio Pil nel contesto europeo, ma la sua esposizione verso questi titoli è molto più bassa, circa un decimo di quella di Francia e Germania. In questo modo una bella fetta dei fondi per “salvare” i paesi in difficoltà – soldi che in realtà non hanno aiutato i popoli di quei paesi ma piuttosto sono stati utilizzati per ripagare i creditori esteri – è stata addossata all’Italia, grazie al governo guidato da Mario Monti che invece di fare gli interessi del proprio paese, ha fatto quelli degli altri.
Si era costruita “una falsa catastrofe… perché, e oggi è chiaro, non sono state la Germania e la Francia, con altri, a salvare l’Italia, ma, all’opposto, è stata l’Italia a salvare con altri le troppo esposte banche tedesche e francesi”.
Con osservazioni pungenti l’ex Ministro dell’Economia racconta gli eventi di questi anni, utilizzando il leitmotiv di “calpesti e derisi” per descrivere come vengono visti e trattati gli italiani. La sua risposta è di dire che il paese subisce questa situazione perché i suoi politici (in modo particolare su chi ha sempre sostenuto i tecnici e le loro politiche) permettono, accettano e abbracciano le imposizioni. Perciò “è vitale ricostruire in Italia, con lo Stato, la nostra sovranità nazionale. Non per isolarci ma, al contrario, per riprendere il nostro posto”.
In questo contesto affronta direttamente la questione dell’uscita dell’euro, sempre più dibattuta negli ultimi mesi. Tremonti parte dicendo che “uscire dall’euro è più facile dirlo che farlo… Servirebbe un governo vero e forte…” La sua posizione è che uscire dall’euro sarebbe in realtà molto difficile se non impossibile per il paese. Se non hanno fatto uscire nemmeno la Grecia, cosa farebbero se ci provasse l’Italia? Quali condizioni sarebbero imposte per gli acquisti dall’estero dopo un’eventuale svalutazione? Visto che una fetta del debito pubblico italiano è ancora in mani estere o comunque dipende dall’Europa, “Basterebbe un nulla, un annuncio, una tendenza, per fare saltare tutto. Per esempio, basterebbe cominciare a lavorare contro una banca italiana, magari qui sperimentando di fatto un primo bail-in, per seminare il panico tra la nostra gente”.
Purtroppo l’Italia è “un vaso di coccio” dice Tremonti, e “la ‘battaglia dell’euro’, pur se popolarmente suggestiva nella sua configurazione, dovrebbe comunque essere molto ben preparata, se no potrebbe essere romantica, ma come una carica della cavalleria polacca contro i carri armati, o tragica come un ‘atto assoluto’, come cavalcare una tigre. Può non piacere, si ripete, ma è così”.
Per trovare comunque “una soluzione alternativa all’uscita dell’euro, o preparatoria rispetto a questa”, Tremonti fa una serie di proposte, a partire dal rimpatrio del debito pubblico, che rimuoverebbe l’arma di ricatto che viene utilizzata per costringere l’Italia a seguire i diktat. Una misura che è “necessaria tanto per restare nell’euro, quanto per uscirne”.
Si tratta di far acquistare una fetta significativa dei titoli pubblici agli italiani, dichiarandoli “esenti da ogni imposta presente e futura” e eventualmente fornendo anche ulteriori incentivi per garantire il successo dell’operazione. In questo modo ci si potrà “proteggere contro la forza della speculazione internazionale”, e tornare a far sentire il proprio peso in Europa, piuttosto che subire le imposizioni di paesi come la Germania.
Battersi per i propri interessi, attraverso anche una rinegoziazione del cambio interno, sfavorevole per l’Italia, significa poi prendere una serie di misure per salvaguardare e far crescere l’economia italiana, di cui forniamo qui un elenco parziale:
- gli eurobond, non per fare più debito pubblico ma per ridurre il peso e il rischio della speculazione finanziaria internazionale
- contestare la logica del Fiscal Compact
- l’Italia non deve più contribuire al fondo salvabanche nella misura del 18%, ma in base alla sua reale esposizione al rischio
- proteggere la produzione, a livello europeo
- separazione tra credito produttivo e attività speculativa
- contestare il bail-in
- dare alla Bce il potere di intervenire sul cambio
Infine, Tremonti presenta una lista di interventi basati su quelli elaborati per la campagna elettorale del 2013, quando aveva creato la Lista Libertà e Lavoro (3L); ora si rivolge al centrodestra in generale, per ricostruire una posizione politica basata sulla sua concezione di sovranità e identità nazionali.
In cima alle misure economiche troviamo la creazione di una banca pubblica per l’economia reale, “Credito per l’Economia”, sul modello della tedesca Kfw, la separazione bancaria come già menzionata, e un principio che gli è caro, quello che “tutto è permesso tranne ciò che è vietato”, per vincere il freno del groviglio burocratico.
Nel libro Tremonti tratta numerosi altri punti interessanti, dalla natura della spesa pubblica italiana (in realtà non alta per via delle pensioni o di troppo personale pubblico, che sono in linea con altri paesi europei, ma a causa dell’invecchiamento della popolazione e di problemi nel fornire il welfare) agli effetti disastrosi del decentramento di competenze nazionali attuato nel 1997-1999 e la riforma del Titolo V della Costituzione, che ha introdotto un federalismo caotico portando solo a nuove inefficienze e ad un forte aumento della spesa pubblica.
Il prof. Tremonti ha accettato di rispondere ad alcune domande sui temi proposti nel libro. Le sue risposte sono presentate qui.
È proprio vero che oggi i paesi singoli non possono competere? Gran parte delle potenze economiche sono cresciute così, sebbene nel contesto della cooperazione con altri paesi. Lei vede una necessità di unirsi a livello europeo?
“C’è stata una parte della storia in cui l’Europa è stata unita. È stata unita da un codice linguistico e culturale che era il latino, e intensissime forme di unione economica: i mercanti, le fiere. Nella nostra storia c’è una parte che è di fortissima integrazione; non forzata, ma naturale.
Questa forse è la differenza. Nella nostra storia c’è l’aggregazione, nella storia d’Europa ci sono state fasi di grande aggregazione, dall’età delle grandi vie, l’età dei mercanti, l’età della Chiesa Cattolica, una fede e una lingua.
Questa era la naturale integrazione.
Poi ci sono state anche fasi di forzata integrazione. Da Napoleone al Reich”.
Lei parla molto dell’importanza di introdurre il principio “tutto è libero tranne ciò che è vietato”. Perché serve? Come si differenzia dalla visione di chi vuole la deregulation?
“In Italia la curva della produzione è inversa rispetto alla curva della legislazione. Quando la legislazione comincia a crescere la produzione comincia a decrescere. Se vuole è una provocazione, ma non è che negli anni Sessanta ci fosse la barbarie”.
Lei affronta direttamente la questione dell’uscita dall’Euro. Come risponderebbe a chi dice che è troppo pragmatico, che punta troppo in basso?
“Una delle cose serie, per esempio, sarebbe di cambiare il cambio.
Primo, uscire dall’euro sarebbe come cavalcare una tigre. Alle pulsioni radicali, non prive di fondamento, bisognerebbe anche rispondere alla domanda: quale governo firma, quale comunità nazionale firma le nuove banconote? Chi è capace di firmarle?
Secondo, non ci fanno uscire. Prima ci fanno saltare una banca.
Però proprio perché siamo dentro abbiamo un enorme potere. Certo adesso siamo nella fase in cui c’è solo un blocco di interessi – noi non usiamo i nostri poteri dentro l’euro. Quando abbiamo provato a farlo è saltato il governo Berlusconi”.
Nella nostra conversazione Tremonti ha poi sviluppato un ragionamento non approfondito nel libro, sulle diverse tappe della crisi subprime, che dall’America è arrivata a colpire le banche europee, portando poi alla crisi dei bilanci pubblici e poi dell’Euro come sistema.
“I primi subprime sono quelli americani e colpiscono le banche della Core Europe e dell’Inghilterra, banche che già non stavano in piedi e per questo hanno investito in titoli ad alto rendimento e ad alto rischio.
Tra il 2008 e il 2009 saltano le banche della Core Europe e dell’Inghilterra. Saltano molte banche che sono state salvate in vario modo usando 800 miliardi di interventi pubblici, dai bilanci pubblici.
L’euro è stato inventato nel freddo dei laboratori.
Non c’è nulla di più europeo di Goethe, e nulla di più goethiano del Faust. I biglietti alati, la cambiale con il diavolo. I biglietti alati voleranno più in alto di quanto la fantasia possa.
Cosa succede? In progressione…
I biglietti alati volano nel sud, nel sud-ovest, nel nord-ovest. In un atmosfera di assoluta incontrollata euforia, eu-foria. Incontrollata. La Bce non aveva la responsabilità sulle singole banche, aveva però la competenza e la responsabilità di vigilanza sistemica.
Puoi anche dire ‘ma non aveva poteri intensi’, ma almeno doveva guardare. Non si troverà mai un comunicato della Bce che segnala le criticità, i rischi, della finanza privata; solo la finanza pubblica, scambiando la medicina con il male.
I bilanci pubblici non erano la causa, ma erano la medicina.
I biglietti alati dal 2002 cominciano a volare e vanno in Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda, in varie forme, dalle piscine alle olimpiadi, dalle Mercedes alla cementificazione della Spagna. (Le faccio notare che quella in Spagna non era la seconda casa per i popoli del nord; era la seconda vita, la Florida, al sole. Non erano solo condomini, c’erano anche gli ospedali)
In Europa l’invasione è sempre dal nord al sud.
Quando la crisi sovrana fa esplodere questa seconda specie di subprime incide su un sistema bancario e finanziario che a sua volta era già stato colpito dai primi subprime.
Quando esplode la crisi sovrana ci sono due punti: primo, se fallisce il debitore fallisce anche il creditore; secondo, le perdite non si fermano sui confini nazionali, ma arrivano direttamente nei luoghi di incorporazione delle banche creditrici.
Questa dimensione di crisi è devastante perché enorme in sé, nelle centinaia di miliardi, ed è seguita da un’altra crisi. Non ci sono più tra l’altro bilanci pubblici da utilizzare. Sono già stati drenati. A questo punto è in crisi l’euro in quanto sistema. L’eurosistema rischia il meltdown, un effetto di fusione interna.
O meglio, la crisi delle banche della Core Europe causa la crisi dell’euro.
Mi faccia capire perché nel autunno 2011-2012 avviene la stampa della moneta, enormi quantità di moneta vengono stampate, dalla Bce.
Quello che è successo è stata una devastante crisi del sistema dell’euro, in questi termini. Rispetto a questo l’Italia è totalmente esterna. Faccio un esempio:
andiamo alla Grecia…
Sulla Grecia l’Italia era potenzialmente a rischio per 20 miliardi, le banche tedesche e francesi per 200 miliardi. Gli aiuti europei alla Grecia sono rimasti in Grecia per mezz’ora, non sono andati alla Grecia.
E lo stesso è vero con diverse formule per la Spagna, l’Irlanda.
Lei ha mai visto gli inglesi che aiutano gli irlandesi?
Questa è la vera storia.
Rispetto a tutto questo l’Italia era completamente esterna.
Finché c’ero io non ho mai firmato per il salvabanche; è arrivato Monti e il suo primo atto è stato di firmare.
E lo scontro è stato sulla contribuzione. Se fosse rimasto un fondo salvastati come era all’inizio allora sarebbe stata giusta una contribuzione calcolata sul Pil, quindi 18% per l’Italia; con il salvabanche doveva essere solo la reale percentuale di rischio finanziario.
I tedeschi avrebbero pagato 18% se fossero esposti al 5%? Questa è la vera storia”.
Infine ho chiesto al prof. Tremonti del suo riferimento alla TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il nuovo – e discusso – accordo di libero scambio proposto tra gli Stati Uniti e l’Europa. È un argomento importante perché in questo periodo di rinnovate tensioni strategiche tra l’Occidente e la Russia, e di preoccupazioni sull’aumento del peso della Cina negli affari internazionali, credo che ci sarà una forte spinta a consolidare il blocco strategico occidentale, in parte attraverso i nuovi accordi commerciali attualmente in fase di negoziazione. Alcuni vedono questi accordi come un modo di garantire ed aumentare la coesione delle democrazie occidentali, anche per contrastare una nuova configurazione che prevedrebbe relazioni di collaborazione più strette con la Russia e la Cina.
A mio avviso si presenta il rischio che gli accordi manterranno le caratteristiche delle politiche liberomercatiste che hanno dominato il mondo negli ultimi anni; cioè grazie alla fretta di raggiungere l’obiettivo strategico si manterranno certi assunti economici di base molto dannosi.
Sulla questione della politica economica, ha risposto così:
“La tendenza del mercatismo arriva a un punto critico. Se è stata determinante per la forza dell’Occidente, adesso può produrre l’effetto opposto, come per l’impero romano. Il problema è di reintrodurre regole politiche. Cioè il mercato da solo non è più la forza dell’Occidente. Altrimenti c’è la repubblica internazionale del denaro”.
Detto questo però, Tremonti rimane convinto dell’importanza di puntare sull’asse dell’Atlantico:
“Se vogliamo dare una prospettiva all’Europa in generale, se vogliamo riequilibrare l’Europa [per ridurre l’egemonia politica della Germania -ndr], può essere solo sull’asse dell’Atlantico.
Non può essere sull’asse dell’energia continentale, delle potenze di terra. Il futuro nostro non è l’energia a Est, ma la civiltà a Ovest. Non è contro qualcuno, ma è interesse di tutti”.