di Alfredo Morganti – 8 luglio 2016
Anche Antonello Giacomelli, sottosegretario alle Comunicazioni, ripete a pappardella su ‘Repubblica’ che, se vincesse il ‘no’ al referendum, “questo Parlamento non potrebbe più andare avanti”, e dunque Mattarella dovrebbe scioglierlo (ma qualcuno ha sentito Mattarella a proposito?). È una tiritera catastrofista molto diffusa in questa fase tra renziani e affiliati. A cui manca però la controprova. Perciò mi chiedo: ma se vincesse il ‘sì’, invece, cosa accadrebbe? È il caso di provare a pensarlo. Immaginate, allora, Renzi scamiciato e sudato, esultante per la vittoria, intento a inneggiare sotto la curva come un qualsiasi calciatore tatuato. Immaginatelo dopo una campagna elettorale vittoriosa ma sfibrante, dove è stato attaccato e ha dovuto difendere la propria creatura (Italicum+riforma costituzionale) sorretto soltanto dai suoi pretoriani, ossia il ceto politico della maggioranza PD più i nuovi gladiatori dei ‘Comitati per il sì’.
Mettetevi nella sua testa, insomma: a referendum vinto, lui è ormai convinto di aver svoltato, di aver messo dietro di sé tutti gli affanni, e di aver ‘asfaltato’ i suoi oppositori. Sa che è venuto il momento di raccogliere i frutti della vittoria e di dare la botta finale ai suoi avversari (per definizione, gli avversari di Renzi sono sempre quelli interni, gli altri invece li invita al Nazareno oppure a Palazzo Chigi a fare patti e a sorseggiare un aperitivo con l’olivetta). Se non ha concesso un millimetro prima, immaginate quanto possa concedere dopo. La vittoria del ‘sì’ precederà l’odore del sangue, l’acre sapore della terra, il sangue agli occhi. Sarà il momento del redde rationem, della calata degli Unni, dell’Apocalisse di san Giovanni. ‘Kill Bill’ diverrà un’operetta di Strauss.
In pratica, animato da questo desiderio di chiudere i conti, Renzi agirebbe su due piani. Da una parte, rivoltando il PD e innervandolo di sostenitori del Sì cresciuti nei comitati. Dall’altra, tentando invece di mettere in pratica il nuovo strumento elettorale che si è regalato. Come? Dicendo che è venuto il momento che l’Italia cambi marcia, che così non si può continuare e che basta con gli inciuci e i governi di coalizione o di larghe intese (come il suo). Ovviamente dovrà convincere Mattarella, e lo farà sventolando la parola chiave della ‘governabilità’. Con l’invito al Paese a mettere subito in pratica la novità dell’Italicum. Mattarella, certo, potrebbe non ascoltarlo e avviare le pratiche per un nuovo governo. Ma si troverebbe davanti un segretario del PD vittorioso e recalcitrante. Pronto ad alzare il prezzo ogni volta e a fare spallucce. D’altra parte si possono fare larghe intese se il partito più forte non ne è convinto? MI pare difficile.
Cosa si opporrebbe a questo disegno? Della volontà di Mattarella si è già detto. Della possibilità di un governo di larghe intese pure. Forse i sondaggi, forse il rischio 5 stelle, forse la necessità di avere un po’ di tempo per dare una ritoccata all’Italicum. Però il senso del dopo referendum, se vincesse il ‘sì’, è chiarissimo. Il nervosismo del premier di questi giorni si tramuterebbe in rivalsa, se non addirittura in una vendetta stile Black Mamba, con regolamento di conti finale. E adesso ditemi se a fare i catastrofisti sono bravi soltanto i sostenitori del sì. Perché quella che ho disegnato sarebbe effettivamente una catastrofe politica per il PD non renziano, per la sinistra in genere, per chi pensa che dalla crisi di sfiducia verso le istituzioni e verso la politica, e dalla parallela crisi di rappresentanza non si debba affatto uscire scardinando i partiti, verticalizzando il potere e rafforzando l’esecutivo, ma ricostruendo passo passo, centimetro centimetro la rappresentanza stessa e il sistema politico, facendo in modo che il governo parta da lì, da un dialogo aperto con la società, e non dal doping maggioritario che avvelena la contesa e che è soltanto la possibile cornice di una vendetta politica e personale.