La democrazia quando non c’è alternativa è già finita

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 9 luglio 2016

Lina Palmerini si unisce al coro dei ‘preoccupati’, o dei ‘catastrofisti’, nel caso di sconfitta renziana al referendum costituzionale. Nessuno saprebbe come gestire il caos prodotto con la vittoria dei no, dice la giornalista del Sole 24 Ore. E quale sarebbe il caos? Ci sarebbe ancora una Costituzione? Sì. Ci sarebbe una legge elettorale? Sì. Potrebbe nascere un governo di scopo per rimediare al dilettantismo dei neocostituzionalisti? Sì. Si opporrebbe Renzi a questo scenario? Sì, certo, ecco il punto. Una bella quota della presunta catastrofe sarebbe l’effetto dei colpi di coda del premier. Delle sue dimissioni da capo del governo, pur mantenendo la carica di segretario del PD. Del suo far valere questa carica per reclamare ancora la ricandidatura a premier, nelle elezioni anticipate che sarebbero richieste a gran voce dai perdenti inviperiti, pronti a spingere in un angolo Mattarella. Quale catastrofe? Roba che l’attuale governo si regge con il nastro adesivo, ed è stato necessario or ora congelare una crisi di governo incipiente. Roba che ci sono molti centristi che, preoccupati da questa legge elettorale, sono pronti a ritornare pentiti dal Berlusca. Roba che, dopo il referendum, Renzi concederà ad Alfano il premio di coalizione, che è già stato forse merce di scambio sottobanco in queste ore.

Catastrofe futura? E l’attuale caos allora? E i mille dubbi sulla riforma renziana che si fa finta di non avere (vedi Casini o Cacciari, oppure la stessa Confindustria), solo perché si teme di perdere equilibri politici o socio-economici rilevanti? Equilibri di potere, legami interni al blocco sociale di riferimento, amicizie importanti? Ci stanno dicendo che non c’è alternativa, che la minestra è questa, fa schifo, ma devi ingoiarla. Non è nemmeno ‘turarsi il naso’, peggio, è fare buon viso a cattiva sorte. Ma quando mai non c’è alternativa? Solo quando la democrazia è finita, solo quando non si può più scegliere perché ci sono un ceto politico o un’oligarchia che scelgono (quasi sempre da schifo) per te. E poi dice che il paradigma sistema-antisistema è falso. Ma se c’è un intero segmento di ceto politico e di utili idioti che fanno di tutto per accreditare questa coppia, per dimostrare che la sinistra e la destra sono scomparse e che oggi si tratta solo di mettersi in fila buoni buoni dietro la classe dirigente imbelle e le élite di secondo ordine che ci guidano? A quando, invece, un percorso che rimetta in campo una nuova ondata di dirigenti politici, intellettuali, militanti, amministratori in grado di ricomporre la scissione che c’è oggi tra Stato e cittadini, governo e rappresentanza? A quando un partito che possegga (o torni a possedere) cultura politica, e non esprima solo performance da (presunto) vincente? A quando un’organizzazione che sappia ritessere egemonia, invece di mostrarsi come un megafono scimunito di bisogni sparsi, quasi sempre espressi da qualche potere forte. Oppure pedissequo ripetitore di ciò che esemplificano i sondaggi d’opinione? A quando il coraggio di indicare un progetto che non sia la piatta espressione (senza se e senza ma) delle oligarchie e delle classi che non vorrebbero regole di giustizia né pagare le tasse, e tanto basta? E poi, quando ritorna la politica, perché senza è solo un dilaniarsi?

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