di Alfredo Morganti – 23 dicembre 2017
Oggi Roberto Esposito, un filosofo che seguo da molti anni e che insegna Teoretica alla Normale di Pisa, descrive la politica italiana come una rissa personalistica. E il dibattito politico come uno scontro solo in negativo. Rivendicando la necessità di affrontare in positivo, invece, i grandi temi dinanzi a noi: l’immigrazione di massa, la costituzione politica dell’Europa, la rinascita di scuola e Università. Tutto bene. Ti aspetteresti due parole due (da un filosofo), anche sintetiche, anche in pillole, sulle ragioni di questo degrado del dibattito pubblico. E magari un’indicazione di prospettiva. E invece no. Il colonnino su ‘Repubblica’ che racchiude il suo pensiero finisce con una tirata d’orecchi a ‘Liberi e Uguali’. L’ultimo arrivato. Spero che ciò avvenga perché Esposito nutra verso questo raggruppamento di sinistra unita grandi aspettative. E comunque, il filosofo rimprovera a ‘LeU’ di non pronunciarsi sui tre temi or ora menzionati, e di limitarsi alle foto di rito. Io credo che pecchi di ingenerosità. Sul lavoro, sulla scuola e la cultura, sulla democrazia, da mesi la sinistra fa il controcanto alle politiche del governo. Ma anche ammettendo che LeU fosse silente, fossero loro i rancorosi, limitandosi soltanto ai selfie e a qualche dichiarazione risentita, è questo il punto?
La ‘rissa’ (se tale fosse) è colpa di D’Alema, o di Renzi, o di entrambi? No. È l’epoca che traccia i propri caratteri, non questo o quello, per quanto siano attori protagonisti. La rissa è dovuta alla crisi delle istituzioni, al populismo crescente, all’idea che la politica sia fatta da persone che debbano rivolgersi al popolo senza intermediari o zavorre istituzionali. Una concezione tremenda, talmente egemonica che ha conquistato anche una parte considerevole della sinistra. La verità è che la disintermediazione porta alla rissa, la politica fatta solo da volti e da persone fisiche porta al tracollo istituzionale, la mediazione affidata soltanto ai media (che paradossalmente sono strumenti divisivi) apre abissi e dimentica le idee e i contenuti a vantaggio di mere considerazioni psicologiche. Questo è il punto ineludibile, che un filosofo non può tacere. Ma Esposito ha già taciuto il suo orientamento nel referendum costituzionale, adducendo altissime motivazioni concettuali e invocando persino la metafisica. Sostenendo che lo scontro era solo in ‘negativo’, anche allora volto a screditare l’avversario piuttosto che esporre in positivo posizioni e idee. Pur di non confessare una sorta di disagio a dover scegliere tra uno schieramento o l’altro. Una specie di terzismo culturale, dopo quello politico.
La colpa della mancata discesa in campo di molti intellettuali, il loro silenzio, secondo Esposito, dipenderebbe ancora e sempre dai politici, che scatenano risse e selfie invece di parlare dei grandi problemi del mondo. Che scelgono sempre i rancori, gli attacchi personali e il conflitto in negativo. Ma io vi avverto. In questa fase non vi aspettate dai chierici alcun impegno solenne, sono i primi a vivere la crisi della cultura, del pensiero, a sentirsi assediati dal marketing, a vedere il deperimento delle idee dinanzi a fatti inediti e inquietanti, a fare esperienza della tremenda difficoltà di comprendere il mondo ancor prima di tentarne il cambiamento. Mai come oggi politica e cultura sono lontane. Con ciò togliendo alla prima una fonte primaria di elaborazione intellettuale, e alla seconda la virtù della prassi che spinge fuori dal solipsismo culturale. Ecco, allora, un grande tema di cui parlare, invece di recriminare sui soliti politici che litigano. La cultura è sempre più una componente della grande macchina del mercato, sempre meno autonoma rispetto al capitale, sempre più marketing e sempre meno responsabilità pubblica. Un grande fumo ideale da cui non scorgi più un senso della realtà, né una prospettiva attuale. Io credo che la chiacchiera culturale prodotta dai media sia oggi il vero problema, ben più della vituperata chiacchiera politica.
1 commento
Concordo su tutto. Non c’è nè intermediazione nè reale selezione di chi deve fare cosa. Tutti in pretica possono dire e fare tutto. Succede ovunque anche in ambiti tecnico-scientifici. Passano solo opinion di chi detiene il potere. Ho ascoltato recentemente dibattiti televisivi di critici d’arte che parlavano di industria italiana. La verità è in esilio ovunque e nonostante I risultati di questo modo di fare siano pessimi nessuno mai correla la causa con gli effetti.