La curvatura della politica

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giulio Cherchi

di Giulio Cherchi – 7 febbraio 2018

Questi sono gli anni in cui la politica si è trasformata in confronto tra tifoserie.
L’ultras è la figura principe di questa evoluzione del militante.
Prima la campagna elettorale era solo il pezzo finale di un lavoro che coinvolgeva tutta la città. Culturale, sociale ed economico fatto anche di confronto con le forze alleate e avversarie. In questo l’iscritto ai partiti faceva un percorso collettivo di crescita. Nelle associazioni, nei sindacati, nelle istituzioni trovava gli aderenti agli altri partiti che facevano parte dell’arco costituzionale. Il suo essere partigiano non si annullava nella furia dell’opposizione amico nemico.
Inoltre delegava (con gradi diversi di fiducia a seconda dei partiti) le scelte politiche ai dirigenti ben sapendo però di essere protagonista della vita politica, di essere uno di quei pezzi che contribuivano a costruire la ferrovia. Anche nelle riunioni dei partiti dove vigeva il centralismo democratico lo scontro era durissimo.
Ma nella consapevolezza che poi i partiti si sarebbero occupati, a seconda delle capacità, di trasformarlo in dirigente. La democrazia come sovranità di un popolo organizzato in enti intermedi. Il compromesso come esito da costruire tra le diverse forze popolari.
Questa è in sintesi l’epopea della Repubblica italiana del dopoguerra.

Oggi non è più così. Come per l’ultras si paga il biglietto e l’unica cosa che si può fare è sostenere la propria squadra con fede cieca, oppure fischiare l’avversario insultandolo in ogni maniera. D’altronde le competizioni elettorali sono partite chiuse in se stesse. Iniziano, finiscono, ci sono vincenti e perdenti – nessuna mediazione è possibile – e poi rinizia il countdown della prossima partita.
Il tifoso semplice aspetta le nuove formazioni, c’è il calciomercato/presentazione delle liste, il fuoriclasse del cuore che non sbaglia mai, i presidenti fanno i loro affari, le tv sono protagoniste. Non ha nessun diritto ad esprimersi su quello che succede, non influisce in niente, è un semplice consumatore.
L’ultras non conosce il più delle volte neanche i giocatori della propria squadra, per lui conta solo l’appartenenza al gruppo, un legame escludente e rabbioso, senza alcuna razionalità. Chi non la pensa come il gruppo è automaticamente un nemico. Loro sono la squadra, in un delirio psicotico, gli altri il nulla.
La figura della cugurra (il corvo in sardo), il menagramo è una presenza costante. Se le cose vanno male deve essere per forza colpa di qualcuno esterno. Il capro espiatorio.
Nel frattempo cori sempre uguali da 20 anni, non cambia mai nulla, solo più astio e rancore.
Ultras deriva dalla parola francese ultra, dal francese ultra-royaliste, cioè “ultra realista”, che stava a indicare la forza politica preponderante ai tempi della Seconda Restaurazione (1815-1830), partigiani intransigenti della monarchia. La destra più estrema del tempo.
Questa è anche la politica in cui i fascismi e le destre dettano l’agenda.
C’è il capo da sostenere e la violenza nello stadio il luogo per dimostrare l’attaccamento. E quando un gruppo si divide in due, il primo nemico diventa quello che sta a fianco, fino al dominio totale dello spazio curva. Boia chi molla è la loro sintesi.
Se poi uno va a vedere un gruppo vale l’altro, la cultura ultras è la stessa dappertutto. Cambia solo il brand.
Non è un caso se gli stadi si svuotano, c’è ben poco di interessante in tutto ciò. Oppure come in Inghilterra si riempiono di spettatori del consumo globale, resta solo lo show.
Il calcio ha perso da tempo quel romanticismo cui era legato. La squadra, la città, i quartieri popolari, il mito, una lingua comune, una storia, la speranza. Da qualche parte resiste, ma è poca roba. I bar dello sport, vera fucina del tifo, sono morti con le sezioni.
E in ogni caso mai ha avuto le logiche della politica, è sempre stata una cosa diversa, anche se tra le cose meno importanti, per qualcuno, la più importante.

Lo stesso avviene nella politica di oggi. Le elezioni sono le partite, i social lo stadio, le liste elettorali le squadre, i leader e gli eletti sono i presidenti e i giocatori. La logica sottesa è la stessa. Lo stadio vuoto e l’astensione. Non c’è più l’alone romantico che ha contraddistinto per esempio l’epopea della democrazia e del socialismo. Che lo rendeva così affascinante, così come lo descriveva Benjamin.

Io continuo a preferire il subalterno che tramite le forze organizzate e il confronto con l’altro diventa dirigente. Da intellettuale in nuce diventa intellettuale in senso pieno. A voi lascio l’ultras.

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