La Dea Bianca

per tonigaeta
Autore originale del testo: Antonio Gaeta

di Toni Gaeta  7 gennaio 2016

Con il suo saggio su La Dea Bianca (Adelphi Editori) Robert Graves cerca di colmare un vuoto, che, come afferma l’antropologa Heide Goettner-Abendroth (1), neppure la preziosa e dettagliata ricerca archeologica condotta da Marija Gimbutas é riuscita a riempire, stante il baratro culturale, storico, archeologico e antropologico, permanente nella nostra vecchia Europa, circa le origini e gli sviluppi delle prime civiltà europee.

Paradossalmente, le ricerche dei grandi archeologi e antropologi tedeschi, inglesi e francesi sono state tutte orientate nello studio delle prime civiltà mesopotamiche, greche ed egizie, essendo quasi completamente assenti rispetto a quelle europee, preesistenti la cultura dominante, che caratterizzò la nascita e lo sviluppo della Repubblica di Roma e del successivo Impero Romano.

Dalla lettura del saggio di Graves apprendiamo i molteplici spostamenti di popoli, di tribù e persino di clan, a seguito delle invasioni indo-europee, che fecero dell’Europa un grande teatro di gesta e di conflitti, alimentati da (e/o generatori di) credenze religiose e miti, in continua implementazione temporale e geografica.

Solo per iniziare l’argomento assai complesso, nel cercare di fornire maggiori particolari storici sui Danai, Graves scrive che Danu, Danae o Dòn compare nei documenti romani come Donnus, padre divino di Cotto, il “re sacro” (2) dei Cotti , una configurazione ligure, che diede il nome alle Alpi Cozie. Cottys, Cotys o Cotto é un nome diffuso in un’area piuttosto ampia. Esso fa la sua comparsa come titolo dinastico in Tracia tra il IV sec. a.C. E il I sec. d.C., nonché di stirpe Cozia sono considerati i Cattini e gli Attacoti della Britannia settentrionale..

Anche in Paflagonia – egli prosegue – sulla sponda meridionale del Mar Nero c’era una dinastia di Cotys. Il nome di tutti costoro deriverebbe dalla Grande Dea Cotitto o Cotis, che fu oggetto di culti orgiastici in Tracia, in Sicilia e a Corinto. Secondo Strabone le sue orge notturne (Kotyttia) venivano celebrate in modo del tutto simile a quelle in onore di Demetra, la dea dell’orzo della Grecia primitiva, e di Cibele, la dea frigia del leone e dell’ape, in onore della quale sembra che alcuni giovani si evirassero.

Nella leggenda classica – scrive ancora Graves – Cotto era il fratello centimane dei mostri (anch’essi centimani) Briareo e Gie, alleati del dio Zeus nella sua lotta contro i Titani sul confine tra la Tracia e la Tessaglia: episodio da non confondere con quello che diede origine al mito della Gigantomachia (3). La storia di questa guerra contro i Titani é comprensibile solo alla luce dei primordi della storia greca. Infatti, i primi Greci a invadere la penisola furono gli Achei, che irruppero nella Tessaglia intorno al 1900 a.C. E a poco a poco conquistarono tutta la penisola (che non aveva ancora il nome di (Hellas).

Gli Achei erano pastori patriarcali (caratteristiche comuni a tutti i popoli invasori indo-europei, ndr) adoratori di una trinità maschile indo-europea (sembra Mitra, Varuna e Indra), che in seguito prese il nome di Zeus, Poseidone e Ade.”

Inizialmente, gli Achei cercarono di distruggere totalmente la cultura matriarcale autoctona, così come avvenne in altre aree d’Europa, del Medio Oriente e dell’India, da parte di altri popoli indo-europei (nella penisola italica in modo particolare). Poi, invece, si allearono con gli abitanti della terra ferma e delle isole, che essi definirono Pelasgi, accettando il criterio della successione matrilineare.

La cultura Pelasgica si fondava sulla credenza della sua origine dai denti del serpente cosmico Ofione, che la Grande Dea, nel suo aspetto di Eurinome (“ampio regno”), aveva preso come amante, dando inizio in tal modo alla “creazione”. Tuttavia, é possibile che i Pelasgi, prima degli Achei chiamassero se stessi Danai, dal nome della Dea nel suo aspetto di Danae (colei che presiedeva alle attività agricole). Comunque siano andate le cose, gli Achei assunsero essi stessi il nome di Danai e diventarono un popolo di navigatori (non a caso le mille navi dell’Iliade, che portarono gli Achei a Troia). Quelli che rimasero a nord dell’istmo di Corinto, invece, furono conosciuti con il nome di Ioni (figli della de-vacca “Io”).

Dopo gli Achei, altri popoli indo-europei invasero la penisola e le sue isole. Prima gli Eoli (che tuttavia si integrarono con i popoli preesistenti) ma poi i Dori, che cercarono di distruggere ogni traccia delle culture autoctone e dei suoi miti. A seguito di tali invasioni le tribù pelasgiche rimaste fedeli alle loro antiche culture matriarcali furono costrette ad emigrare in ogni dove, così come anche i Danai (già Achei).

Tali circostanze favorirono l’espandersi a macchie di leopardo delle forme di venerazione della Dea Bianca, presso alcuni identificata come Grande Dea Cotys (dea delle pratiche orgiastiche, poi caratterizzate anche da aspetti derivanti dalla stregoneria), presso altri identificata come Danae, già dea dell’orzo. Quest’ultima identificazione fu agevolata dalla conversione achea da popolo patriarcale in popolo a cultura mista.

Questa circostanza é testimoniata dall’associazione tra la Dione o Diana dei boschi (4) alla Danae dell’orzo e delle farine bianche. Da qui l’identificazione come Dea Bianca. Di fatto, l’associazione della Dea con i diversi tipi di attività, cui era preposta, cambiava in funzione dei diversi luoghi di culto.

Ad esempio, Robert Graves scrive che i Latini onoravano la Dea Bianca con il nome di Cardea. Ovidio nei Fasti ci racconta una storia un po’ confusa, che collega Cardea con il vocabolo cardo (“cardine”) e dice che fosse l’amante di Giano bifronte, il dio delle porte e del 1′ mese dell’anno. Questi proteggeva anche i bambini dalle streghe, che travestite da paurosi uccelli notturni, rapivano i neonati dalla culla, per succhiarne il sangue..

Sempre secondo Ovidio, Cardea esercitò il suo potere dapprima ad Alba [Longa] (la “città bianca”: secondo alcuni l’attuale Albano laziale), fondata da genti emigrate dal Peloponneso al tempo della grande dispersione, causata dall’invasione dei Dori: genti che successivamente permisero la fondazione di Roma. In realtà, la documentazione in suo possesso narra di vicende e miti un po’ diversi. A suo avviso Cardea era Alfito, la Dea Bianca che uccideva i bambini, dopo essersi travestita da uccello o da animale, mentre Giano, il robusto guardiano delle porte di quercia, teneva lontana Cardea e le sue streghe, perché in realtà era il dio della quercia Diano, che si incarnava nel re di Roma e in seguito nel flamen dialis (sacerdote dell’antica Roma, preposto al culto di Giove Capitolino), suo successore spirituale. Sua moglie Giana era Diana (Dione), la dea dei boschi e della Luna. Janus e Jana erano in realtà forme rustiche di Juppiter (Jovis, Giove) e Juno (Giunone). Successivamente identificati con gli dei ellenici Zeus ed Hera (il nome della Grande Dea nelle preesistenti culture matriarcali della penisola greca).

Non è difficile individuare nella trasformazione dell’antico mito matriarcale di Hera l’avvento del predominio culturale patriarcale, che, soggiogando o catalizzando tutte le culture patriarcali successive all’invasione dei popoli indo-europei, fece di Roma la città “caput mundis”: così come poco prima la dorica Sparta avrebbe voluto fare ad iniziare dalla Grecia..

Tra parentesi, é interessante notare come altre grandi culture patriarcali abbiamo subito analoghi o simili sviluppi, fino ai giorni nostri: quella imperialistica di tipo moderno e di stampo europeo e quelle imperialistiche cinese e giapponese, nonché quella capitalistica occidentale di formazione filosofico-religiosa prevalentemente mercantile e quella islamica di formazione filosofico-religiosa diametralmente opposta.

Ciò non di meno, come dimostra ampiamente Heide Goettner-Abendroth, la cultura patriarcale non é mai riuscita a cancellare la profonda impronta culturale delle società matriarcali.

Ad ulteriore conferma di questo chiarimento storico-antropologico, c’è da dire che circa la veste di uccello della Grande Dea, l’archeologa Marija Gimbutas nel 2′ volume della Civiltà della Dea (5), scrive: “La Dea Uccello appare con becco o naso adunco, collo lungo e seni femminei di proporzioni a volte esagerate, ali o sporgenze simili e prominenti natiche femminili sottolineate dalla forma di anatra, cigno o uovo. La Dea Uccello ha natura duale. Essa é datrice di vita, benessere, nutrimento. D’altro lato appare come ‘morte’ in sembianza di avvoltoio, gufo o altro uccello da preda o mangiatore di carogne.“

Anche questa raffigurazione (riprodotta dalla cinematografia contemporanea) proveniente dai numerosi reperti archeologici, oggetto di ritrovamento e di studio da parte dell’archeologa, ci parla di una Dea che, nell’unire organi femminili preposti alla rigenerazione e aspetti lugubri e mortiferi, rappresenta l’eterno ciclo della vita e della morte, unificato in un solo mitico personaggio.

Per poter comunicare in modo più accessibile in ciò che Robert Graves ha voluto indicarci, nel suo saggio dedicato alla “Dea Bianca”, ho cercato di immergermi il più possibile in quanto di assolutamente naturale vissero i nostri antenati matriarcali e gli attuali componenti delle residue società matriarcali diffuse sul pianeta.
Le mie pubblicazioni sulla rivista “nuovAtlantide” sono il risultato di questa immersione, che inizia con la constatazione che la vita sembra individualmente caratterizzata dall’esserci e dal non-esserci: ovvero dal nascere e dal morire. Questo, tuttavia, non indica un andamento biologico ed esistenziale di tipo lineare, ma anzi é parte di un andamento di tipo circolare.

A ben vedere, tutto nell’universo é caratterizzato da un andamento ciclico, che si manifesta con un eterno ritorno, costituito da nascita e morte delle stelle, movimenti di incommensurabile dimensione cosmica, intervallati da espansione e contrazione di nebulose. Questo stesso ciclo é da noi esseri umani meglio conosciuto come sonno e risveglio, nascita e morte individuale, alba e tramonto, luna-piena e luna-nuova, alta e bassa marea, inspirazione ed espirazione, contrazione ed espansione del muscolo cardiaco… e tanto altro ancora.

Questi cicli cosmici e terrestri hanno tutti in comune 2 punti, che sembrano costituire 2 polarità (ciò che ai primi matematici fece pensare alla linea retta). Secondo le teorie razionaliste, prima presocratiche e socratiche, poi cartesiane, tra queste 2 polarità si dipana il divenire di tutte le cose, le quali hanno tutte un inizio e una fine.
Questo fondamento della moderna scientificità (che foggia le menti di chi foggia le nostre menti) secondo il 2′ principio della termo-dinamica, é, però, profondamente falso !

Sembra strano. Tuttavia, le civiltà fondate sulle culture matriarcali hanno ancora oggi ragione nel ritenere che la morte e la rinascita di ogni cosa fanno parte di un unico modo di esistere (un unicum): concetto profondo, ma fondamentale per la sopravvivenza di tutte le forme di vita sul nostro pianeta Terra !

Questo é quello che anch’io ho percepito esistere di reale intorno a noi. Solo dopo aver sgombrato dalla mente tutte le cattive idee, prodotte da civiltà sorrette dalle culture patriarcali. Si tratta di culture dotate di strumenti di enorme potere, intrise di cinismo guerresco, spostato sulla preminenza di uno dei 2 poli (la morte), in base al quale viene sprezzantemente giudicata la vita: preminenza che é supportata da credenze religiose su paradisi d’oltretomba e che non a caso predilige sia le guerre, sia le distruzioni degli habitat biologici, sia le sofferenze di quanti sono considerati solo “deboli”. (Vedi “La guerra in nome di Dio ma non della Dea” nella sez. Cultura di nuovAtlantide).

Ecco che, quindi, le sottovalutate forme di espressione artistica, poetica e più in generale creativa, rivelano alla nostra specie (Homo Sapiens) la necessità della rivalutazione del ‘magico’: inteso come dimensione in cui é assente la linearità spazio-temporale. Una dimensione in cui solo ciò che trova spiegazione nella circolare ricorrenza dei fenomeni é reale! [In questo le teorie del “bizzarro” Einstein ci vengono incontro, così come la fisica quantistica e la teoria delle stringhe, che annullano le ipotesi matematiche e filosofiche di tipo cartesiano.]

Dimensione, quindi, che non conosce l’allontanamento di qualcosa d’altro rispetto al sé individuale, se non come condizione temporanea. Bensì riconosce nell’altro (spesso solo momentaneamente diverso) una parte essenziale del sé individuale !
In questa circolarità si può meglio comprendere come persino l’assenza della luce (associazione con la morte) non é percepita come fine, ma come premessa di un nuovo inizio.

  1. – In “Le Società Matriarcali” (Venexia Edizioni)

  2. – Sul “re sacro” vedi “Il potere della rinascita”, nonché “L’Io e l’uroborico femminile”, entrambi su “nuovAtlantide” (https://www.nuovatlantide.org/)

  1. – Sulla Gigantomachia vedi anche “I fregi dell’Altare di Zeus nel Pergamon Museum

  1. – Zeus (dio degli Achei) fu allo stesso tempo anche il nome di un eroe oracolare dei      primi pastori patriarcali, legato al culto della quercia di Dodona in Epiro, dove officiavano le sacerdotesse-colombe di Dione, una Grande Dea silvestre, diversamente nota come Diana.

    5   – Il Mondo dell’Antica Europa – Stampa Alternativa / Nuovi Equilibri

 

Babelezon bookstore leggi che ti passa

Articoli correlati

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.