La democrazia non è in America

per Giorgio Pizzol
Autore originale del testo: Sergio Troiano
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Sergio Troiano

È un dato di fatto che a molti può apparire sorprendente e incredibile, ma assolutamente vero. In tutto il testo della Costituzione degli Usa la parola “democrazia” non compare, neppure nelle note. Se si vuole comprenderne il perché, è importante tenere conto del fatto che la Costituzione degli Stati Uniti risale alla fine del 1700. E a quei tempi il concetto di democrazia non godeva di molti consensi. Anzi.

L’idea da cui partirono i padri fondatori americani, i pionieri che il 17 settembre 1787 adottarono la Costituzione con la quale diedero vita alla Repubblica a stelle e strisce, non fu quella di creare la più grande democrazia del pianeta, ma semplicemente una repubblica di uomini “liberi” con un forte governo centrale.

Nella concezione di quei signori, una tipica élite di fine 700, seppure animata dalle migliori intenzioni, l’idea di democrazia era un’idea molto pericolosa. Quegli uomini erano molto diffidenti riguardo la partecipazione delle masse, considerati i bassi livelli di istruzione e la umoralità dell’opinione pubblica.

Forti di questi convincimenti, comprensibili per l’epoca, non solo evitarono intenzionalmente di usare la parola democrazia, ma fecero il possibile per scoraggiare la partecipazione dei cittadini alla vita politica. In che modo? Vediamo.

Sapete perché, ancora oggi, si va a votare di solito di martedì? Perché proprio il martedì, a quell’epoca, siamo a fine 700, era il giorno del mercato, cioè il giorno in cui si svolgeva il mercato in ogni città e villaggio d’America, un evento di grande importanza per quei tempi. E il giorno era stato scelto, non a caso, perché era il giorno in cui buona parte della popolazione era piuttosto indaffarata e distratta. E, quindi, il martedì era il giorno giusto per fare in modo che molte persone non andassero a votare.

Ancora oggi negli Stati Uniti votare richiede un certo impegno; ad esempio, per ciascuna elezione, per poter votare ci si deve registrare. È una complicazione che fa da filtro per una importante quota di popolazione che finisce per rinunciare all’esercizio di questo diritto.

In 23 Stati americani sono in vigore norme di riconoscimento dell’identità dei votanti, leggi che richiedono agli elettori di fornire moduli di identità specifici presso i seggi prima del voto. Per ottenere tale documento di identificazione, ai votanti può essere richiesto di recarsi presso una delle agenzie statali in orari lavorativi, spesso facendo lunghe file e sostenendo i costi amministrativi per ricevere il documento.

Queste difficoltà scoraggiano circa il 20 per cento degli aventi diritto e, tra quelli che si iscrivono, meno del 60 per cento va effettivamente a votare per eleggere il presidente.

La percentuale dei votanti effettivi scende poi al di sotto del 50 per cento per l’elezione del Congresso.

È forse superfluo aggiungere che gli esclusi, o autoesclusi, dal voto sono i cittadini americani meno abbienti e le minoranze etniche, come i neri e gli ispanici. I bassissimi livelli del tasso di affluenza al voto, livelli molto più bassi rispetto a quelli a cui siamo abituati nelle democrazie liberali europee, sono la prova evidente dello scarso interesse delle autorità ad una effettiva partecipazione democratica dei cittadini.

Questo spiega molte cose sulle reali condizioni della società americana d’oggi. Innanzitutto spiega la abnorme crescita delle disuguaglianze sociali negli USA.

Negli Stati Uniti, l’1% della popolazione possiede il 35,6% di tutta la ricchezza privata, cioè più del 95% di quanto posseggono le classi inferiori nel loro insieme. Le 400 persone più ricche della lista Forbes 400 possiedono più ricchezza dei 150 milioni di americani che stanno in basso.

Ad inizio millennio, il malessere sociale prodotto dal vistoso peggioramento della qualità della vita della stragrande maggioranza della popolazione è sfociato, nel movimento Occupy Wall Street, una protesta contro la povertà , la cui parola d’ordine è stata “Siamo il 99%”.

Negli ultimi vent’anni le diseguaglianze si sono aggravate, prima per le conseguenze della crisi provocata dallo scandalo dei mutui subprime

e, ultimamente, con l’epidemia di Covid-19.

A pagarne maggiormente le spese, insieme ai bianchi poveri, sono le minoranze di neri ed ispanici. Infatti, i tassi di disoccupazione dei neri e dei bianchi sono in rapporto di due a uno. I neri e gli ispanici al di sotto della soglia di povertà sono tre volte più numerosi dei bianchi.

Il professor Philip Alston, docente della New York University e relatore speciale delle Nazioni Unite per la povertà estrema e i diritti umani, descrive così la situazione: “Quello che vediamo è un Paese di contrasti drammatici. Qui c’è il più alto livello di disuguaglianza di reddito nel mondo occidentale: negli Stati Uniti vivono oltre un quarto dei miliardari del Pianeta e c’è un’economia in crescita. Ma dall’altra parte ci sono 40 milioni di persone in povertà, di cui un terzo bambini. E poi 5,3 milioni di persone che vivono in condizioni che considero ‘da Terzo Mondo’. Un americano su otto dipende dagli aiuti alimentari federali e si registra uno dei più alti livelli di mortalità infantile tra i Paesi sviluppati”.

Conclusione

Ricordate il Discorso di Pericle agli ateniesi (461 a.c.)?

“Qui ad Atene noi facciamo così. Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.”

Ecco, a me sembra evidente che gli Americani non solo non hanno messo il termine “democrazia” nella loro Costituzione, ma sono anni luce lontani da quell’ideale che in Europa abbiamo ereditato dall’antica Grecia.

Non vorrei essere frainteso. Ammiro le tante qualità del modello sociale statunitense e non nego i pregi di una cultura incentrata sul concetto di “libertà” e di responsabilità individuale.

Ma, per la piega che hanno preso gli eventi negli ultimi 40 anni, a partire dalla presidenza Reagan e in considerazione del fatto che gli Stati Uniti si raccontano al mondo come “patria della democrazia”, salta agli occhi il paradosso, a metà tra il tragico ed il ridicolo, di un Paese che manda in giro per il Pianeta i suoi bombardieri allo scopo di “esportare la democrazia”, un bene che non posseggono e del quale non beneficia nemmeno il proprio popolo.

Il fatto che gli Stati Uniti, per affermare di fronte al mondo il predominio del proprio modello di civiltà, devono ricorrere sempre più spesso all’uso della forza e delle armi è la prova che quel modello non è più in grado di conquistare l’adesione degli spiriti “liberi” e che, perciò, sembra ormai prossimo a tramontare.

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