Fonte: La Valigia Blu
La fine di un’era. Trump e Putin alleati contro l’Europa
USA, Russia e l’imperialismo mafioso
Aveva promesso la fine della guerra in Ucraina a 24 ore dalla sua rielezione. Invece, a poche settimane dal suo insediamento, Trump ha tradito platealmente e vergognosamente l’Ucraina e messo fine all’alleanza con l’Europa, così come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. Cosa sarà della NATO a questo punto non è così difficile da immaginare.
Trump ha spacciato per pace la spartizione colonialista delle terre ucraine martoriate dall’invasione voluta dal suo nuovo alleato, Putin.
“Mafia imperialism“: credo che non ci sia definizione più precisa per descrivere quello a cui abbiamo assistito con l’incontro Usa-Russia in Arabia Saudita. Dove sono stati tagliati fuori gli ucraini e gli europei, che tra l’altro hanno contribuito con più risorse alla sopravvivenza militare ed economica dell’Ucraina rispetto agli Stati Uniti – a dispetto delle false affermazioni di Trump.
Quello di Donald Trump non è isolazionismo, è ‘mafia imperialism’
In un colpo solo, fra quell’incontro, il discorso violentissimo del vicepresidente Vance alla Conferenza di Monaco e le ultime farneticazioni di Trump sulla guerra e Zelensky (che non a caso ripete a pappagallo la disinformazione della propaganda russa) è stata emessa una condanna a morte per Zelensky e l’Ucraina, e la parola fine a 80 anni di alleanza atlantica. Un attacco diretto e senza mezzi termini all’Europa e alle democrazie liberali, sostenendo apertamente l’estrema destra che strizza l’occhio al neo-nazismo e lo saluta, naturalmente, col braccio teso. E così ha rimesso al centro del ring un Putin fino a poche settimane fa all’angolo sotto la pressione delle sanzioni, l’isolamento da parte del mondo democratico, e l’inaspettata quanto eroica resistenza militare ucraina. Che, ricordiamolo, sta lottando anche per le nostre libertà e le nostre democrazie, sacrificando la vita dei propri figli anche per l’Europa. Ha ragione a mio avviso Zelensky quando avverte: “Se cade l’Ucraina, cadrà l’intera Europa”.
Qualcuno ha scritto a proposito delle concessioni di Trump a Putin sull’Ucraina: è come se il presidente Franklin D. Roosevelt nel 1941 si fosse seduto con Adolf Hitler per porre fine alla sua guerra con la Gran Bretagna, non avesse incluso gli inglesi nei colloqui e avesse incolpato Churchill per aver iniziato la guerra. Il magazine online Politico ha messo insieme tutte le concessioni che finora Trump ha fatto a Putin. Il titolo è decisamente esplicativo: “Per 29 volte Donald Trump ha fatto ciò che voleva Putin. Da che parte sta? È difficile tenere il passo, quindi ecco una guida pratica alla nuova politica americana di stretto allineamento con il Cremlino”.
Pochi giorni prima della conferenza di Monaco, il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent, si è presentato a Kyiv con un documento di due pagine, chiedendo al presidente Volodymyr Zelensky di firmarlo. Gli Stati Uniti pretendono il 50% di tutto il “valore economico associato alle risorse dell’Ucraina”, comprese “risorse minerarie, risorse di petrolio e gas, porti e altre infrastrutture”, non solo ora ma per sempre.
Dopo Gaza e la proposta di quella che altro non è che pulizia etnica per fare di quei territori palestinesi un resort affaristico-turistico, dunque è la volta dell’Ucraina. Uno sputo in faccia alla Storia e alle migliaia di vittime ucraine: bambini deportati, civili torturati e stuprati, soldati uccisi.
L’accordo sui minerali con l’Ucraina è una metafora perfetta della politica estera di Trump, scrive la CNN.
Chi a sinistra oggi esulta per una colonizzazione spacciata per pace e per l’alleanza fascio-mafiosa-imperialista Usa-Russia, piangeva fino a pochi giorni fa quando lo stesso metodo è stato ipotizzato come risoluzione per Gaza.
La conferenza di Monaco è l’inizio di una nuova era.
La Conferenza di Monaco è l’inizio di una nuova era
A fare da apripista all’intervento di Vance ci ha pensato il segretario della difesa, Pete Hegseth, parlando per la prima volta dell’ipotesi di togliere il supporto all’Ucraina nella sua resistenza contro la Russia. Nel farlo ha messo sul tavolo tre richieste solitamente avanzate dai russi: 1) gli ucraini non potranno riprendere i territori occupati. Sicuramente dovranno accettare l’annessione della Crimea 2) l’Ucraina può scordarsi l’ingresso nella NATO 3) l’America non può disperdere le sue forze: dovendosi concentrarsi sulla difesa contro la Cina, dovrebbe ritirare la sua presenza dal territorio europeo. A questo è seguito l’annuncio di Trump di aver parlato in modo molto proficuo con Putin al telefono, preludio di visite dei due leader nei rispettivi paesi.
E arriviamo così alla Conferenza di Monaco e al discorso inquietante di Vance, una vera e propria dichiarazione di guerra ideologica all’Europa. La prima Conferenza sulla sicurezza di Monaco, vale la pena ricordarlo, si tenne nel 1963, su iniziativa di Ewald Von Kleist, membro della resistenza antinazista. Lo scopo originario era quello di riunire tedeschi, americani e altri europei per una discussione annuale sulla sicurezza e per un rafforzamento dell’impegno transatlantico condiviso a favore dei valori democratici e dello Stato di diritto.
Non so se avete visto il film The Order. Racconta la storia vera di una organizzazione terroristica realmente esistita per un breve periodo negli anni ’80, guidata da Bob Mathews. Mathews era diventato insofferente al piano di lungo termine del fondatore delle Nazioni Ariane, Richard Butler, che aveva l’obiettivo di creare una nazione di soli bianchi, nel Pacifico nord-occidentale. E così organizza un gruppo secessionista, L’Ordine appunto, dedicato al rovesciamento del governo degli Stati Uniti con ogni mezzo possibile. L’organizzazione prima di essere smantellata dall’FBI, si rese responsabile di rapine a mano armata, contraffazione di denaro, violenze e omicidi.
Come molti nazionalisti bianchi, Mathews è stato influenzato dal romanzo del 1978 The Turner diaries, I diari di Turner (che ha ispirato, tra l’altro, anche l’assalto al Congresso americano del 6 gennaio 2021). Il libro racconta di un personaggio nazionalista bianco, Earl Turner, che tenta di rovesciare il governo degli Stati Uniti e trama per far volare un aereo con una testata nucleare contro il Pentagono. C’è una scena del film emblematica: il capo del gruppo Aryan Nations, Butler, ha un confronto con Mathews e gli chiede cosa stesse facendo: “Noi non usiamo la violenza, il nostro è un progetto a lungo termine e da qui a 10 anni prevede di insediare i nostri membri direttamente dentro il Congresso, alla Camera, al Senato fino alla Casa Bianca”.
Quando ho ascoltato questo passaggio, immediatamente ho pensato: alla fine ci hanno messo un po’ di più ma è quello a cui stiamo assistendo oggi. Un piano che parte da lontano e che a un certo punto ha visto l’appoggio e il contributo della cosiddetta Paypal mafia e dei cosiddetti broligarchi: Elon Musk, Peter Thiel il fondatore di Paypal, Mark Zuckerberg e altri signori della Silicon Valley, che uniscono ricchezza sconfinata a strapotere tecnologico.
Su Musk e Thiel vi invito a leggere un articolo illuminante sul Guardian che spiega come le radici della Paypal mafia si estendano fino al Sudafrica dell’apartheid, ricostruendo l’infanzia di Elon Musk cresciuto con i privilegi di un ordine razziale stratificato e Peter Thiel che ha vissuto in una città dove si venerava Hitler. Per la cronaca, Peter Thiel è la mente dietro l’ascesa politica di JD Vance, un membro di spicco del movimento politico che ha lanciato l’assalto del 6 gennaio al Campidoglio degli Stati Uniti.
Torniamo proprio a Vance e al suo intervento a Monaco: un attacco in piena regola in nome di una precisa ideologia. L’Europa non è minacciata dalla Russia o dalla Cina, ma piuttosto, dice, esiste una “minaccia dall’interno” rappresentata da quei principi democratici di uguaglianza davanti alla legge che gli ideologi di destra credono indeboliscano una nazione trattando le donne e le minoranze “razziali”, religiose e di genere come uguali agli uomini cristiani bianchi. Dopo aver detto all’Europa di “cambiare rotta e portare la nostra civiltà condivisa in una nuova direzione”, Vance ha rifiutato di incontrare il cancelliere tedesco Olaf Scholz e ha invece incontrato la leader del partito politico tedesco di estrema destra che è associato ai neonazisti.
Come ha scritto Patrick Wintour, quel discorso è stata una chiamata alle armi affinché l’estrema destra possa prendere il potere in Europa e la promessa che il “nuovo sceriffo in città” li avrebbe aiutati a farlo.
Per anni, molti attivisti MAGA, come Steve Bannon, hanno rivendicato un’affinità con Alexander Dugin, da molti considerato l’ideologo di Putin, che Bannon ha incontrato e lodato. Entrambi credono che le élite europee promuovano un’ideologia “globalista” che nega l’esistenza di culture e tradizioni diverse. Ma una cosa era che Bannon vedesse queste connessioni, un’altra che diventassero l’agenda politica della Casa Bianca.
Per il movimento MAGA, e per Vance, il ritiro dall’Europa attuale non ha a che vedere con la condivisione degli oneri, l’isolazionismo americano, le controversie sull’affidabilità di Putin, o anche le tariffe, ma riguarda una spaccatura ideologica.
Fa impressione se pensiamo che nel 2007 Putin proprio alla conferenza di Monaco di allora pronunciò un attacco simile, brutale e secco. Fu l’inizio dello strappo fra Putin e l’Occidente. Un discorso sottovalutato. Nessuno capì davvero la portata di quelle parole, quando dichiarò che il collasso sovietico fu la più grande catastrofe geopolitica del secolo. Pensavano fosse una iperbole, invece era un manifesto. Ha scritto Natalia Antelava, direttrice di Coda Story:
“Ogni azione successiva (l’invasione della Georgia, l’annessione della Crimea, l’abbattimento del volo MH17, l’avvelenamento di Skripal, l’uccisione di Navalny) non è stata un incidente isolato, ma una mossa a scacchi attentamente orchestrata. E ora ha vinto la partita lunga due decenni, realizzando ciò che generazioni di leader sovietici potevano solo sognare: Putin lo ha fatto non attraverso carri armati e missili, ma attraverso la pazienza strategica, la manipolazione delle istituzioni democratiche e una fede incrollabile nel destino geopolitico russo.
Questo nuovo finale della Guerra Fredda non si conclude con il trionfo della democrazia liberale occidentale, ma con il suo sistematico smantellamento. L’impalcatura ideologica portante del Cremlino, in cui il potere è verità, i principi sono debolezza e il clientelismo è l’unica vera ideologia, ora definisce la Casa Bianca”.
Trump-Putin “alleati” contro l’Europa e le democrazie liberali
Nella newsletter Letter from an American la storica americana Heather Cox Richardson ogni giorno mette insieme i fatti più importanti da sapere su quello che sta succedendo in America. Richardson ha ricostruito la storia recente dell’Ucraina e gli inquietanti legami emersi fra la Russia di Putin e Trump prima ancora delle elezioni del 2016 [nel menù a tendina la traduzione della sua ricostruzione, nda].
La figura chiave è Paul Manafort, un consulente politico a cui si rivolge Viktor Yanukovych. Sostenuto da Mosca, nel 2004 vince le elezioni presidenziali in Ucraina. Ma il voto fu così pieno di brogli, compreso l’avvelenamento di un rivale che voleva rompere i legami con la Russia e allineare l’Ucraina all’Europa, che il governo degli Stati Uniti e altri osservatori internazionali non riconobbero i risultati delle elezioni. Il governo ucraino annullò le elezioni e ne chiese la ripetizione. Con l’aiuto di Manafort, che già lavorava per il miliardario russo Oleg Deripaska, Yanukovych vince le elezioni presidenziali nel 2010. Spinge sempre più il paese verso la Russia fino alle proteste contro il suo governo nel 2014 che portano alla rivoluzione di EuroMaidan, quella che gli ucraini chiamano Rivoluzione della dignità. Yanukovych fugge in Russia e Manafort si ritrova senza un mecenate e con un debito di circa 17 milioni di dollari nei confronti di Deripaska. Nel 2016 riemerge la sua figura questa volta negli USA quando corre in aiuto della campagna di Trump. Ed è in questo momento che si intrecciano interessi e affari fra Manafort, Trump e Putin, attraverso agenti dell’intelligence russa.
E qui apriamo il capitolo dei rapporti fra il dittatore russo e l’aspirante tale Trump. Ed è il motivo per cui non definirei nuova l’alleanza fra i due.
Proprio in queste ore, sta circolando nuovamente un articolo del 2021 del Guardian che riporta la testimonianza dell’ex spia del KGB, Yuri Shvets. Fonte principale del libro del giornalista Craig Unger, American Kompromat. Shvets rivela di come la Russia abbia coltivato Trump come risorsa, come asset per 40 anni.
Anna Appelbaum ricorda su The Atlantic di quando Trump nel 1987 (ndr anno del suo primo viaggio a Mosca) acquistò annunci a tutta pagina su tre quotidiani, sostenendo che “per decenni, il Giappone e altre nazioni si sono approfittati degli Stati Uniti”. Nel 2000, Trump scrisse che “ritirarsi dall’Europa farebbe risparmiare a questo paese milioni di dollari ogni anno”.
Non sorprende che il 30 gennaio scorso la commissione Intelligence del Senato degli Stati Uniti d’America abbia approvato la nomina, voluta da Trump, di Tulsi Gabbard a capo della National Intelligence, . Una figura fortemente compromessa per le sue posizioni su Russia e Siria, tanto da essere definita una risorsa russa. Gabbard ha dichiarato che l’invasione russa dell’Ucraina è la risposta giustificata all’espansione della NATO e, nel viaggio a Damasco del 2017 per incontrare l’allora dittatore Bashar al-Assad, oggi rifugiatosi a Mosca dopo la caduta del suo regime, si è detta “scettica” sul fatto che egli abbia usato armi chimiche contro il suo stesso popolo (nonostante le prove del contrario). Tempo fa, sempre Gabbard ha realizzato un video su TikTok in cui riecheggiava direttamente la propaganda russa definendo Zelensky, un dittatore e la stessa nazione ucraina illegittima.
Non dobbiamo fare l’errore di pensare che l’obiettivo di Trump-Vance-Musk sia solo l’America. Con la stessa furia con cui stanno sventrando gli equilibri democratici interni si stanno abbattendo fuori dai confini americani. L’obiettivo è spostare il mondo verso il rifiuto della democrazia a favore dell’autoritarismo di estrema destra. David Ingram e Bruna Horvath di NBC News hanno ricostruito come Musk abbia “incoraggiato movimenti politici, politiche e amministrazioni di estrema destra in almeno 18 paesi nel quadro di una spinta globale per respingere l’immigrazione e limitare la regolamentazione del mercato”.
Oltre all’appoggio all’AfD in Germania, Musk ha dato il proprio sostegno a movimenti di estrema destra in Brasile, Irlanda, Argentina, Italia, Nuova Zelanda, Sud Africa, Paesi Bassi e altri paesi. Il mese scorso, prima che Trump entrasse in carica, il presidente francese Emmanuel Macron ha accusato Musk di sostenere un movimento reazionario globale e di intervenire direttamente nelle elezioni, comprese quelle tedesche.
La propaganda russa, allo stesso modo, sta spingendo l’ascesa dell’estrema destra in Europa attraverso i social media, come ha fatto negli Stati Uniti. Il presidente russo Vladimir Putin ha cercato a lungo di indebolire le alleanze democratiche degli Stati Uniti e dell’Europa. Ed è esattamente quello che sta ottenendo, oggi anche grazie alla complicità di Trump-Musk (Trump sarebbe anche disposto a ritirare le truppe americane dai Paesi Baltici, ulteriore concessione a Putin che vuole le truppe Nato fuori da tutti i territori ex sovietici o addirittura da tutto il Vecchio Continente). Inutile dire che le tv di Stato russe hanno esultato davanti al discorso di Vance a Monaco: “Europa umiliata, il padrone ha fustigato i suoi vecchi vassalli. Gli Usa che si sfilano dall’alleanza con l’Europa sono una vittoria per la Russia”.