La narrazione delle narrazioni. Quando la politica è morta

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 23 aprile 2017

“È entusiasmante la politica quando incontra le storie”. Lo ha detto il segretario in pectore del PD. È un’affermazione che non mi ha sorpreso. Una volta la politica incontrava donne e uomini, giovani e anziani, figure sociali che presentavano disagi e contraddizioni. Oggi certa politica si entusiasma invece se incontra ‘storie’, racconti, vicende, o meglio se riduce quelle donne e quegli uomini reali a narrazione pura, a qualcosa che può essere soprattutto raccontato dopo aver perso corporeità sociale. In Italia Veltroni fu maestro. In ogni comizio (ogni!) ci diceva che aveva ricevuto una lettera di qualcuno che gli raccontava cose e che lui leggeva in pubblico, traendone ammaestramenti e moniti. Storie, insomma, al posto degli uomini in carne e ossa, che da figure sociali si trasformavano in narratori loro stessi o ‘personaggi’ buoni per l’uso che ne fa la comunicazione-politica.

Qual è la cosa curiosa di quella frase renziana? Che se la analizziamo funziona così: “È entusiasmante la politica come narrazione generale quando incontra storie e altre narrazioni particolari”. Diventa, in tal caso, narrazione di narrazione, e tocca vertici davvero ineguagliati, dove la realtà-reale finisce per squagliarsi come il formaggino nella minestrina. Perché le ‘storie’ incontrate dalla politica ‘narrata’ sviluppano un ulteriore livello narrativo, articolano e infittiscono la trama, dilatano la concretezza di ogni atto linguistico. La politica si trova a ri-narrare le storie che incontra, agisce a un livello metanarrativo, insomma ci costruisce sopra delle fiction. E così l’aria si fa più rarefatta, come quando si visitano quelle città andine poste a 2-3000 metri di altezza. Come se il vuoto, a colpi di gomito, ampliasse il suo spazio, e tutto infine si alleggerisse.

Ora, capisco il ruolo che possa avere la ‘narrazione’ in un mondo ormai dipendente dai media. Così come intuisco il valore della comunicazione in democrazia e in un’attività pubblica come la politica, molto attenta alla ricerca del consenso. Ma da qui a cedere tutta la propria autonomia, da qui a ribaltare totalmente il rapporto tra comunicazione e realtà, dove la prima diventa il fine e la seconda il mezzo, mi sembra davvero troppo. Mi sembra persino antipolitico. Trovare poi entusiasmante questa narrazione di narrazioni, godere dinanzi a questa concretezza umana che si inabissa, a queste donne e a questi uomini ormai ridotti a plot, a intreccio, a romanzo d’appendice di una politica spogliata di riferimenti reali, mi sembra il culmine. Quasi una scostumatezza.

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