La pioggia, il vento, il ‘popolo’, la sinistra

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 4 novembre 2018

Da giorni l’Italia è sommersa. Sconvolta dal furore del vento. Da giorni il maltempo mostra tutte le debolezze del nostro Paese e delle nostre città. Mostra la mancanza di manutenzione, di cura, di attenzione al territorio. Rincorriamo da decenni la ricchezza individuale, promettiamo sempre il taglio delle tasse, il taglio della spesa pubblica, il taglio di ogni interesse verso lo spazio pubblico, sia materiale sia figurato. Quando invece avremmo dovuto produrre interesse concreto per i beni pubblici, la vita collettiva, la socialità, e intervenire su tutto ciò che sta fuori dalle nostre case e che rappresenta il nostro mondo comune, l’unico che può garantire una coesione utile a tutti. L’impoverimento sociale, collettivo, pubblico è tra le cause della nostra incapacità di rispondere adeguatamente agli eventi, alle catastrofi, di preservare la vita dei più deboli, di garantire protezione alle popolazioni. È così da tempo, ormai. I governi che si succedono chiedono consenso in cambio di elargizioni personali sotto forma di bonus, sgravi, tagli alle tasse, condoni, agevolazioni finanziarie. È una politica disastrosa, perché scambia il disastro del bene pubblico per un miglioramento delle posizioni individuali. Ricchezza sociale che finisce in mille rivoli personali. Debito pubblico che cresce solo per fare regalìe mirate agli individui. Vogliono il taglio della spesa pubblica, ma promuovono quella personale, privata, con un effetto sul debito pubblico identico.

È tutto un parlare di ‘popolo’. Definito per di più ‘sovrano’. Ma è un ‘popolo’ che viene interpretato come un bancomat: inserisci debito pubblico in forma di elargizioni personali e ne esce consenso politico. Così accade che il ‘popolo’, quello in carne e ossa, venga travolto da un’onda di acqua, fango e vento. E la ‘nazione’ si scopre debole, indifesa, ridotta a sommatoria di individui di mercato piuttosto che comunità, senza più argini pubblici ma solo sofferenze personali e ferite individuali. Tante particelle subatomiche che non fanno un atomo, nemmeno un singolo atomo! Eppure ancora si continua a separare, dividere, slegare cittadino da cittadino: una frantumaglia che chiamare ‘popolo’ è una bestemmia. Andava meglio quando il ‘popolo’ erano lavoratori, figure sociali, soggetti distinti, classi, ceti, raggruppamenti, non un calderone propagandistico, un bancomat dell’antipolitica senza più una cultura unificante, senza più identità, senza più una dignità, spinto com’è a indirizzare il proprio voto in cambio di due spicci e di tanta ricchezza sociale in meno. Sarebbe ora che questo bancomat cambiasse la sua password, ritrovasse autonomia, si percepisse come lavoro, socialità, bene pubblico, partecipazione organizzata, e riscoprisse i partiti invece delle agenzie padronali del consenso che oggi imperversano.

Le ragioni della sinistra sono queste, evidenti, palmari, le cronache ce le spiattellano indosso. C’è una società debole, ci sono posizioni di debolezza che testimoniano l’egemonia di ciò che è individuale rispetto a ciò che è sociale, collettivo, comune, coesivo. Lo so che c’è chi dice che non sono i deboli, i disagiati e gli ultimi i referenti sociali della sinistra, che per fare la rivoluzione serve gente organizzata e serve potenza, forza, strategia militare. Che la rivoluzione (il cambiamento) è un progetto freddo, razionale, dove il sentimento è marginale, strumentale, secondario. Lo so bene. Io però non sono d’accordo. Senza pietas non si cambia nulla, senza prossimità alle posizioni di debolezza, alle marginalità, agli ultimi, ai lavoratori, ai precari, ai senza lavoro, ai diversi, ai sofferenti, a chi soccombe dinanzi a un’ondata di maltempo, non c’è cambiamento effettivo, non c’è ‘rivoluzione’, ma solo un altro Stato al posto del precedente, nuova razionalità e potenza al posto della precedente. Praticamente la stessa musica. Certo, per inaugurare tempi nuovi serve anche un nuovo pensiero, che faccia i conti con le immense trasformazioni di questi decenni. Ma ancor prima serve un sentimento di vicinanza, di partecipazione, di prossimità, di fratellanza con i deboli che è la vera energia di cambiamento che oggi manca. Non a caso i potenti predicano sempre odio e risentimento verso i più derelitti. Forti coi deboli, deboli coi forti.

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