di Benedetta Piola Caselli – 3 luglio 2014 su facebook
Provate a mettere dei ragazzi volenterosi ed entusiasti di fronte a queste cose: un cerchio, due scope, vari straccetti e ditegli: “ora giocate”.
Vedrete delle facce perlesse.
Qualcuno, i piu intraprendenti, proveranno ad inventarsi qualcosa. Qualcuno si tirerà il cerchio, qualcuno giocherà a fare a botte con le scope (gli straccetti, non li toccherà nessuno).
Dopo un po’ si scocceranno, ed il gruppo si disperderà.
Ecco: prima che questo accada, dite ai ragazzi: “ci sono due portieri, fermi nelle basi, e ciascuno ha una scopa. Lo scopo di ogni squadra è centrare la scopa con il cerchietto; ma i giocatori devono passarselo dopo tre passi. Ciascun giocatore ha lo straccetto legato dietro la schiena e, se viene scalpato mentre ha il cerchietto, lo deve cedere all’altra squadra”
Il gioco si chiama roverino, e vedrete che è divertente.
Il punto è: per giocare c’è bisogno di organizzazione.
E per avere l’ organizzazione, c’è bisogno di regole e struttura: si può decidere chi e come deve darle; ma un gruppo che non ne ha è destinato dopo poco a disperdersi, proprio come i ragazzi del roverino, o il popolo viola, o i girotondi.
Sarebbe un peccato fare quest’errore con la lista Tsipras, perché il progetto è buono, e forse i tempi sono maturi per una sinistra unitaria.
Anzi sarebbe un po’ più di un peccato; sarebbe il tradimento della politica come molti di noi l’hanno intesa: e cioè come servizio.
Servire è una parola che ricorre troppo poco, e che dovremmo invece avere tutti ben presente.
Servire è mettersi a servizio di un progetto altro, e più alto, rispetto al piccolo particolare.
Va riscoperto il valore della militanza anonima, del lavoro generoso di tante compagne e compagni che faticano per la causa senza ricompensa; senza voler metterci per forza “la faccia” per qualche minuto di riconoscimento o speranza di qualche utilità personale.
E: Servire è anche essere utili: quindi basta perdere tempo in chiacchiere.
Nel corso delle varie assemblee è emerso il bisogno di concretezza.
Come si diventa concreti?
Le associazioni ce lo insegnano: (anche) stilando un cronoprogramma delle azioni rispetto agli obiettivi.
Che forze abbiamo, come numeri, disponibilità, competenza?
Cosa riusciamo realisticamente a fare con quelle forze da qui a tre mesi? da qui a sei? da qui a un anno?
Ci sono già battaglie in corso volute da altri e a noi affini, che possiamo supportare, invece che cominciarle da capo?
Individuiamo così gli obiettivi, ed organizziamoci per raggiungerli.
Facilmente non arriveremo alla pace nel mondo o all’inaugurazione della città futura; però qualche risultato lo porteremo sicuramente a casa.
Soprattutto, saremo costretti a concentrarci anche sulle battaglie quotidiane e “minime” invece che rincorrere unicamente i grandi ideali.
La lotta all’austerity, ai TTIP, alla precarizzazione del lavoro etc. sono cose sante e non devono mai essere dimenticate.
Ma altrettanto importanti sono le piccole lotte del quotidiano che cambiano la vita della gente, concretamente, qui ed ora: la qualità dell’assistenza al parto, il diritto agli asili nido, la tutela dei minori in difficoltà (italiani e stranieri), le mense ed i ricoveri, ormai frequentatissimi anche da gente impensabile due anni fa; il trasporto pubblico locale … e chi più ne ha più ne metta.
L’attenzione alle “piccole lotte” non porterà alla frammentarizzazione se ci sarà una struttura solida, e democratica, a gestire il programma.
Al contrario, manterrà questa esperienza politica coi piedi per terra, e la metterà sul serio al servizio dei cittadini, che è quello (credo) che tutti vogliamo.
Se riusciremo in questo progetto, saremo riusciti a riportare la politiica alla sua missione di Servizio.
Ma, se anche alla fine non ci saremo riusciti, avremo almeno provato, e in questo sforzo avremo lasciato la sinistra un po’ migliore di come l’abbiamo trovata.