di Alfredo Morganti – 9 luglio 2014
La domanda è: giocare al doppio (o triplo forno) è la stessa cosa che lavorare a un patto unitario, istituzionale, davvero coinvolgente e paritario per tutti? Me lo chiedo perché, quando si accenna al ‘patto’ Renzi-Berlusconi, si risponde sempre: le riforme istituzionali si fanno anche con l’opposizione. Che sarebbe anche corretto se la locuzione “farle con l’opposizione” non significasse, di fatto, mettersi al centro dello schieramento per giocare di sponda o a rimpiattino con le altre forze politiche. I due (o tre) forni, appunto. O la scelta di fare le riforme assieme adotta il metodo del grande dibattito politico-istituzionale attorno a un progetto emendabile, oppure è solo manovra politica, tatticismo, una sorta di domino per assicurarsi un predominio duraturo. Non è differenza di poco conto. Per usare il linguaggio renziano: o si tenta un selfie generale, oppure si fanno tante fotografie distinte e le si pone in competizione tra loro (pur preferendo quella del Nazareno). Non che la ‘competizione’ debba scomparire, pur all’interno di una vasta discussione unitaria. Ma che si utilizzi un forno contro l’altro, chiamando questa pratica “fare le riforme con l’opposizione”, appare davvero una furbizia retorica.
Per di più, uno dei due (o tre) forni appare decisamente avvantaggiato rispetto all’altro. C’è un patto così stretto (e segreto) con Berlusconi da far pensare che quello sia l’unico forno crepitante del fornarino Renzi. E il resto sia schermaglia, noiosa questione da dirimere al più presto per sgomberare il campo. Ora, è chiaro che Grillo vuole inserirsi come un cuneo in quel patto, per rompere le uova nel paniere del premier. Ma è pur vero che definire l’accordo con l’ex Cavaliere come “accordo unitario per le riforme” appare un’esagerazione. Una specie di sineddoche, dove la parte (Forza Italia) è chiamata a indicare il tutto (il sistema politico istituzionale italiano nella sua interezza, ossia maggioranza più opposizione); col risultato di tante parti (forni) che rimbalzano l’una sull’altro, tipo le macchine a scontro dei Luna Park, e le esigenze di manovra politica che prevalgono rispetto a quella primaria, fondamentale di offrire al Paese una riforma istituzionale equa, efficace e all’altezza dei tempi.
Perché il punto è anche questo: la riforma deve produrre un sistema istituzionale migliore dell’attuale! Non uno purchessia e che si limiti a garantire un ‘vincente’ assoluto. Ma un sistema che sia più equo, più efficace, capace di rispondere alla crisi di rappresentanza, al distacco dei cittadini dalla politica, non solo alla volontà di trasformare un semplice premier in un dominus istituzionale. E certo la politica dei due forni non aiuta in questa senso, perché il progetto in discussione si ascrive tutto dentro la manovra politica, quasi bellica, di questa fase, ed esclude una discussione in ampio consesso. Insomma, una cosa è fare un lavoro certosino all’interno di una bicamerale, un’altra è presentare il patto del Nazareno tra soggetti circoscritti come un’operazione unitaria in vista di una riforma costituzionale ampiamente condivisa ed epocale. Sono cose distinte, ben distinte. Almeno lo si sappia.