Fonte: La Stampa
La tregua tra i potenti – Per un giorno, il funerale riavvicina i grandi del pianeta. Trump cordiale con von der Leyen e Macron, Milei piange il Papa “comunista”
Tutto quello che conta per la politica e la diplomazia resta invisibile in Piazza San Pietro: si capirà dopo, a spizzichi e bocconi come dicono a Roma. Tutto quello che conta per la Chiesa avvolge, sovrasta, quasi soffoca i potenti del pianeta. Li fa piccoli. Li obbliga a una giornata di tregua e inconsueta educazione reciproca. E forse si sentono diversi dal solito anche loro, tanto che succedono cose poco abituali nella scena degli attuali rapporti di forza. Donald Trump saluterà Ursula von der Leyen con compunta cortesia, da vero gentiluomo, e le prometterà un vertice a breve. Scambierà un segno della pace con Emmanuel Macron senza tentare di stritolargli la mano come ha fatto a Washington. Il medesimo Macron, il laico Macron, applaudirà la bara di un Papa cattolico come fosse anche il suo eroe. Javier Milei ostenterà un’accorata tristezza, lui che dovrebbe gioire per la fine del Pontefice che definì maligno, imbecille e comunista. Tutti dovranno incassare in silenzio l’ovazione scrociante che accoglie l’arrivo di Volodymyr Zelensky, l’uomo che metà del “settore capi planetari” progetta di tradire. Tutti dovranno chinare il capo all’omelia del cardinale decano Giovanni Battista Re, che anziché annacquare i pensieri più forti di Bergoglio in difesa dei migranti ne fa una bandiera, e arriva al punto di ricordare la messa di Francesco al confine tra Messico e Usa nel 2016. Ponti, non muri, dice: e si capisce a chi parla, applauditissimo proprio in quel passaggio.
In seguito vedremo le due fotografie storiche che marcheranno per sempre questa giornata: Trump e Zelensky a colloquio su seggioline rimediate tra i marmi di San Pietro, e poi in piedi con Macron e il premier inglese Keir Starmer, un mini-summit a quattro improvvisato nella mezz’ora che precede l’inizio della messa.
Ma, per il momento, mentre la grande giornata dell’addio a Francesco comincia, procede con la sua impeccabile liturgia latina, si estende all’omaggio degli ortodossi coperti d’oro e gemme e al loro salmodiare in greco antico, si conclude nell’infinito rito dell’Ora Pro Nobis, i potentissimi e i grandissimi della Terra non contano niente. La regia televisiva vaticana è spietata. Concede al recinto delle autorità appena qualche inquadratura a distanza, pochi secondi, neanche il tempo di capire chi c’è e cosa fa, e subito sfuma nelle panoramiche su Piazza San Pietro dove le legioni della Chiesa sono divise in settori colorati: il rosso acceso dei cardinali, il bianco dei concelebranti, il viola dei vescovi e tutto intorno l’enorme folla che ha invaso il Vaticano e riempie ogni strada fino al Tevere.
Sì, i funerali di un Papa sono anche una dimostrazione di potenza. Sì, la Chiesa è riuscita a tenere insieme la richiesta di Bergoglio – esequie “non da sovrano ma da pastore” – con un messaggio di primazia che colpisce al cuore la politica planetaria rinchiusa tra le transenne. Le immagini che viaggiano sui maxischermi di San Pietro e in mondovisione lo dicono con chiarezza: qui c’è una tradizione millenaria, c’è un pensiero solido, c’è un giudizio preciso sul presente, c’è – soprattutto – un popolo assai più grande di quello che qualcuno immaginava dopo aver presentato per anni Francesco come pontefice divisivo, scarsamente amato. Ed è evidente – anche se probabilmente incidentale, non voluto – che soprattutto il dato “popolo” colpisce al cuore classi dirigenti ossessionate dal consenso e dalla ricerca del favore delle folle. Si intuisce il pensiero: non avranno più il potere temporale, questi principi della Chiesa, ma muovono le masse senza bisogno di comizi sgangherati, di motoseghe, di slogan eccessivi e balletti sul palco.
Donald Trump, di sicuro il più osservato, si è trovato così per molte ore – finché le foto del summit improvvisato in San Pietro non sono state pubblicate – a essere uno tra tanti, anche se in extremis è riuscito a conquistare un posto in prima fila (in origine avrebbe dovuto sedersi in terza). Sull’Air Force One aveva dichiarato che volava a Roma “per rispetto del Papa e perché ho vinto il voto cattolico” (sui numeri della vittoria c’è incertezza, lui avvalora l’11 per cento in più). E chissà come ha vissuto la scoperta che nel cuore della cattolicità esiste un luogo, una circostanza, un rito, dove lo strapotere che esibisce ogni giorno non può luccicare, deve spegnersi e sottomettersi pure agli applausi corali per persone e per frasi che non gli piacciono tanto, mentre i cardinali sfilano, l’incenso brucia, la bara spartana di Francesco risulta il silenzioso centro del mondo.