Autore originale del testo: Raniero La Valle
UN NUOVO INIZIO?
Gli eventi di questi giorni, intorno alla morte e ai funerali di papa Francesco, ci spingono non solo al compianto, al ricordo, al dolore, ma anche al pensiero: che significa tutto questo? La parola più ricorrente nei giornali e nei media italiani è “ipocrisia”, che sarebbe stata quella di quanti, avendo contraddetto od osteggiato papa Francesco in vita, hanno fatto a gara per accreditarsi come consentanei a lui in morte. Data la frequenza con cui è stata usata questa parola, la sua ripetizione deve avere una sua verità. Intanto può significare l’omaggio che il vizio rende alla virtù. Ma già così sarebbe una cosa positiva, perché vuol dire attestare che la virtù è superiore al vizio, così come la realtà, diceva papa Francesco, è superiore all’idea.
Ma forse c’è anche qualcosa di più. Ed è che il consenso che si è scatenato attorno a papa Francesco, come successe con papa Giovanni XXIII, non è finto, è reale. Ed è certamente vero che non tutto papa Francesco è piaciuto a tutti, ma ognuno, come si dice per dimostrarne l’ipocrisia, ne prende un pezzo: chi la pace, chi il no all’aborto, chi l’ortodossia, chi i migranti, chi la Madonna, chi Gaza, chi l’amore per “i fratelli ebrei”; solo Netanyahu non prende niente e ci ha tenuto a farlo sapere. Però, al di là dei singoli pezzi, di cui ha fatto un accurato inventario il cardinale Re nell’omelia per le sue esequie in piazza san Pietro, è la figura complessiva di papa Francesco che si è imposta ed è arrivata al cuore della gente; per dirlo in modo più specifico, a suscitare emozione e a scuotere le coscienze è stato il suo magistero globale, cioè quel tutto, quella costante che c’è in ogni singolo “pezzo”. Questo tutto, e non potrebbe non esserlo, è stato il farsi testimone di Dio e, più ancora l’annuncio del regno di Dio che viene, e ancora di più, il modo e i contenuti inediti di questo annuncio.
E come mai questo annuncio nuovo suscita tanto consenso in un mondo secolarizzato, ateo, o” post-teista”, come pure ci piace chiamarlo? Come mai ne sono stati altrettanto toccati i pacifisti, i democratici, le donne di Plaza de Mayo, e quelli e quelle che mandano le armi perché uccidano e siano uccisi?
La domanda rimette in gioco la secolarizzazione, cioè quella che diciamo essere la modernità. È proprio vero, come dicono i sociologi, e come lamentano i custodi del tempio, che Dio è stato perduto, che la secolarizzazione ha vinto e che i fiumi di folla che accorrono agli eventi religiosi sono di non credenti, come li si chiama irrispettosamente in negativo, o di “atei devoti”, o di semplici turisti, e perciò “ipocriti”? E tuttavia, come si è visto ai funerali di papa Francesco, sono una marea. La Chiesa ha sempre pensato, e papa Francesco più di tutti, che il vero depositario della fede non è il clero, o il clero da solo, ossia il mondo del sacro, ma è il popolo, o meglio clero e popolo insieme, il “popolo di Dio”, che non è solo quello raccolto nella Chiesa cattolica, ma sono “Todos, Todos”, come diceva papa Francesco, anche in latino: “Fratres omnes”.
Dunque, ciò vuol dire che il popolo di Dio, forse senza saperlo, non ha perduto Dio, comunque gli creda. E allora forse si deve una riparazione alla modernità, prenderla per quello che veramente dice di essere, non per quello che noi diciamo che sia: non è il “secolo” dove Dio non c’è, come di fatto la consideriamo, ma è il luogo e il tempo di una convenzione in base alla quale, come diceva la famosa formula di Grozio nel contesto di un discorso sul diritto di guerra e di pace, facciamo l’ipotesi “che Dio non ci sia e non si occupi dell’umanità”; ovvero, e questa è la laicità, prendiamo per buona l’ipotesi che i cieli siano chiusi, e dunque dobbiamo cavarcela da soli; ma lo stesso cristianissimo Grozio definiva questo postulato come una finzione, e anzi come una proposizione blasfema. Dunque era un espediente adottato come antidoto all’alienazione, come interdizione a un affidarsi al miracolo o alla magia, come impegno “a non disperdere i tesori nei cieli”; ma era un “come se” non ci fosse Dio non un “così è”. La modernità ha poi risolto questa ipotesi in ateismo, di principio o di fatto, la secolarizzazione è questo: noi facciamo nostra l’ipotesi che Dio non ci sia, e scartiamo l’ipotesi esclusa. Ma nella realtà più profonda, quello che accade anche in questi giorni ci dice che non è così, che nel sottotesto di questo senso comune in molti consideriamo che, anche in modo a noi ignoto, Egli ci sia, e che il suo regno possa arrivare davvero.
Allora vale la seconda alternativa avanzata in un articolo molto bello scritto da un filosofo “non credente”, Sergio Labate, ”In morte di un papa venuto da lontano”: papa Francesco è stato l’ultimo argine «che frena l’inevitabile fine del mondo», oppure è stato il principio di un’altra storia? Ossia è stato piuttosto “il potere che spera, ancora e nonostante tutto”, che «l’umanità, anche nella secolarizzazione, può non sentirsi orfana, affidarsi alla fraternità, non cedere al cinismo e alla disperazione, trovare un modo per non farsi la guerra»? «Modernità e cristianesimo». Cioè, non una fine, ma un nuovo inizio?