Lanciata l’OPA sul PD

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 21 gennaio 2015

Parola chiave: qualunque.

Alla domanda se la minoranza sia un ‘partito nel partito’, Stefano Esposito, uno dei prossimi capilista PD alle politiche anticipate che si svolgeranno al più presto, risponde su Repubblica quasi rabbiosamente: “Sì […] era tutto evidente già con il voto sul Quirinale del 2013. Poi ci fu chi non votò la fiducia a Letta. E all’epoca non c’era ancora Renzi…”. Anzi, questo ‘partito nel partito’ se ne andasse che è meglio, aggiunge lo stesso Esposito. Capite? Il supposto ‘partito nel partito’, ossia l’attuale minoranza PD (a sentire questo tale) sarebbero gli stessi che già nel 2013 non votarono Prodi. Ma noi sappiamo che non andò così. Sappiamo che contro Prodi (o meglio contro Bersani candidato ‘azzoppato’) c’erano i futuri nuovi occupatori del governo, i chiampariniani del voto a Marini, e quegli altri che volevano invece cogliere l’attimo fuggente per impossessarsi à la Lenin del partito e dell’apparato, come poi hanno fatto. Punto. E che Bersani sarebbe stato uno sciocco ad autoazzopparsi e quindi a suicidarsi politicamente, viste le dimissioni da segretario PD. In realtà un ‘partito nel partito’ c’è oggi, e c’era pure nel 2013, ma di altro segno rispetto a quello indicato da Esposito. E si tratta dell’embrione del futuro partito della Nazione, che vedrà presto, sulla stessa barca, centrodestra e centrosinistra, dopo un’inevitabile e doveroso (à la Esposito) ‘taglio’ delle ali. Un nuovo partito che in Liguria sta già sperimentando un proprio vivace laboratorio, a colpi di primarie apertissime e ferite inferte sulla pelle della sinistra locale e nazionale.

Dirò di più. A forza di dire ‘OPA sul PD’, io questo partito comincio a immaginarlo non come una ‘Ditta’, ma già oggi come una specie di società per azioni, col suo CEO, i suoi dividendi e soprattutto le quote azionarie e la scalabilità. Se proprio dovessi fotografare il pacchetto azionario del PD direi: Renzi detentore del 60% delle quote, orfiniani al 10%, minoranza PD 20%, Berlusconi 9%, area popolare 1% (Liguria). Attualmente tutto si regge sul patto di sindacato tra Renzi e orfiniani che controllano un bel pezzo di azienda. Ma Berlusconi è un interlocutore fondamentale del CEO, e puntella viepiù la quota di maggioranza. Oggi, taluni piccolo-medio dirigenti che siedono nel Consiglio di Amministrazione di Palazzo Madama (come Esposito) invocano delle iniziative tranchant contro la quota di minoranza detenuta da Bersani, Civati, Cuperlo, Fassina. “Vendete tutto, fatevi una vostra azienda e non ci rompete le scatole” è come se avesse detto a ‘Repubblica’, pregustando la futura competizione sul mercato elettorale. Se ne possono andare, tutti, dunque, e non si presentassero più in Consiglio di Amministrazione. Tanto, come dice sempre l’ineffabile Esposito, per l’elezione del Presidente della Repubblica “505 voti li trovi comunque”: facile, si fa una rastrellamento di azioni sul mercato, si fa entrare Berlusconi nel patto di sindacato, si fa un accordo di monopolio coll’ala destra del Partito della Nazione e si impone al mercato il proprio prodotto senza più concorrenti veri. Facile. 505 voti? Li trovi! Gialli, neri, rossi, verdi, azzurri, che importa il colore? ‘Qualunque’ è la parola chiave. C’è una tale dose di cinismo dietro queste parole, che fa inorridire.

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