L’arte magica (IV)

per tonigaeta

di Antonio Gaeta, 31 gennaio 2018

Nella parte III di questo studio ho scritto che nella parte IV avrei parlato sull’azione dell’«inconscio collettivo», evidenziato in modo particolare nella simbologia del «serpente» e degli altri animali. Questo il motivo che impone un passaggio temporale dall’età neolitica a quella paleolitica.

Non so a quanti é noto che in età paleolitica l’appartenenza della specie umana al complesso delle specie animali era fortemente percepita (diversamente da oggi, nonostante un secolo e mezzo di conferme biologiche) !

Contrariamente ai cultori della ‘caccia grossa’ di cultura patriarcale ed etnia indoeuropea, la riproduzione mediante levigazione o scarnificazione, con successiva colorazione delle pareti rocciose, di un animale, spesso rappresentava un atto di devozione e allo stesso tempo riconoscimento nei confronti della ‘forma vivente’ considerata antica progenitrice. Un biologo evoluzionista potrebbe accogliere esterrefatto l’inconscia consapevolezza del forte legame che nel paleolitico ispirava ciò che André Breton chiama manifestazioni delle “origini magiche dell’arte”, come tale non storicamente databile ma solo qualificabile.

Antropologi ed etnologi definiscono la ‘figura animale’ dotata di importanti poteri come “totem”: ovvero un’entità naturale e allo stesso tempo soprannaturale, che ebbe un significato simbolico particolare, per una persona o per un clan, e al quale ci si sentiva legati per tutta la vita.

Si potrebbe aggiungere che nelle rappresentazioni dell’animale totemico si estrinsecava, altresì, la necessità di forme mutualistiche di reciproco scambio, tra ‘animale homo’ ed ‘animale totem’. L’umano offriva rispetto e devozione, ricevendo in cambio protezione nei confronti di altri animali non totemici e sicurezza sociale nei confronti di altri clan umani.

Queste forme psichiche, che precorrono le motivazioni delle credenze religiose iniziate poi nel neolitico, contengono tutte le caratteristiche che abbiamo già esaminato nei brani precedenti (Arte Magica 1, Arte Magica 2, Arte Magica 3), per definire il carattere magico di talune performance artistiche.

“Tutto l’animale umano – scrive André Breton – partecipa della magia e sussume in essa lo sviluppo del proprio essere, ma é inevitabile che accanto alla coscienza sessuale, la coscienza «luminosa» (Pierre Mirabille), fondata sulla ‘veggenza’ , abbia in questo processo la parte principale, perché le percezioni dell’udito assicurano di più la distinzione tra l’io cenestetico (*) e l’universo, che non la progressione dinamica (tipicamente mentale, ndr) nei rapporti con questo stesso universo.”

Come abbiamo già esaminato nelle parti precedenti, allorché l’artista sente di raggiungere un livello espressivo, che sembra staccarlo da terra e portarlo al centro dell’universo, egli si trova esattamente in questa condizione comunicativa, che gli permette di percepire se stesso e il mondo intero con una qualità di ascolto del tutto diversa dal solito ambito razionale.

Proseguendo la citazione di Breton, egli a sua volta cita altri autori: «Quando il totemismo del Nord-Ovest colloca l’immagine dell’occhio, che tutto vede su ogni parte del corpo dell’animale emblematico, ciò indica che tutto il corpo é dotato di intendimento» (H.B. Alexander, L’Art et la Philosophie des Indiens d’Amérique du Nord, Paris 1926) – “L’arte magica più concreta – prosegue quindi Breton – sarà dunque l’arte più «idealistica»: il bambino disegna la casa, vista contemporaneamente dall’interno e dall’esterno oppure ne giustappone gli elementi. Ma le pitture «radioscopiche» della Terra di Arnhem vanno oltre: gli animali che in esse compaiono sono trasparenti… omissis”.

Poiché l’Arte Magica non ha Storia, discorrere di essa non implica seguire un percorso. Per questo Breton salta con grande facilità dal paleolitico al neolitico, anche quello persistente in ambito moderno.

“Presso gli indiani Pueblo – egli dice – la ceramica é un privilegio delle donne. L’artista, quando fa un uccello con elementi che sono immagine della pioggia, delle nuvole, delle foglie, dei baccelli, invoca le potenze che producono la pioggia e lo fa, per affermare il suo diritto a usare questi simboli, ‘che derivano da un passato dimenticato‘!

Solo oggi abbiamo cominciato a intravedere che le grandi cosmogonie australiane, per esempio, in onore delle quali interminabili tracciati rupestri riproducono l’andamento sinuoso dell’Avo-Serpente (pur contemporanee, ndr) hanno luogo in un tempo diverso dal nostro…omissis. Questo «altro tempo» ha presso gli Arunta il nome di ‘alcheringa’ o ‘altirija’, nome che significa contemporaneamente: 1- sogno d’iniziazione; 2 – un racconto sacro; 3 – il tempo in cui gli uomini-animali crearono il mondo. E’ «una quinta dimensione dello spazio», che favorisce al massimo grado la magia operativa, non solo nella sua articolazione pratica, ma nella sua stessa concezione (Géza Ròheim, The Eternals Ones of the Dream).”

Al di là delle ultime argomentazioni di Breton, l’argomento della vastità interpretativa del significato del «serpente» ci porta nuovamente in quelle aree del tardo Neolitico (Calcolitico), in cui nacquero e si svilupparono le prime civiltà umane: quelle che abbiamo appreso essere state caratterizzate da un’organizzazione sociale fondata sul culto della Grande Dea e, di conseguenza sulla venerazione del «femminile» e della «femminilità».

Questo perché, come ci rivela la grande antropologa Heide Goettner-Abendroth al ritorno dai suoi viaggi trentennali su tutto il pianeta (tranne l’Europa), gli ‘animali simboli’ più frequenti della Dea furono ovunque l’ «uccello» e il «serpente» !

Essa non approfondì le ricerche europee, perché la grande archeologa Marija Gimbutas aveva già ‘rovistato’ nei reperti archeologici di molti scavi europei. Tuttavia, la stesura del suo volume (Le società matriarcali – Studi sulle culture indigene nel mondo – Venexia Edizioni) più volte evidenzia la simbologia del «serpente», come animale prediletto dalla Dea, in quanto simbolo dei corsi d’acqua e delle acque terrestri più in generale. Come conseguenza del lungo lavoro di cernita e catalogazione, la Gimbutas ha scritto numerosi saggi sul “Linguaggio della Dea” e sulla “Civiltà della Dea”. Ma l’ultimo (forse il più importante) pochi lo conoscono. Si tratta de “Le dee e gli dei dell’antica Europa” (Stampa Alternativa).

In uno dei capitoli di questo volume [Il Meandro, simbolo delle acque cosmiche] la Gimbutas scrive: “Il meandro (**) si trova inciso su statuine con maschere e teste di uccello, con serpenti al posto delle braccia e delle gambe, e su maschere, vasi di culto e altari, in tutti i gruppi culturali dell’Antica Europa. Le statue Vinca, che rappresentano personaggi solenni, alcuni seduti altri in posizione eretta, indossano un pendaglio a forma discoidale e presentano il simbolo del meandro marcato sull’addome o sulla parte anteriore o posteriore dell’abito indossato. La stessa tipologia ricorre sulla fronte di maschere più elaborate.. omissis.

La parte anteriore e posteriore della Dea bicefala Vinca di Gomolava é decorata con un grande meandro, mentre un meandro inciso sul retro di un uccello acquatico Vinca, rispecchia l’associazione con una divinità avi-forme e con l’acqua.

Considerato che tutti i più prestigiosi vocabolari dedicano al termine “meandro” quello di ripetuta ansa fluviale o di tortuosi fiordi marini a profonda penetrazione tra le terre emerse, l’associazione delle decorazioni sulle statuine rappresentative delle dee europee corrisponde con quella delle delle dee di tutto il pianeta, nello stesso periodo pre-storico (millenni VIII – III a. C.).

A tale proposito Marija Gimbutas specifica che: “A differenza degli indoeuropei, per cui la Grande Madre é la Terra, gli abitanti dell’Antica Europa (ma non solo questi, ndr) crearono immagini materne con divinità dell’acqua e dell’aria: la Dea Serpente e la Dea Uccello.

Una divinità che nutre il mondo con l’umidità, portando pioggia, ovvero cibo divino, che metaforicamente é inteso anche come latte materno, diventa naturalmente nutrice e madre. Infatti, le statuine in terracotta di serpente o uccello antropomorfo, che cullano un bambino, si trovano in vari periodi e in molte regioni dell’Antica Europa: anche nelle culture minoiche (per ribadire che la civiltà minoica, sebbene più vicina a noi, appartiene allo stesso tipo di civiltà matrilineari più antiche, sebbene oggetto di riesumazione archeologica più recente, ndr).

L’esempio é fornito dalla Madre o Nutrice seduta, proveniente dal sito di Sesklo… omissis. La Dea Serpente e Uccello é, dunque, un’immagine predominante, in quanto composta da un uccello e un serpente entrambi acquatici, con lungo collo fallico, che viene ereditata dalla «cultura magdaleniana» (***) del Paleolitico superiore (e qui ci ricolleghiamo a quanto scritto prima, ndr).

Anche se di solito é ritratta come ibrido, questa divinità potrebbe anche essere raffigurata come Dea Serpente e Dea Uccello distinte. Comunque, in essa si incarna il «principio femminile» !

Pertanto, per necessità di concretezza logico-discorsiva, riprendo l’affermazione di A. Breton come esempio, da poter ricondurre anche all’artista moderno, dicendogli che “quando fa un uccello, con elementi che sono immagine della pioggia, delle nuvole, delle foglie, dei baccelli, egli invoca le potenze che producono la pioggia e lo fa, per affermare il suo diritto a usare questi simboli, ‘che derivano da un passato dimenticato’ !” Simboli che viaggiano nella dimensione temporale del junghiano «inconscio collettivo», portando con sé contenuti carichi di significato magico.

NOTE:

(*) – La cenestesi è una sensazione generale relativa ai visceri interni e alla loro attività vegetativa. Si tratta della somma di sensazioni propriocettive e interocettive (con esclusione di quelle che vengono dagli organi sensoriali propriamente detti). Occorre aggiungere che studi più recenti avrebbero accertato l’esistenza nell’intestino di un altro ‘cervello’, con funzioni regolatrici (?) delle emozioni.

(**) – Il dizionario etimologico Zanichelli tra i vari significati attribuisce a meandro anche quello di ‘motivo ornamentale costituito da elementi ripetuti e collegati tra loro’  Ma oltre a questo anche quello di ‘tratto acquatico sinuoso’.

(***) – Cultura magdaleniana: [dalla stazione preistorica di La Madeleine in Francia]. Cultura della fine del Paleolitico superiore, successiva al Solutreano, caratterizzata, tra l’altro, dalla fioritura di manifestazioni artistiche di eccezionale livello qualitativo. La denominazione deriva dal giacimento scavato nella grotta di La Madeleine in Dordogna da E. Lartet nel 1863. Venne suddiviso in sei fasi (Magdaleniano I-VI) da H. Breuil, sulla base dell’evoluzione di determinati manufatti su osso o corno che assumono particolare sviluppo in questo periodo (arponizagaglie, aghi, propulsori, ecc.). Una fase molto antica, il Magdaleniano 0, è stata individuata da F. Bordes e attribuita all’inizio del Würm IV, ca. 17.000 a. C.; a essa segue il Badegouliano (ex Magdaleniano I). Al Magdaleniano antico sono riferiti l’ex Magdaleniano II, cui segue, con industria abbastanza simile, il Magdaleniano III. Il Magdaleniano medio e superiore è compreso cronologicamente tra ca. 12.000 a. C. e 9800 a. C. Con differenze regionali, questa cultura si estende, in una prima fase, alla Francia sudoccidentale e alla Spagna e, successivamente, a gran parte dell’Europa occidentale e centrale, Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Germania, fino ai suoi confini orientali, in Ungheria, in Polonia, e all’Europa settentrionale, in Danimarca. In Italia e nella Francia del sud-est si sviluppano facies regionali prive di rapporti col Magdaleniano, come per esempio l’Areniano e l’Epigravettiano.

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