L’autonomia della classe lavoratrice nell’autogestione della produzione

per tonigaeta
Autore originale del testo: Antonio Gaeta

di Antonio Gaeta

Questo articolo trae spunto dalle dichiarazioni del segretario generale della FIOM, Maurizio Landini, circa l’opportunità di occupare le fabbriche, come risposta dei lavoratori alle tante minacce di chiusure degli stabilimenti industriali in Italia.
In proposito penso che, come il grande Karl Marx ci ha insegnato, in ogni edificio, in ogni stabilimento, in ogni luogo in cui una comunità (grande o piccola) é stata raccolta, per eseguire un processo produttivo (in cambio di salario), le cui finalità di mercato inizialmente sono conosciute soltanto dal datore di lavoro (privato o pubblico che sia), tuttavia, nel corso del tempo marturano le conoscenze della comunità lavoratrice. Esse riguardano le finalità delle specifiche mansioni, il valore reale delle stesse in termini di utilità sociale, nonché la destinazione finale dei prodotti semilavorati o finiti (o servizi), che partono dallo stesso edificio o stabilimento verso più destinazioni.
Ciò che resta in possesso del datore di lavoro é soltanto la conduzione dei flussi finanziari: dagli investimenti agli incassi delle vendite, con conseguente valutazione circa le destinazioni dei profitti. Quest’ultimi possono essere oggetto di nuovi investimenti oppure di acquisti di immobili, titoli immobiliari oppure di titoli azionari, obbligazionari (e loro derivati) o misti (fondi comuni).
Sarebbe stato molto più facile per le classi lavoratrici rivoluzionarie di singoli Paesi nel recente passato riuscire a gestire il potere politico-economico, se la classe dei grandi capitalisti non avesse ideato il mercato finanziario: ovvero quello che valuta le rendite in rapporto con la loro capacità di spostare grandi proprietà (non solo industriali), di moltiplicare il loro valore grazie a forti speculazioni, ai danni di vasti territori e dei loro abitanti, ricchi di giacimenti di ogni tipo o di particolari bellezze paesaggistiche, dove poter costruire grandi alberghi o interi villaggi turistici..
Come Thomas Piketty ha scritto di recente, é questa parte della crescente massa di grandi capitali quella che nel XXI secolo prevale sugli investimenti produttivi. Pertanto i movimenti di occupazione delle fabbriche e dei luoghi di lavoro più in generale hanno fallito e possono ancora fallire il loro obiettivo, giacché il potere politico-economico non dipende più dal possesso dei mezzi di produzione, bensì dal possesso degli strumenti (finanziari, corruttivi e speculativi), che amplificano la potenza dei grandi capitali. Inoltre, il grande sviluppo delle nuove tecnologie rende velocemente obsoleti i macchinari o comunque gli strumenti di lavoro (pubblici o privati che siano) e , quindi, il loro rinnovamento dipende dalla capacità di investimento, che i lavoratori non hanno e che gli istituti di credito ad essi non permettono di possedere, neppure pagando (in interessi) il denaro acquistato.
L’unica possibilità che una comunità lavoratrice, anche numerosa, ha di riuscire a rendere comunque produttivo l’edificio o lo stabilimento, di cui essa ha assunto il controllo sotto forma di auto-gestione, é quella di creare le condizioni sociali, che consentono ai prodotti o ai servizi che esssa produce di essere richiesti dalla e dalle collettività (vicine e non lontane). Questa é la svolta epocale alla quale soprattutto i sindacati sono chiamati a dare una risposta qualificata e qualificante.
Agire per stimolare la domanda interna é l’unico strumento di politica economica, che rende vani i tentativi pilotati da parte dei capitali globali di innescare crisi produttive, per poter speculare in termini di massimizzazione del potere delle varie forme di rendita. Se non lo fa il governo in carica, é indispensabile che lo faccia la classe che subisce tutte le conseguenze negative della crisi !
Infatti, se le crisi produttive rendono deboli le popolazioni ed i loro governi, le riprese produttive alimentate dalla domanda interna di beni e servizi conducono ad una consapevolezza maggiore del valore dell’autogestione: anche territoriale. Forse é questo il solo modo di ostacolare anche trattative segrete (tipo quelle finalizzate al Ttip), che puntano ad espropriare le comunità locali dal possesso dei loro territori e delle relative ricchezze autoctone.
Il compito di un “partito del lavoro” che si forma all’interno delle consapevolezze della classe lavoratrice é quello di vedere il futuro prossimo e lontano, senza farsi abbagliare da ‘parole magiche’ del presente !

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