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di Antonio Sgobba da Pagina99 11 ottobre 2014
Siamo tornati nelle sezioni dove Nanni Moretti realizzò La Cosa nei giorni della svolta della Bolognina. Tra manager in divisa bianca e tombolate per anziani, il sol dell’avvenire del partito di Matteo Renzi è un rompicapo.
Questo articolo è uscito sul numero dell’11 ottobre 2014 di pagina99we, nel weekend si terranno la Leopolda che discuterà della forma partito del Pd e una manifestazione Cgil che qualche anno fa si sarebbe rivolta alla stessa gente riunita a Firenze.
«Se domani il partito dovesse arrivare al 40%». Era il 1989 e un militante della sezione del Pci di Mirafiori incominciava un periodo ipotetico. Il suo discorso veniva registrato da Nanni Moretti nel documentario La cosa, racconto del dibattito tra gli iscritti dopo la decisione di cambiare nome al partito. Venticinque anni dopo l’ipotesi dell’anonimo compagno torinese è diventata realtà alle elezioni europee. Se un giorno dovessimo avere tutto quel consenso, proseguiva, dovremmo pensare bene a come utilizzarlo: «Non mi interessa che conquistiamo voti e poi sotto sotto gli operai saranno sempre lì ad avere sempre i soliti problemi», diceva il compagno col maglione rosso scuro e la camicia a quadri.
Era solo una delle tante voci raccolte un quarto di secolo fa da Moretti, che aveva seguito i dibattiti di otto sezioni sparse per l’Italia. Ma se tornassimo oggi esattamente negli stessi luoghi che cosa troveremmo? Ci si divide, si litiga, si ragiona, si piange e si ride ancora attorno a un partito? La prima cosa che abbiamo scoperto è che nella maggior parte dei casi il partito ha cambiato indirizzo. Ma ripartiamo da dove tutto è iniziato, o dove tutto è finito.
Bolognina
Nella stanza in cui Achille Occhetto annunciò la fine del Pci, non troviamo nulla che ricordi quella storia. Al numero 16 di via Tibaldi oggi c’è Magic Fashion, un parrucchiere cinese. Per arrivare al circolo Pd bisogna spostarsi di qualche metro, in piazza dell’Unità. Il coordinatore, Mario Oliva, 49 anni, di professione funzionario amministrativo dell’Ospedale Sant’Orsola è un renziano di ferro, l’unico di tutto il circolo. Da ragazzo era iscritto alla Fgci. «Qui i compagni della base sono molto critici – racconta – si fa fatica a arrivare a una sintesi. La maggior parte degli iscritti sono over 60. Nel direttivo avevo messo dei giovani, sono andati tutti via». Da queste parti il calo della partecipazione lo hanno visto tutti: per le primarie regionali hanno votato meno di un terzo dei tesserati. Se non si impegnano neanche più gli iscritti, a che cosa serve il partito? «Al sabato pomeriggio facciamo una tombolata con gli anziani. Ci autofinanziamo così. Per due ore stanno in compagnia, sono contenti».
(Contrasto)
Francavilla di Sicilia
Il film di Moretti però partiva dall’estremo sud. Francavilla di Sicilia è comune di 4 mila abitanti in provincia di Messina. Anche qui la sezione storica è chiusa da tempo, il nuovo circolo è in una sede più piccola e più economica, vicino al Comune. Lo scorso sabato pomeriggio c’è stato un dibattito sull’articolo 18. «Alla fine eravamo solo in 13, c’era maltempo», dice Patrizia Dai, 51 anni. Anche lei aveva incominciato a fare politica nella Fgci, oggi è una dipendente regionale ed è ancora iscritta al Pd. «Stiamo andando contro tutti i nostri principi. Una volta qui tutti i lavoratori erano iscritti al Pci. Facevamo le lotte per gli agrari. Ora rappresentiamo un po’ tutti e le lotte non le facciamo più. Siamo diventati moderati. Io non mi ci ritrovo in un partito così».
Ca’Nuova
La sezione Ca’Nuova non esiste più, al suo posto c’è un circolo Arci. Per trovare la sede del Pd più vicina bisogna andare nel quartiere Prà. Gli iscritti sono 155, una volta nel quartiere erano dieci volte tanti, soprattutto operai. Il coordinatore è Claudio Chiarotti, 43 anni, dipendente dell’azienda pubblica di igiene urbana. Ha incominciato a militare nel Pci quando aveva 16 anni. «Non è il Pd che immaginavo io», dice Chiarotti. «Va bene il cambiamento, ma il cambiamento può essere sia di destra sia di sinistra. Questo è di destra. Sono un operaio, guadagno 1400 euro al mese e mi sento in colpa. All’interno del mio stesso partito mi fanno sentire un privilegiato perché ho un contratto a tempo indeterminato».
San Giovanni a Teduccio
Anche San Giovanni a Teduccio una volta era un quartiere di operai. Le fabbriche di Napoli erano qui e lungo il corso c’erano ben due sezioni del Pci. Quella immortalata ne La cosa era la Pasquale Finocchio, intitolata a un operaio 24enne morto nel 1974 mentre riparava un capannone. Ora a quell’indirizzo troviamo un minimarket. Per arrivare al circolo Pd bisogna attraversare la strada e andare qualche metro più in là, al civico 986 di corso San Giovanni. Gli iscritti sono circa mille, su 25 mila abitanti del quartiere, questo è ancora uno dei circoli più grandi del sud Italia. Salvatore Finocchio, 68 anni, è il fratello di quel Pasquale caduto sul lavoro. Anche lui era un operaio, lavorava nello stabilimento dove si facevano le carrozze dei treni delle Fs, oggi è un imprenditore, ha una piccola ditta che fa infissi anodizzati. La tessera del partito ce l’ha in tasca da cinquant’anni: «E prima di me ce l’aveva mio padre e prima ancora mio nonno. Questa è sempre stata la zona più rossa di Napoli». E oggi, che gli operai non ci sono più e Renzi si mette contro i sindacati? «Anche se è un democristiano mi piace», risponde Salvatore. «Fa bene a pensare al lavoro, è la cosa più importante. Se continua così altro che 40%, quello arriva al 52%. Sta andando sulla strada giusta, sono i vecchi compagni che fanno un po’ di confusione».
Mirafiori
Inutile cercare la vecchia sezione di fronte ai cancelli dello stabilimento Fiat, in via Negarville. Il Pd si è trasferito in via Monastir, dove prima c’era la Margherita. «Per un po’ abbiamo provato a tenere tutte e due le sedi, ma ci costava troppo», spiega il tesoriere del circolo, Giuseppe Bocciardi, 55 anni, dipendente Fiat. Ha incominciato a fare politica a 18 anni nel Psi, prima del Pd era iscritto al partito di Rutelli e Fioroni. Oggi il Pd ha il governo della sua città e della Regione. Eppure dice che «questo momento non lo viviamo bene. Il modo di gestire il partito è troppo distante dalla gente. Facciamo solo due incontri al mese e si risolvono in un dirigente che viene qua e ci dice qual è la linea».
(Contrasto)
San Casciano in Val di Pesa
Spostiamoci in casa Renzi. O quasi. A San Casciano Val di Pesa, una ventina di chilometri da Firenze, il partito non si è mai mosso. Lo trovi dov’era la vecchia Casa del popolo. Tutto come nell’ottantanove. Tranne un particolare. Il coordinatore del circolo, Guido Gamannossi, ha 22 anni. Quando si discuteva della svolta lui non era neanche nato, si è iscritto al Pd tre anni fa. Nel suo circolo non sono in tanti ad avere la sua età: «Su un centinaio di iscritti, sotto i 25 anni saremo una decina. In tanti tra quelli che si interessano di politica preferiscono il Movimento 5 stelle».
Testaccio
Dobbiamo arrivare a venerdì pomeriggio per trovare qualcuno in un circolo. Roma, quartiere Testaccio, nella sede ci sono sette persone. Una è l’attuale coordinatrice, Claudia Santoloce, 31 anni, dipendente pubblica. Un altro è Claudio Morezzi, 62 anni, dipendente pubblico pure lui, ex Pci, già segretario di sezione. Nel quartiere c’è un iscritto illustre, l’ex premier Enrico Letta. Lo vedete mai qui al circolo? «No, lo vediamo più spesso al parco qui vicino, a giocare coi bambini», dice la coordinatrice.
La sezione è quasi la stessa di 25 anni fa. Una volta era una delle più grandi e popolari di Roma, dopo la svolta i locali furono divisi a metà: da una parte il Pds dall’altra Rifondazione, ora i vicini sono quelli di Sel. Morezzi le discussioni di venticinque anni fa se le ricorda, lui c’era: «Tutti i passaggi dal Pci al Pd sono state operazioni a freddo, in mezzo ci deve essere sfuggito qualcosa».
Lambrate
Che manchi qualcosa si intuisce anche a Lambrate, dove il partito non è più dov’era 25 anni fa. Nella vecchia casa del popolo di via Conte Rosso ci è rimasta la Cgil. Che sia giunto il momento di uscire dal passato e di andare finalmente a vedere il partito nuovo, liquido e post ideologico? E allora andiamo nel centro di Milano, in Brera, corso Garibaldi. Qui tra gli iscritti ci sono manager e banchieri. Il coordinatore è un docente di economia della Statale laureato in Bocconi, Marco Leonardi, 40 anni, renziano.
Questa sera a moderare l’incontro sull’articolo 18 ci sarà Alberto Palaveri, 45 anni, camicia bianca, amministratore delegato di un’impresa di packaging. Interverranno anche un deputato, cuperliano, e un dirigente della Cgil. Il sindacalista, bretelle marroni su camicia a righe marroni, attaccherà con: «Mio padre era comunista, in Sicilia nei campi non lo facevano lavorare. Io sono arrivato a Milano negli anni Settanta e ho un lavoro da dipendente. Ora dicono che quelli come me hanno sbagliato, ma quando nel 1978 io sono stato assunto in Sip…». Non tutto il pubblico apprezzerà il genere. Lo interromperanno: «E quelli che hanno la partita Iva? Quelli non ce l’hanno una dignità?». Quando sarà il momento del dibattito interverrà Daniel Pludwinski, 38 anni, iscritto dal 2011, nativo renziano: «La raffigurazione del mondo del lavoro della Cgil mi lascia basito. Io dirigo un’impresa da 90 lavoratori, so di che parlo».
La discussione andrà avanti per un paio d’ore, quando si saranno fatte le 23 i più anziani incominceranno a spazientirsi. Dopo aver preso la giacca, prima di uscire, interverrà Elda, 75 anni, figlia di partigiani: «Dovete ricordarvi che la gente ha fiducia nei sindacati». Saranno passate da un pezzo le 23 e si continuerà a discutere: «il 40% non lo abbiamo preso con la linea della Cgil, con quella linea eravate al 25». «Ma se i voti li prendiamo da Forza Italia a che serve?». «Ragazzi, viviamo già in un mondo senza articolo 18, abbiamo smesso di essere il partito dei lavoratori, ma da anni». «Certo che l’onorevole, almeno stasera, poteva arrivare puntuale».