Le mie cose

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Grazia Nardi
Fonte: Rimini Sparita
Url fonte: https://riminisparita.it

di Grazia Nardi 21 luglio 2014

…Ecco, il “non far vedere” era uno status di quel periodo. Pudore, riservatezza, orgoglio. E certamente anche ignoranza. Si badi, non mancanza di sensibilità ma penuria di informazioni anche dovuta ad un basso tasso di scolarizzazione. E poi si cominciava solo allora a mettere la testa fuori casa. Si usciva dai rifugi che non erano solo quelli della guerra, bisognava impadronirsi di nuovi simboli entrare in contatto con un mondo che, fino ad allora, sembrava rinchiuso nella scatola della radio e nella “settimana INCOM”, il cine giornale che precedeva la proiezione del films nelle sale cinematografiche. “I l’ha fat veda te film Luce”… così chiamato perché negli anni precedenti le informazioni passavano attraverso il Giornale Luce, prodotto dall’omonimo Istituto.
Si usava un modo di dire oggi in disuso: “non dar confidenza”, soprattutto agli uomini, che poi era anche un modo di vivere mentre la raccomandazione ricorrente ai bambini era “ nu fa e’ sfazed” fino al punto che veniva imposto di rifiutare anche quando ci veniva offerto qualcosa, soprattutto cibo, “dop i dis c’an vi dem da magnè”.
Così la vita intima era tabù assoluto. Mai sentita la mamma farne cenno con le altre donne, durante le veglie. Magari ne parlavano ricorrendo a metafore, come qualche risatina innaturale faceva sospettare ma con la massima attenzione a non farsi cogliere dai bambini. E pur dormendo nel lettone coi miei genitori, mai colti nell’intimità, non fosse stato per quel particolare, allora inspiegabile, che addormentatami nel mezzo, mi svegliavo la mattina sul bordo.
Ed anche la peculiarità femminile delle mestruazioni, veniva vissuta come se il proprio corpo fosse difettoso tanto che i pannolini di cotone o di lino, a dire il vero allora si chiamavano “pezze”, dovevano essere accuratamente sottratti dall’occhio del marito, guai lasciarli in giro. Un avvenimento da consumarsi nella propria individualità e che, proprio per questo, le donne definivano con un “ho le mie cose”.
Non a caso i maschietti che “lui non piange perché è un omino”…, una volta cresciuti si sarebbero vergognati di acquistare in farmacia gli assorbenti per la moglie.
Del resto era ancora in auge il pregiudizio che le donne mestruate, toccandole, avrebbero fatto seccare le piante.
Tantomeno se ne parlava alle bambine. Così quando, precocissima ed ignara toccò me, l’unico commento che sentii fu “te c –menzè prest a patì..”
Era la donna a spingere il bimbo con la carrozzina di quelle basse, in metallo, con la quattro ruote piccole piccole, per il marito sarebbe stato un gesto palese di debolezza, punti tolti alla virilità d’immagine che aveva il suo peso nell’autostima e nella considerazione generale. Sì insomma, il marito che svolgeva compiti domestici era considerato un “pataca”, succubo della moglie. E non solo dagli altri uomini.
Ed anche quelle che partecipavano ai cortei del primo maggio o alla Festa della Donna promossa dal PCI o dall’UDI vivevano una netta divisione tra le idee politiche e la morale personale.
Prendevano Noi Donne, quando quella del Partito le andava a trovare a casa ma poi leggevano Grand-Hotel, con i fumetti disegnati da Walter Molino, che apriva ai sogni ristoratori, ad un romanticismo estraneo, negato nella realtà di tutti i giorni.
Così la donna che fumava in pubblico, che entrava da sola in un bar, che appariva troppo vistosa, un mascaroun, con il rossetto accentuato, lo smalto alle unghie era facilmente percepita come “poco seria”, definita con un termine dialettale, pure scomparso: l’è un scaccher”.
Poi il boom spingerà al lavoro, non più saltuario, anche le donne. L’economia si apriva a nuovi orizzonti e due stipendi erano necessari per l’acquisto di beni che, almeno si credeva, anticipavano una nuova civiltà. La Scuola Media Unificata, superando le Scuola d’Avviamento offrirà nuove opzioni alla formazione scolastica delle bambine, fin lì penalizzate secondo un concetto che mio babbo sintetizzava così: un convein fela studiè che po’ l’ariva un pataca cu tla porta via…
Ed il lavoro farà scattare la molla di un’indipendenza non solo economica..

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