L’economia della ciambella

per Gabriella
Autore originale del testo: Dario Ruggiero
Fonte: www.lteconomy.it
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L'economia della ciambella. Sette mosse per pensare come un ...

L’ECONOMIA DELLA CIAMBELLA – di KATE RAWORTH – ed. AMBIENTE

L’economia della “ciambella”, Sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo

(a cura di Dario Ruggiero)

Quando per la prima volta ci si imbatte nell’espressione “Economia della ciambella”, la nostra deduzione è che: a) o ci troviamo di fronte ad uno scherzo; b) o di fronte ad un modello per gestire meglio l’acquisto e la fornitura di cibo. Non è così!

Il modello economico della ciambella (la Doughnut economy) proposto dalla famosa economista di Oxford, Kate Raworth, è un qualcosa di molto più profondo, un approccio al tempo stesso filosofico e pragmatico, sulla questione dell’economia sostenibile. Pensare che ci siano due linee, due limiti, due confini, oltrepassati i quali possono scatenarsi una serie di conseguenze negative per lo sviluppo umano, è di estrema utilità e praticità per i cittadini, gli accademici, le imprese e le istituzioni di tutto il mondo. Kate Raworth, nel suo libro L’economia della “ciambella”, sette mosse per pensare come un economista del XXI secolo, spiega in modo chiaro e scientifico le basi per lo sviluppo sostenibile.

In che cosa consiste “l’economia della ciambella”
“Raggiungere lo sviluppo senza portare danni alla Terra.” Questo è lo scopo principale della Doughnut Economy di Kate Raworth. Questo modello tiene conto di due confini: un confine interno relativo alle dimensioni sociali (inner boundery) ed un confine esterno che relativo ai limiti ambientali (outer boundery). Tra questi due confini si estende un’area (che assume la forma di una “ciambella”) in cui lo sviluppo sostenibile è possibile.
1) Il confine interno (la dimensione sociale): secondo Kate, una società stabile dovrebbe garantire a tutte le persone la disponibilità delle risorse di base (cibo, acqua, assistenza sanitaria ed energia) in modo tale che i diritti umani vengano pienamente rispettati. La dimensione sociale forma un confine interno, al di sotto del quale si sviluppano le condizioni per la privazione umana.
2) Il confine esterno (i limiti ambientali): l’utilizzo delle risorse naturali da parte dell’uomo non dovrebbe porre sotto stress i processi naturali della Terra (causando, ad esempio, Cambiamento Climatico e perdita di biodiversità) al punto tale da spingerla fuori dallo “stato stabile”.  La dimensione ambientale forma un confine esterno, superato il quale si realizzano le condizioni di degrado ambientale.
Kate ha individuato 11 dimensioni per la dimensione sociale (basato sulle priorità dei governi per Rio + 20) e 9 dimensioni per la dimensione ambientale prendendo spunto dal testo di Rockström et al (2009b).
Figura: L’economia della ciambella – uno spazio sicuro e giusto per l’umanità
Le 11 dimensioni della dimensione sociale sono illustrative e si basano sulle priorità dei governi per Rio + 20. Le nove dimensioni del confine ambientale si basano sui confini planetari stabiliti nel testo di Rockström et al (2009b).
Fonte: Kate Raworth (2017)
Viviamo all’interno della ciambella?
I primi tentativi di quantificare i confini sociali e planetari mostrano che l’umanità è lungi dal vivere all’interno della ciambella.
Secondo il Global Footprint Network, l’Ecological Footprint (le risorse ecologiche che utilizziamo per soddisfare le nostre esigenze) è molto più elevata della Biocapacità (le risorse che la Terra può fornire in un anno senza esaurire lo stock di risorse). Il risultato? Dovremmo vivere in un pianeta grande 1 volta e mezzo il pianeta Terra. In altre parole, stiamo sforando il nostro budget annuale di risorse ed attingendo alle riserve naturali della Terra, producendone un graduale depauperamento. E se tutti nel mondo vivessimo come si vive negli  Stati Uniti, occorrerebbero 5 pianeti. Più nel dettaglio, il confine ambientale è già stato oltrepassato per almeno tre delle nove dimensioni: il Cambiamento Climatico, l’uso dell’azoto e la perdita di biodiversità.
Secondo la Banca Mondiale, l’11% della popolazione mondiale (circa 800 milioni di persone) è malnutrita e in alcuni Paesi in Via di Sviluppo (ad esempio, Repubblica Centrafricana, Haiti, Corea del Sud, Namibia, ecc …) questa percentuale raggiunge o addirittura supera il  50%; l’11% della popolazione mondiale vive con meno di 1,9 dollari al giorno. E, infine (ma ci sarebbe ancora molto da aggiungere), circa il 30% della popolazione mondiale non ha accesso a strutture sanitarie adeguate.
Figura: L’Impronta Ecologica: di quanti pianeti avremmo bisogno se vivessimo come in……
Fonte: elabrazione LTEconomy su dati Global Footprint Network, 2017 National Footprint Accounts
È possibile vivere entro i confini della ciambella?
La sfida di spostarsi all’interno dello spazio messo a disposizione dalla ciambella è complesso perché i confini sociali e quelli planetari sono tra loro interdipendenti. I problemi ambientali possono alimentare la povertà e viceversa. Le politiche volte a rientrare entro i limiti ambientali possono, se mal progettati, spingere parte delle popolazioni a sfondare i confini del benessere sociale e viceversa. Ma le politiche ben progettate possono promuovere contemporaneamente l’eradicazione della povertà e la sostenibilità ambientale.
Ci sono 5 fattori chiave su cui lavorare:
1) Popolazione: naturalmente, più persone siamo sulla Terra maggiore è la quantità di risorse di cui abbiamo bisogno. Fortunatamente dal 1971 il tasso di crescita della popolazione si è ridotto. Il fattore chiave per stabilizzare il numero di persone che vivono sulla Terra si è dimostrato essere la capacità di “garantire una vita senza privazione”, al di sopra dei limiti sociali.
2) Distribuzione: è necessario un utilizzo più equo ed efficiente delle risorse globali in modo da rientrare entro i confini della ciambella. La disuguaglianza nella distribuzione della ricchezza e del reddito rappresenta un grave problema, oltre che una grossa minaccia per il quieto vivere sulla Terra. E l’iniqua distribuzione della ricchezza si riflette altresì nel modo in cui le persone/i Paesi emettono i tanto paventati gas serra: il 45% delle emissioni globali di CO2 è prodotta dai soli 10% più grandi emettitori. Ma non si tratta solo di ricchezza; si tratta di diritti umani: Il 13% della popolazione mondiale è malnutrita. Fornire loro le calorie supplementari necessarie richiederebbe solo il 3% dell’attuale fornitura globale di alimenti. Si consideri a riguardo che almeno il 30% dell’approvvigionamento alimentare mondiale viene perso dopo la raccolta.
3) Aspirazione: vivere in un contesto urbano amplifica gli effetti del comportamento di massa e delle campagne promozionali sui nostri desideri e bisogni. Maggiore sarà la nostra aspirazione verso bisogni materiali, tanto maggiore sarà la nostra pressione sul pianeta Terra.
4) Urbanizzazione: entro il 2050 il 70% della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane. Le città urbane possono anche offrire un’opportunità per soddisfare in modo più efficiente i nostri bisogni. Come? La scelta delle tecnologie nei settori dell’edilizia, del trasporto e dell’energia avrà un ruolo decisivo nel determinare la quantità di CO2 emessa nonché delle risorse utilizzate e dei rifiuti prodotti.
5) Governance: è necessaria una forte governance locale, nazionale e globale per affrontare in modo più sistematico e con una visione a lungo termine le sfide impellenti.
Secondo Kate, il passaggio dal PIL alla ciambella è indispensabile per superare le sfide del XXI secolo. Il PIL è una misura effimera, incompleta e superficiale. Non è adatta per gestire e curare il nostro pianeta Terra!
Tre cose essenziali che dovremmo conoscere sui limiti sociali ed ambientali
Questi due concetti condividono alcune importanti caratteristiche:
a) I limiti sociali ed ambientali sono interdipendenti: oltrepassare uno di questi due limiti può provocare una crisi nell’altra dimensione. Lo sviluppo sostenibile può essere raggiunto con successo solo se l’eradicazione della povertà e la sostenibilità ambientale vengono perseguiti contemporaneamente.
b) Entrambi i confini si basano sulle norme: sia la dimensione sociale che quella ambientale sono essenzialmente limiti normativi. Ciò che costituisce la deprivazione umana è determinato attraverso norme sociali ampiamente accettate. Allo stesso modo, i confini naturali sono basati sulle nostre percezioni del rischio e sulla desiderabilità di rimanere all’interno dell’Olocene.
c) Globale a locale: sia la dimensione locale che quella globale contano allo scopo di rimanere entro i confini ambientali e sociali. Ad esempio, la deforestazione all’interno di un Paese può produrre gravi effetti a livello locale (inondazioni etc…), prima ancora di manifestare i propri effetti a livello globale.
Conclusioni
Il libro di Kate Raworth chiarisce, utilizzando un’immagine molto semplice e chiara, quali sono le interconnessioni tra il benessere economico, sociale e ambientale. Queste tre dimensioni di benessere non possono essere raggiunte in modo separato. Devono essere perseguitate in contemporanea. Ci sono molti indici (in prima linea l’Impronta Ecologica e l’Indice di Sviluppo Umano) che ci permettono di misurare e monitorare il benessere ecologico e lo sviluppo sociale (e quindi lo sviluppo sostenibile).
Essere all’interno della “Ciambella” deve essere un dovere! In questa prospettiva, tutti noi, cittadini, imprese, istituzioni dobbiamo spostare la nostra prospettiva da una visione a breve termine (massimizzazione dei profitti, benefici e risultati a breve termine) ad una visione a lungo termine, verso il modello della  Long Term Economy.
La Long Term Economy è un modello economico in grado di condurci verso questo nuovo modo di pensare. Scopri di più sulla Long Term Economy.
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da www.linkiesta.it

Economia della ciambella, ecco le sette mosse per guardare il mondo con occhi diversi (e provare a cambiarlo)

In “L’economia della ciambella” (Edizioni Ambiente), Kate Raworth propone un modo radicalmente diverso di pensare all’economia che serve nel XXI secolo e rimuovere le nostre convinzioni che non riescono più a leggere la nuova realtà che ci circonda

Pubblichiamo un estratto del libro “L’economia della ciambella” di Kate Raworth (Edizioni Ambiente)

Sia che vi consideriate un economista veterano o principiante, è ora di rivelare i graffiti economici che stazionano nelle nostre menti e, se quello che scoprirete non vi piacerà, grattatelo via o, meglio ancora, ridipingete tutto con nuove immagini molto più utili alle nostre necessità e ai nostri tempi. Il resto di questo libro presenta sette modi per pensare come un economista del XXI secolo, rivelando per ognuno dei sette modi l’immagine scorretta che ha occupato le nostre menti, come è diventata così potente, e quale danno ha arrecato. Ma è finito il tempo della semplice critica, ragion per cui qui ci si concentra sulla creazione di nuove immagini che catturino i principi essenziali che ci devono guidare ora. I diagrammi in questo libro mirano a riassumere il salto dal vecchio al nuovo pensiero economico. Presi insieme essi delineano – abbastanza letteralmente – una nuova immagine generale per gli economisti del XXI secolo. Quindi questo è un viaggio nel vortice di idee al cuore dell’Economia della Ciambella.

Primo, cambiare l’obiettivo. L’economia è rimasta fissa per oltre settant’anni sul Pil, o Prodotto interno lordo, come principale misura del suo progresso. Questa fissazione è stata usata per giustificare estreme diseguaglianze nel reddito e nella ricchezza, accoppiate a un degrado del mondo vivente mai visto prima. Per il XXI secolo è necessario un obiettivo ben più grande: rispettare i diritti umani di ognuno nei limiti del pianeta che ci dà la vita. E questo obiettivo è sintetizzato nell’immagine della Ciambella. La sfida ora consiste nel creare economie – dal livello locale a quello globale – che contribuiscano a portare tutta l’umanità nello spazio sicuro ed equo della Ciambella. Invece di perseguire la crescita infinita del Pil, è ora di scoprire come prosperare in equilibrio.

Secondo, vedere l’immagine complessiva. L’economia mainstream raffigura tutta l’economia in un solo diagramma, il flusso circolare del reddito. Le sue limitazioni, inoltre, sono state usate per rafforzare la narrativa neoliberista sull’efficienza del mercato, l’incompetenza dello stato, la vita domestica familiare, e la tragedia dei beni comuni. Dobbiamo ridisegnare l’economia da capo, integrandola nella società e nella natura, e fare chesia alimentata dal Sole. Una nuova raffigurazione stimola nuove narrative – riguardo al potere del mercato, alla partecipazione dello stato, al ruolo centrale del nucleo famigliare, e alla creatività dei beni comuni.

Terzo, coltivare la natura umana. Al centro dell’economia del XX secolo c’è il ritratto dell’uomo economico razionale: ci ha raccontato che siamo egoisti, isolati, calcolatori, con dei gusti stabili, e che dominiamo la natura – e il suo ritratto ha modellato quello siamo diventati. Ma la natura umana è molto più ricca di così, come rivelano i primi abbozzi del nostro nuovo autoritratto: siamo sociali, interdipendenti, vicini, fluidi nei valori e dipendenti dal mondo vivente. In più, è effettivamente possibile coltivare la natura umana in modi che ci daranno una possibilità molto più grande di entrare nello spazio sicuro ed equo della Ciambella.

Quarto, acquisire comprensione dei sistemi. L’emblematico andirivieni dei rifornimenti del mercato e delle curve della domanda è il primo diagramma che ogni studente di economia incontra, ma esso è radicato in metafore fuorvianti, risalenti al XIX secolo, sull’equilibrio meccanico. Un punto di partenza molto più intelligente per comprendere la dinamicità dell’economia è il pensiero sistemico, riassunto in un paio di cicli di feedback. Porre questa dinamicità al centro dell’economia apre le porte a molte nuove intuizioni, dai cicli di espansione e contrazione dei mercati finanziari alla natura autorinforzante della diseguaglianza economica e ai punti di non ritorno dei cambiamenti climatici. È ora di smettere di cercare le inafferrabili leve di comando dell’economia e di cominciare a gestirla come un sistema complesso in continua evoluzione.

Quinto, progettare per distribuire. Nel XX secolo, una semplice curva – la curva di Kuznets – diffonde un potente messaggio sulla diseguaglianza: deve andare peggio prima di poter andare meglio, e la crescita (alla fine) migliorerà la situazione. Ma la diseguaglianza, si scopre, non è una necessità economica: è un errore di progettazione. Gli economisti del XXI secolo riconosceranno che ci sono molti modi di progettare le economie per fare che siano molto più distributive riguardo al valore che generano – un’idea meglio rappresentata come una rete di flussi. Questo significa andare oltre la ridistribuzione del reddito fino alla ridistribuzione della ricchezza, in particolare la ricchezza che giace nel possesso di terreni, imprese, tecnologie e conoscenze e nel potere di creare denaro.

Sesto, creare per rigenerare. La teoria economica ha per lungo tempo considerato un ambiente “pulito” un bene di lusso, che solo i benestanti possono permettersi. Questa visione è stata rafforzata dalla Curva ambientale di Kuznets, che suggeriva ancora una volta che l’inquinamento deve peggiorare prima di migliorare, e che la crescita (alla fine) avrebbe portato un miglioramento. Ma non c’è nessuna legge del genere: il degrado ecologico è semplicemente il risultato di una progettazione industriale degenerativa. Questo secolo ha bisogno di un pensiero economico che scateni la progettazione rigenerativa per creare un’economia circolare – non lineare – per restituire agli esseri umani il ruolo di partecipanti a pieno titolo ai processi ciclici della vita sulla Terra.

Settimo, essere agnostici riguardo alla crescita. C’è un diagramma della teoria economica così pericoloso da non essere mai realmente tracciato: l’andamento a lungo termine della crescita del Pil. L’economia mainstream vede la crescita infinita dell’economia come un obbligo, ma niente in natura cresce per sempre e il tentativo di opporsi a questa tendenza sta sollevando questioni serie nei paesi ad alto reddito ma a bassa crescita. Potrebbe non essere difficile abbandonare la crescita del Pil come obiettivo economico, ma sarà molto più difficile superare la nostra dipendenza da essa. Oggi abbiamo economie che hanno bisogno di crescere, che ci facciano prosperare o meno: quello di cui abbiamo bisogno sono economie che ci facciano prosperare, che crescano o meno. Questo ribaltamento del punto di vista ci spinge a essere agnostici riguardo alla crescita e a capire come le economie che oggi dipendono finanziariamente, politicamente e socialmente dalla crescita possano esistere con o senza di essa.

Questi sette modi di pensare non delineano specifiche prescrizioni o correzioni istituzionali alle politiche. Non promettono risposte immediate sul cosa fare dopo, e non rappresentano sicuramente la risposta completa. Ma sono convinta che siano di importanza fondamentale per il modo radicalmente diverso di pensare all’economia che serve nel XXI secolo. I loro principi e schemi costituiranno l’equipaggiamento dei nuovi pensatori economici – e dell’economista che è in ciascuno di noi – con il quale cominciare a creare un’economia che dia a tutti la possibilità di prosperare. Data la velocità, ampiezza e incertezza del cambiamento che abbiamo di fronte nei prossimi anni, sarebbe avventato tentare di prescrivere ora tutte le politiche e le istituzioni che saranno adatte al futuro: la prossima generazione di pensatori e attori sarà ben posizionata per sperimentare e scoprire cosa funziona a mano a mano che il contesto continua a cambiare. Quello che possiamo fare ora – e dobbiamo farlo bene – è mettere insieme il meglio delle idee emergenti, e creare così un approccio mentale economico che non sia mai fisso ma in continua evoluzione. Il compito del pensiero economico nei decenni a venire sarà quello di mettere insieme concettualmente e praticamente questi sette modi di pensare – e di aggiungerne molti altri. Abbiamo solo iniziato a reinventare l’economia del XXI secolo. Unitevi a questo viaggio.

corso di Economia dello Sviluppo – Università La Sapienza di Roma

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