Liguria, come si costruisce una sconfitta

per Gabriella
Autore originale del testo: Giampiero Timossi
Fonte: Il Manifesto
Url fonte: http://ilmanifesto.info/come-si-costruisce-una-sconfitta-tramonta-burlando-lella-ciao/

di Giampiero Timossi 03 giugno 2015

Genova. Morte per avve­le­na­mento, que­sto è il referto. In Ligu­ria la classe diri­gente del Pd si è sui­ci­data così. Mar­gi­nale, anzi inu­tile, soste­nere che quella di Mat­teo Renzi resta la prima forza poli­tica della regione. Chi governa a Roma, e qui ha gover­nato per 10 anni, è sceso dal 29,88% al 24,22%. Chi era stato eletto 5 anni fa aveva rac­colto con la coa­li­zione il 55% dei con­sensi; più del dop­pio rispetto al 25 raci­mo­lato tre giorni fa da chi è stato scon­fitto. Oltre ai numeri per capire cosa è acca­duto basta un flash: l’inespugnabile Ligu­ria è stata espu­gnata dall’armata Bran­ca­leone gui­data dall’ultimo atten­dente di Ber­lu­sconi, tal Gio­vanni Toti.
Tutto que­sto pan­de­mo­nio non è suc­cesso nell’Ohio de noan­tri e non è nep­pure vero che è tutta colpa di un’improvvisa resur­re­zione della sini­stra dei Tafazzi. La Ligu­ria, alla fine, è solo la regione dei tra­slo­chi. Dove gover­nerà uno che per adem­piere al man­dato dovrà tra­slo­care da un’altra regione, la Lom­bar­dia. Ha bat­tuto una demo­cra­tica della penul­tima Leo­polda. Una signora che ha tra­slo­cato da una fazione all’altra del Pd. Otte­nendo capar­bia­mente un unico obiet­tivo: un’inattesa sconfitta.

Car­to­line del giorno dopo. La più infe­lice è Raf­faella Paita, la scon­fitta. Il più infe­lice è Gio­vanni Toti, il vin­ci­tore. Felice di nome fa Ros­sello di cognome, vive e lavora a Savona, inse­gna comu­ni­ca­zione per l’Università di Genova. E’ stato tra gli sco­pri­tori del suo allievo Fabio Fazio, è stato autore di Quelli che il Cal­cio e a modo suo ha fatto una pic­cola rivo­lu­zione in tv. Felice (di nome) la mat­tina del voto è gar­rulo. Con­fida: «Certo che voto per la Paita, per­ché rap­pre­senta il Pd di Renzi che è uno dei migliori poli­tici della sto­ria ita­liana, al pari di Andreotti e Moro. Io voglio vin­cere per andare al tavolo dei padroni e trat­tare i diritti dei lavo­ra­tori, sono stufo di que­sta sini­stra “tafazzi”, basta!».

Tafazzi, per l’infelice Paita, adesso si chiama Luca Pasto­rino, era il can­di­dato di Rete a Sini­stra, l’uomo sceso in campo dopo lo strappo ligure di Ser­gio Cof­fe­rati, è uscito dal Pd quando si è can­di­dato, lo ha fatto prima del suo amico, il capo­cor­data Pippo Civati. Pasto­rino è stato eletto e resta depu­tato, sin­daco del comune di Boglia­sco (levante ligure), non entrerà in con­si­glio regio­nale, ma ha rac­colto il 9,5%. «Gra­zie al quale i cinici Cofferati-Civati-Pastorino hanno con­se­gnato la Ligu­ria alla destra di Toti e di Sal­vini», fa sapere nella not­tata di dome­nica Paita, senza dire una parola, ma ver­gando un comu­ni­cato che è un basti­mento carico di ran­core. No, sta­volta «Lella» non twitta più, regala l’ultimo cin­guet­tio circa un’ora prima della chiu­sura delle urne. Quando @Toolnonow (nome in codice) le augura «buona for­tuna». Lei, solerte, risponde «crepi il lupo». Cin­que ore più tardi (@mauro parodi3 con­se­gnerà alla rete un tweet defi­ni­tivo: «Sta­volta ha vinto il lupo». Ma, occhio e croce, con tutto que­sto arse­nico in giro, in Ligu­ria schiat­te­rebbe anche il lupo.

E’ finita così: Lella Paita, la can­di­data dell’intramontabile gover­na­tore Clau­dio Bur­lando, doveva vin­cere a tutti i costi. E ha preso una bato­sta sto­rica. Toti ha vinto, ma non voleva vin­cere. Ci sono un sacco di indizi che pos­sono con­fer­mare il retro­scena. Voleva per­dere, per­dere bene, ma per­dere, il meglio pos­si­bile, raf­for­zare il suo ruolo di del­fino (beluga) di Sil­vio Ber­lu­sconi, fare il con­si­gliere poli­tico, l’eurodeputato che è pagato benone e soprat­tutto lasciare a Milano la sua resi­denza. Per­ché lui è un toscano emi­grato a Milano, in Ligu­ria ha una casetta per le vacanze, tutto qui. E’ come eleg­gere gover­na­tore del Veneto un pesca­tore di Pan­tel­le­ria. In tutto que­sto bor­dello Toti gover­nerà per i pros­simi 5 anni, ruolo che non ha mai rico­perto e al quale nep­pure si è pre­pa­rato. In cam­pa­gna elet­to­rale qual­che solerte con­si­gliere uscente di Forza Ita­lia gli aveva messo in agenda alcuni incon­tri con i prin­ci­pali diri­genti regio­nali. Bene, il neo gover­na­tore non si è pre­sen­tato a nes­sun appun­ta­mento. Dovrà gover­nare una regione che non cono­sce. Usando mec­ca­ni­smi che non cono­sce: il futuro appare radioso.

E, ancora, muore per avve­le­na­mento la classe diri­gente del Pd ligure e rischia l’avvelenamento il Pd di Mat­teo Renzi. Clau­dio Mon­taldo sta rac­co­gliendo le ultime let­tere dalla scri­va­nia del suo uffi­cio. Sulla porta c’è la targa asses­sore alla Sanità e vice pre­si­dente della giunta regio­nale. «L’ufficio l’ho già svuo­tato. Mi resta­vano da por­tare via solo le let­tere di alcuni com­pa­gni, le ho tenute qui fino all’ultimo, mi face­vano una certa com­pa­gnia». Mon­taldo, per gli scon­fitti Bur­lando e Paita, è uno dei tra­di­tori, forse il peg­giore, forse no. In coda alla cam­pa­gna elet­to­rale ha but­tato nella mischia la Let­tera dei Due­cento, un appello sot­to­scritto da nume­rosi diri­genti del Pd che invi­ta­vano al voto disgiunto. O era voto di coscienza, Mon­taldo? «Diciamo tutte e due le cose: era un invito a votare la lista del Pd, sce­gliendo però Pasto­rino e non una can­di­data scelta con super­fi­cia­lità e arro­ganza dal par­tito. Un can­di­dato uni­ta­rio si poteva tro­vare, certo, ma non con i metodi impo­sti da chi per quat­tro giorni sarà ancora il mio pre­si­dente, insomma Bur­lando». E ora? «Adesso si con­ti­nua a sba­gliare dicendo che la scon­fitta è colpa nostra e di Pasto­rino. Così si inver­tono le cause con gli effetti. Negli ultimi mesi, ma forse anche di più, il gruppo diri­gente locale ha perso alcuni valori fon­da­men­tali della sini­stra e i nostri mili­tanti non ci hanno più seguito. Per rosic­chiare voti al cen­tro­de­stra si sono imbar­cati deca­denti uomini del cen­tro­de­stra, magari chi in Ligu­ria aveva fatto il bello e il cat­tivo tempo sotto la pro­te­zione dell’ex mini­stro Sca­jola. Poi il capo­la­voro: siamo par­titi con una pre­sunta alleanza dall’Udc di Casini a Rifon­da­zione, siamo arri­vati soli. Ora? Io vado in pen­sione, ma spero che il mio par­tito impari la lezioni e non cer­chi solo alibi».

Morte per avve­le­na­mento, chi non ha un alibi sta cer­cando di costruir­selo in fretta. Lella Paita riap­pare lunedì pome­rig­gio, pro­vata, assai. Non cam­bia ver­sione: «Ho avuto un anno orri­bile, con attac­chi quo­ti­diani dai gior­nali di destra e da quelli pre­sunti di sini­stra» Il resto? «Pasto­rino ha fatto un disa­stro». Il discorso della scon­fitta è di ele­vato spes­sore poli­tico. Con un acuto tra le righe: un attacco pure al sin­daco di Genova, Marco Doria, alleato fedele nell’interminabile cam­pa­gna elet­to­rale: «A Genova gli elet­tori ci hanno fatto pagare i pro­blemi legali alla sicu­rezza». La colpa? Del sin­daco, ovvia­mente. Spes­sore e stile, Lella ciao. Pare di sen­tir par­lare uno dei vin­ci­tori, il leghi­sta Sal­vini. Lui sì, qui è il vero vin­ci­tore, insieme all’M5S. La Lega ha con­qui­stato il 20,25, il record di con­si­glieri: 5 eletti, 2 dal listino di Toti. «In una regione dove non abbiamo mai avuto una tra­di­zione sto­rica forte», insi­nua Sal­vini in una delle sue mille inter­pre­ta­zioni radio­fo­ni­che. Bravo Sal­vini, cono­sce come l’altro Mat­teo i segreti della cul­tura dell’oblio. Dimen­tica che la Ligu­ria era terra della Lega mai di lotta, sem­pre di governo. Dimen­tica che que­sta era la base di Fran­ce­sco Bel­sito, il teso­riere di quello scan­dalo giu­di­zia­rio che ha spe­dito fuo­ri­strada il Car­roc­cio di Bossi.

Che brutto clima, che brutte facce, come fai a non essere tri­ste. Ful­vio Mol­fino, 65 anni, geno­vese dalla dele­ga­zione di Pon­te­de­cimo, inse­gnante in pen­sione, già Pro­le­ta­rio in Divisa, entrato tren­tenne nel Pci, mai entrato nel Pd: «Ho votato Pasto­rino pre­si­dente e la lista del Pd, disgiunto. So che a sini­stra abbiamo perso, ma mi chiedo anche per­ché, io almeno lo fac­cio. Il Pd ha pro­po­sto una can­di­data che non cono­sceva nes­suno, solo per­ché era la diretta con­ti­nua­zione del governo Bur­lando. Per­ché non sono andati a par­lare nei cir­coli, con i com­pa­gni e non si sono accon­ten­tati di pro­vare a rosic­chiare voti alla destra, hanno fatto prima, hanno par­lato e coin­volto nei loro gio­chi di potere uomini di destra. Per­ché hanno pen­sato che il vec­chio com­pa­gno non potesse capire le loro grandi e moderne idee, invece le capi­rebbe benis­simo, se gli venis­sero spie­gate, se fos­sero grandi e inno­va­tive. Per­ché sono stati arro­ganti, dimen­ti­cando invece che i comu­ni­sti sanno prima di tutto ascoltare».

L’arroganza di far pas­sare per ren­ziana Paita, già ber­sa­niana. Esatto, come un’altra scon­fitta, più illu­stre, Ales­san­dra Moretti, casti­gata in Veneto, ex por­ta­voce di Ber­sani, pas­sata con il lea­der Mat­teo. Il tra­sfor­mi­smo non sem­pre paga. L’ultimo capi­tolo parla del declino defi­ni­tivo di Bur­lando, ex sin­daco di Genova, mini­stro con Prodi, dieci anni da gover­na­tore. Aveva tes­suto una fitta rete di rap­porti poli­tici con un altro ex potente della Ligu­ria, Sca­jola, già deus ex machina di Forza Ita­lia. E buoni rap­porti Bur­lando ha con­ser­vato anche con Clau­dio Bia­sotti, ono­re­vole, ven­di­tore di auto di lusso, pronto a votare con Fitto per poi tor­nare tra le brac­cia di babbo Sil­vio. Ora Bia­sotti si sente l’artefice della vit­to­ria di Toti. Magari lo è, ma capite con chi ha perso que­sta sini­stra? Un ultimo dub­bio non tra­monta mai: la colpa sarà mica di Bur­lando e della classe poli­tica che ha alle­vato senza ammet­tere discus­sioni? Un vero disa­stro, ex gover­na­tore Claudio.

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