L’illusione della democrazia dei consumi

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alessandro Forlani
Fonte: facebook

Alessandro Forlani  – 27 ottobre 2014

Penso che la risposta più intelligente allo scontro Renzi-Camusso la possiamo trovare nell’inchiesta uscita sulle pagine di Forbes e sul sunto che ne ha fatto La Stampa ieri con Marco Belpoliti. la storia va avanti a grandi passi e tanto le multinazionali quanto i sindacati europei sono indietro. siamo tutti indietro e dobbiamo darci una svegliata, per pensare con realismo a preparare un buon terreno per le nuove generazioni. ecco uno degli articoli:
Francesca non ha molti soldi in tasca, non più di una decina di euro; però ha smartphone, computer portatile, bicicletta a scatto fisso, moto e un armadio con vari vestiti. L’abbonamento al gestore l’ha trovato cercando nel web e usando il wi-fi free del bar (1 euro per il caffè). Le costa 8 euro al mese. La dritta gliel’ha data Sergio. Entrambi hanno fatto l’Erasmus in una città dell’Europa, dove hanno imparato a vivere con meno di 10 euro al giorno: mensa studentesca, inviti da amici, biblioteche riscaldate. Vestiti usati e per le vacanze scambi di case. In definitiva sia Francesca che Sergio hanno tutto senza avere niente. Vivono con i genitori, alternando periodi fuori casa a periodi in cui sono a loro completo carico. Silvana, invece, è emigrata al Nord da una cittadina del Sud. Dopo l’università si è trovata un lavoro precario in una società di post-produzione. Stava in una casa con altre tre amiche, poi una di loro si è trasferita in Gran Bretagna: un post-dottorato. Senza le amiche, non ce la faceva a pagare l’affitto. Adesso Silvana trasferisce le sue cose di mese in mese da una casa all’altra, secondo le amiche del momento. Tutti connessi e tutti precari, i trentenni, la generazione «Millennium» non ha niente – lavoro, sicurezza, futuro –, eppure ha tutto, almeno per quanto riguarda gli oggetti. Comunica continuamente, si racconta nel web, tra siti e social network, commenta, discute, biasima, attacca, e qualche volta loda: il Like come mezzo e come fine. Il mood prevalente è la lamentela: le cose che non vanno bene in generale; le inadempienze e insensibilità degli «adulti»; l’ingiustizia che devono subire solo perché nati dopo. Convinta di essere stata privata del futuro, cerca di organizzarsi nel sociale, e ha sviluppato un’indubbia solidarietà generazionale superiore a quelle precedenti. Ha ben chiaro chi è il nemico: chiunque abbia uno stipendio fisso. Il conflitto non è tuttavia un punto d’identità. Pochi coltivano il progetto di cambiare in modo radicale la società, solo sparute minoranze di utopisti. Quella dominante è invece l’utopia internettista dell’«intelligenza collettiva». Non si ragiona più per classi sociali, bensì per tribù, piccole aggregazioni, che in parte corrispondono a quelle che esistono sul web, aggregatore e insieme disintegratore delle identità di gruppo. Un tratto dei trentenni di oggi è di guardare oltre l’orizzonte del Paese dove vivono. Oramai tutti parlano inglese e leggono blogger stranieri; ragionano con strumenti e metodi che sono quelli prodotti dall’universo digitale. Tutto nel web è a portata di mano, scaricabile gratuitamente senza essere hacker. Il pauperismo del XXI secolo, incarnato dalla generazione del Millennio, è composto di bassi consumi materiali e alti consumi immateriali. Un’unica comune ossessione: alzare il proprio «capitale reputazionale». Questo è quello che serve nel web per trovare lavoro e relazioni. Per questo si spendono numerose ore durante il giorno, o più spesso la notte, per alimentare il proprio profilo Facebook, lanciare Twitter, postare frasi o immagini che colpiscono. Senza la reputazione non si esiste, e costruirsela è un duro lavoro quotidiano per cui si sacrificano altre cose. Per riuscirci non basta essere cool, bisogna essere anche autoironici, perché i coetanei sono impietosi, ancor più che con la generazione dei genitori. Sotto la cenere cova un risentimento sociale differente da quello dei padri e fratelli maggiori. Internet ha alimentato l’illusione della democrazia dei consumi e che tutto fosse a portata di mano. Tutto questo produce un senso di frustrazione che ciascuno coltiva da solo e sfoga con gli altri, senza troppe attese di veri e radicali cambiamenti.

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2 commenti

Maddalena 28 Ottobre 2014 - 17:29

Tutto talmente vero che è troppo per la generazione di “SDRAIATI” parafrasando Michele Serra. Ho i gadget, ergo sum. Nomadismo da Couch Surfing, mi reinvento ogni giorno, non mi spacco la schiena per lunghi periodi (per qualche giorno al massimo), vado all’estero con last minute, cerco lavoro in un pub, bevo più di quello che vendo, passo davanti alla bodleiana e non so neppure della sua esistenza, imparo un aglofomaccheronico grammelot (che tanto mio papà capiva dario Fo), se non mi capiscono faccio un disegno minimo, divento graffittaro……Mi accompagno con qualunque possa andare, per una sera-settimana-mesata…. Telefono a babbo per un bonificuccio, non cerco avvisi nelle bacheche scolastiche per corsi gratuiti di ikebana, pasticceria, informatica, fisica, teoria di Fermat….Arrivo a 45 anni e vado in campagna con 3 pecore e una capra, forse farò un figlio…. Chi sbaglia? Io, la società, la famiglia…..?

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