Fonte: La Stampa
L’occasione persa della destra meloniana: Poteva essere (non lo sarà) un 25 aprile diverso, una festa civile anche per la coincidenza con i funerali di Francesco e con la sfilata di potenti che si preannuncia, testimonianza diretta di come il potere – anche il più arrogante e narcisista – abbia bisogno di una veste morale e vada a cercarsela dove minore è il prezzo da scontare in termini di coerenza: alle esequie di un capo religioso che in vita risultava fastidioso quasi per tutti.
Poteva essere (non lo sarà) un 25 aprile diverso da tutti perché per la prima volta offriva alla sinistra e alla destra l’opportunità di riflettere sul significato attuale, se ancora esiste, della ricorrenza e di commisurare quegli eventi lontani con la resistenza di oggi, quella che davvero c’è, opera, sta sulle montagne: la disperata resistenza di Kiev. Poteva essere (non lo sarà) una festa civile differente dal solito anche per la coincidenza quasi perfetta con i funerali di Francesco e con la sfilata di potenti che si preannuncia, testimonianza diretta di come il potere – anche il più arrogante, anche il più autosufficiente e narcisista – abbia bisogno di una veste morale e vada a cercarsela dove minore è il prezzo da scontare in termini di coerenza: alle esequie di un capo religioso che in vita risultava fastidioso quasi per tutti.
La destra aveva quest’anno un argomento formidabile per vivere un 25 aprile che rovesciasse l’imbarazzo sugli “altri”, la coincidenza quasi perfetta tra le lettere dei partigiani italiani condannati a morte e quelle dei soldati ucraini, mai attuale come oggi, mentre di quei combattenti si sollecita la resa senza condizioni. “Ho sentito il richiamo della Patria per la quale ho combattuto, ora sono qui… fra poco non sarò più, muoio sicura di aver fatto quanto mi era possibile perché la libertà trionfasse”. “Ho combattuto per più di cinquanta giorni, completamente circondato. E sono pronto a combattere fino alla fine”. Chi è la casalinga toscana, chi è l’ufficiale di Kiev, cosa significa opporsi a un potere soverchiante? E quale data più sfidante di questo 25 aprile per incalzare una sinistra che ha scelto la bandiera arcobaleno e di fatto tifa per la capitolazione di quegli uomini e di quelle donne? Eppure da una parte il riflesso condizionato prevale mentre dall’altra si replica il copione della storia come leggenda retorica, cristallizzata in un passato senza riferimenti autentici nel presente. Il governo chiede manifestazioni sobrie. L’Anpi risponde indispettita adombrando il sospetto di un lutto nazionale prolungato per annacquare la ricorrenza.
E tuttavia proprio la gigantesca partecipazione politica che si preannuncia per i funerali di Francesco racconta che la leggenda e la retorica non sono sufficienti a chi governa le nazioni. Il “Great Again” con il suo riferimento a chissà quale età dell’oro non basta, non c’è impero romano, non ci sono brigate partigiane o bei ricordi dei treni in orario che possano rammendare l’insufficienza morale dei tempi. Bisogna inchinarsi a Papa Bergoglio sperando che l’omaggio attenui il ricordo delle sue accuse contro la ferocia del turbo-capitalismo, la disumanità contro i migranti, le guerre in armi e commerciali intraprese sulla pelle dei popoli, la dispersione dei valori universalisti della cristianità, i farisei e i sepolcri imbiancati che ingannano il mondo.
Non fa comodo alla destra vivere un 25 aprile diverso, come pure sarebbe stato possibile, perché significherebbe ammettere che gli Usa di Donald Trump sono all’opposto, sul piano valoriale, degli Alleati che dopo la caduta del fascismo stipularono un patto di ferro con le destre italiane in nome dell’anticomunismo e della difesa dello spazio di libertà dell’Occidente. Il mondo Maga ha da tempo rinnegato quel patto in nome dell’intesa con Vladimir Putin, irridendo apertamente il modello di vita e diritti che ogni europeo giudica irrinunciabile, e però: non si può dire, non si può nemmeno pensare. A sinistra, figuriamoci. La simmetria tra le dittature degli Anni Trenta e l’espansionismo russo è tabù. Inammissibile, impronunciabile, perché significherebbe giustificare l’altro paragone, quello tra i soldati di Kiev e gli uomini della resistenza italiana, e dunque chiamare in causa l’essenza del celebrato “spirito del 25 aprile”, il diritto di opporsi all’esercito invasore di una dittatura e il dovere di sostenere chi lo fa.
È in questa confusione di riferimenti e valori che vivremo la settimana dei funerali del Papa e si capisce perché tutti vogliano esserci, tutti chiedano la prima fila, alla ricerca di un imprimatur morale che da soli non riescono a darsi. In fondo è un bene. Rivela, quantomeno, la consapevolezza di una specifica fragilità ed è in fondo la vittoria postuma di Francesco su un potere temporale che non lo ha quasi mai amato ma adesso ne ha bisogno, se non altro per mostrarsi in quella piazza fatidica, per non sembrare del tutto estraneo alla sua lezione così scomoda, così indispensabile.