Fonte: La Stampa
L’Occidente, le guerre e l’imprevisto Leone
Le parole di Leone XIV magari non turberanno il disegno a cui si sono consegnate l’Europa e l’Italia – più armi, più in fretta, per ottenere la benevolenza di Trump – ma costituiscono una imprevista “visione alternativa” della partita che sta giocando l’Occidente. Visione di cui si dovrà tenere conto, anche perché sono stati proprio i grandi dell’Occidente a restituire centralità al messaggio morale del Vaticano accorrendo prima ai funerali di Papa Bergoglio e poi all’insediamento di Papa Prevost, e sgomitando per ottenere i posti d’onore in quegli eventi.
Serviti, tutti. Con una forza inaspettata che interroga non solo il Vecchio Continente ma anche l’America trumpiana da cui Leone proviene, perché citando l’Ucraina, Gaza, il Medio Oriente, il Papa sfiora l’invettiva quando parla di azioni indegne e vergognose «per i responsabili delle Nazioni» e a proposito della violenza che si abbatte sui territori dell’Oriente cristiano usa l’aggettivo più estremo del vocabolario dei credenti: diabolico, opera del demonio. Tutto si tiene, nel ragionamento di Leone XIV, e ogni scenario è collegato allo stesso principio distruttivo che è l’imporsi della legge del più forte, «in base alla quale si legittimano i propri interessi».
Ai tempi di Bergoglio sarebbe stato più facile derubricare frasi del genere, attribuendole al terzomondismo di un Papa populista cresciuto nella diffidenza per l’Occidente e abituato ad uscire dal copione della continenza diplomatica sempre coltivata in Vaticano. Le parole di Prevost pesano oggettivamente di più. Sono l’espressione di una linea meditata e precisa, con scarsi margini di compromesso, e soprattutto in Italia l’esplicito riferimento al riarmo apre un inaspettato fronte critico. Il centrodestra si era alquanto sbracciato per l’elezione di un Papa che si favoleggiava iscritto, da giovane, ai registri dei Repubblicani americani, finalmente non-pauperista, non-amico dei No-Global, non-aperturista sulle questioni etiche. Ma magari aveva ragione Steve Bannon, che a suo tempo rimase gelato dalla nomina fino a definirla una mossa anti-Trump da parte dei globalisti della Curia, «la scelta peggiore per il mondo Maga».