L’Occidente, le guerre e l’imprevisto Leone

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Flavia Perina
Fonte: La Stampa

L’Occidente, le guerre e l’imprevisto Leone

Le parole di Leone XIV magari non turberanno il disegno a cui si sono consegnate l’Europa e l’Italia – più armi, più in fretta, per ottenere la benevolenza di Trump – ma costituiscono una imprevista “visione alternativa” della partita che sta giocando l’Occidente. Visione di cui si dovrà tenere conto, anche perché sono stati proprio i grandi dell’Occidente a restituire centralità al messaggio morale del Vaticano accorrendo prima ai funerali di Papa Bergoglio e poi all’insediamento di Papa Prevost, e sgomitando per ottenere i posti d’onore in quegli eventi.

Ora il primo intervento “politico” del Pontefice spiazza un po’ tutti per i tempi, le circostanze, i contenuti. I tempi: il giorno dopo un vertice Nato che su sollecitazione Usa ha deliberato l’incremento delle spese militari, in contemporanea con un Consiglio europeo che sancirà l’upgrade nella difesa dei Ventisette. Le circostanze: l’incontro con le Opere sociali che sostengono l’Oriente cristiano, e cioè i fedeli di Iraq, Siria, Libano, Israele, Palestina, Paesi martoriati dalle guerre ai quali sarebbe stato facile rivolgere un generico messaggio di solidarietà e vicinanza. I contenuti: nulla di indeterminato ma un preciso obbiettivo polemico, il riarmo, la parola che è al centro del dibattito europeo e per il Papa è l’oggetto di «false propagande» nella vana illusione «che la supremazia risolva i problemi anziché alimentare odio e vendetta». Non solo. Nella lettura del Pontefice le stesse ragioni dei conflitti sono opinabili, andrebbero verificate e smascherate «da noi tutti» perché si nutrono di falsificazioni emotive e di «retorica», cioè l’arte di condizionare il pubblico con le parole, e l’affondo conclusivo è sintetico e senza scampo: la gente non può morire a causa di fake news.

Serviti, tutti. Con una forza inaspettata che interroga non solo il Vecchio Continente ma anche l’America trumpiana da cui Leone proviene, perché citando l’Ucraina, Gaza, il Medio Oriente, il Papa sfiora l’invettiva quando parla di azioni indegne e vergognose «per i responsabili delle Nazioni» e a proposito della violenza che si abbatte sui territori dell’Oriente cristiano usa l’aggettivo più estremo del vocabolario dei credenti: diabolico, opera del demonio. Tutto si tiene, nel ragionamento di Leone XIV, e ogni scenario è collegato allo stesso principio distruttivo che è l’imporsi della legge del più forte, «in base alla quale si legittimano i propri interessi».

Ai tempi di Bergoglio sarebbe stato più facile derubricare frasi del genere, attribuendole al terzomondismo di un Papa populista cresciuto nella diffidenza per l’Occidente e abituato ad uscire dal copione della continenza diplomatica sempre coltivata in Vaticano. Le parole di Prevost pesano oggettivamente di più. Sono l’espressione di una linea meditata e precisa, con scarsi margini di compromesso, e soprattutto in Italia l’esplicito riferimento al riarmo apre un inaspettato fronte critico. Il centrodestra si era alquanto sbracciato per l’elezione di un Papa che si favoleggiava iscritto, da giovane, ai registri dei Repubblicani americani, finalmente non-pauperista, non-amico dei No-Global, non-aperturista sulle questioni etiche. Ma magari aveva ragione Steve Bannon, che a suo tempo rimase gelato dalla nomina fino a definirla una mossa anti-Trump da parte dei globalisti della Curia, «la scelta peggiore per il mondo Maga».

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