Fonte: facebook
di Fausto Anderlini – 8 marzo 2016
Diario del Koala degli ultimi giorni. 1 bis.
L’ultimo burosauro
Ignoro i dettagli del caso, ma è troppo forte la suggestione giurassica per non tracciare una parabola.
Campagnoli, da tutti noi chiamato Duccio, è un caso esemplare di una fortuna costruita con abilità e molta cauta tenacia. Anconetano d’origine (anche imparentato con la più bella tolentina che mai abbia regnato nella splendida città dorica) Duccio immigrò a Bologna come studente aderente al Manifesto e in breve tempo, una volta entrato nel Pci d’epoca inbeniana in folta compagnia, riuscì a scalare la segreteria della Camera del Lavoro. Senza mai aver lavorato in fabbrica, senza vantare esperienze funzionariali di partito e senza godere di alcuna affiliazione importante. [Non solleverò per lui, purtuttavia, la pregiudiziale che spesso mi vien da rivendicare verso gli arrampicatori estratti dalla borghesia meridionale. Le Marche, come la Romagna, sono parte della periferia macro-metropolitana bolognese, e da queste lande, dunque dal suo Umland circolatorio, la grande città capitale padano-adriatica e comunista ha sempre tratto personalità competitive animate da una sana e legittima voglia di successo]. Dall’eloquio lento, pedante e spiraliforme, che ‘gira intorno’ al problema come grosso plantigrade (solo Luciano Giuerzoni gli stava alla pari), tutt’altro che brillante seppure dotato di buona cultura (è laureato in lettere), Duccio ha in realtà una straordinaria capacità di comprensione delle dinamiche di potere nei grandi organismi politico-burocratici. Pur non andando esente a refoli di empatia, egli è di natura solitaria e sospettosa. Direi che la sua dominante caratteriale inclina alla ‘paranoia attiva’. Perchè ‘attiva’ ? Perchè sorretta da una sostanziale razionalità. Il malato paranoico, infatti, non è un delirante qualsiasi. Egli è scosso da una fulminante intelligenza intuitiva che lo porta a vedere tutte le insidie immaginabili in una situazione, senonchè se ne lascia travolgere, rielaborando in modo passivo e ossessivo la virtualità come unica realtà, per rinserrarsi nella claustrofobia. Gli uomini di potere (politici o alti burocrati, ma anche i manager) sanno mettere questo intuito poco socievole a servizio di condotte volitive, quanto prudenti e razionali. Almeno per un certo tempo, sino al redde rationem che prima o poi, quasi sempre, arriva anche per loro, sanno sfruttare la conoscenza intuitiva della pre-realtà come principio del realismo cauto e dell’azione utile per sè. Virtù decisive per affermarsi in seconda battuta e sopravvivere. Di questa specie Duccio condivide molti degli animal spirits che la definiscono. Per certi aspetti anche in soprannumero. Infatti, contrariamente a molti burosauri sindacali che finiscono spesso in disgrazia o nell’irrilevanza una volta usciti dall’organizzazione, riesce ad entrare in Regione come consigliere per poi diventare per ben due mandati il potente assessore alle attività produttive. E quando la stella di Errani volge al tramonto, come tante altre, riesce ad ottenere la presidenza della fiera, dove già sedettero Vincenzo Galletti, Dante Stefani e Luca Cordero di Montezemolo. Grandi burosauri comunisti gli uni, esempi di un partito duro, severo, ma anche magnanimo e provvidenziale. L’altro, il Luca che per un certo tempo venne a staccare con puntualità l’onorario (i ricchi sono sempre tirchi), scelto dal furente eclettismo ‘anticastale’ di Antonio La Forgia. Uno scranno dove però, hailui, Duccio ha incontrato i soci ‘privati’ e una mutata configurazione politica. Cioè la sua fine come specie sociologica. Una società di capitale non è una organizzazione burocratica trascendente, come un sindacato, un partito, una chiesa, ma anche una grande impresa di produzione, bensì un consorzio di animali che trescano pro domo loro. Del bene collettivo, anche nella più asfittica configurazione, se ne fottono. Entrate in fiera alcune categorie, come la Cna, vendettero le azioni che erano state elargite a prezzo simbolico per far cassa e se ne andarono alla ricerca del vero bene comune (il loro). Nel consiglio di amministrazione siedono peraltro altri burosauri, quelli della peggior specie, perchè non mediati dalla politica. Gente che lucra prebende da un consiglio di amministrazione all’altro. E poi ci sono le trasformazioni della politica. In passato le società a partecipazione pubblica si inquadravano nella strategia del modello socialdemocratico. Erano il modo con cui la sfera pubblica, politicamente orientata, usciva da sè e si consorziava con altre reti economico-societarie. Il Partito, ente trascendente per sua natura, fatto di gruppi dirigenti, quadri, militanti, cioè organizzazione collettiva solida, presiedeva al processo. Inoltre mediava, con uno stretto interscambio consultivo, molte organizzazioni sociali. I burosauri d’estrazione funzionariale, partitica e societaria erano parte di questo mondo. Giustamente invisi ai membri identitari e romantico-movimentisti del partito, per la loro inclinazione soggettiva al compromesso, alle cariche e alla stabilità del potere, erano nondimeno parte necessaria di un medesimo costrutto dialettico. A questo il burosauro doveva, in ultima analisi, la sua affidabilità. Uomo esperto di potere, ma delimitato e conformato da un organismo a lui superiore, cui doveva fedeltà. Ora di tutto questo è rimasto nulla. Il partito è evaporato nelle mani dei politicanti. Le organizzazioni sociali non rispondono più ad altro che agli interessi delle oligarchie che li hanno in pugno. Sicchè le società di capitale sono consorzi di mere convenienze ostili.
Tutto questo è in atto da tempo. Il sistema barocco e consociativo messo in piedi dalla socialdemocrazia politica si è via via imbolsito, per entrare da qualche anno a questa parte in una aperta e anarcoide degenerazione. La città, la regione, non esistono più. Sono diventate un urbistan di politicanti e pseudo-manager. Gli animali giurassici dell’era socialista sono scomparsi per lasciar campo, tanto più dopo la caduta del meteorite renziano, a piccoli e famelici predatori.
In questa vicenda ci sono diverse cose che fanno specie. Utili per titare le somme.
Bonaccini e Merola che brigano con i soci privati per far fuori un loro nominato, minacciando dimissioni in massa dal consiglio di amministrazione. Proprio come avvenuto col povero Marino, la cui vicenda, evidentemente, ha fatto scuola. Uno spettacolo indecoroso.
Boni, il nuovo incaricato. Parmense di 76 anni, alla faccia del rinnovamento. Soprattutto un ‘prodiano’. Non per caso, essendo quella dei prodiani una specie camaleontica di transizione abile in ogni mimetismo di potere. Sempre pronta a prendere qualsiasi scettro caduto a terra o altro strapuntino asciato cadere dal tavolo dai vituperati post-comunisti.
Duccio stesso, che cazzo. Mi ha fatto impressione vederlo alternare minacce a pietose domande di commiserazione. Per essere lasciato comunque al suo posto, come a riassumere in una domanda di grazia un’intera vita vissuta all’insegna del cauto e gelido sospetto. Avrebbe dovuto mandarli tutti a fare in culo ed entrare nella coalizione civica, in un moto d’orgoglio terminale. Ma questo è esattamente il lato debole di ogni burosauro. Senza partito, senza organizzazione che lo trascende, l’anima del postulante, per quanto ombrosa, prende il sopravvento. In altra epoca si sarebbe messo a ‘disposizione’ di un interesse superiore. Qui poteva almeno farci divertire. Sic transit gloria burosauri.