L’Unità, l’antica sfida di un foglio di lotta e di pensiero

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Michele Prospero
Fonte: L'unità

di Michele Prospero – 31 luglio 2014

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Solo l’Unità, nel corso della storia repubblicana, ha fuso mirabilmente cultura alta e sentimenti popolari. Ha cioè costruito momenti di raffinata riflessione, con la penna di scrittori, economisti, filosofi, storici, giornalisti chiamati a misurarsi con le trasformazioni del Paese. E, al tempo stesso, ha suggerito delle stringate categorie d’analisi per guidare l’azione di un esercito militante indotto a crescere, cioè a mettere più intelligenza nella interpretazione delle cose quotidiane. Un giornale unico, di lotta e di pensiero, di battaglia e di riflessione, questo è stato il marchio di fabbrica peculiare dell’Unità.
La cultura era sollecitata a scendere nelle pieghe del reale per sentirsi comunità e i ceti subalterni erano spinti a compiere degli sforzi per trascendere i residui delle mentalità arcaiche. Quando la cultura non era accademismo sterile ma si interrogava sulle tendenze della società, magari con le griglie ideologiche di chi sentiva di aver afferrato il significato della storia e decifrato il senso della sua oggettiva contraddizione, e il popolo non era ancora catturato dalla regressione populista verso il macabro fascino delle notizie spazzatura, il giornale di Gramsci univa con efficacia registri differenti.

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E così conquistava un cospicuo mercato di lettori affascinati dalle prove di un pensiero critico destinato a un più vasto pubblico. Solo l’Unità poteva annunciare, e mettendola in grande evidenza in prima pagina, la morte di grandi filosofi-militanti, dalla scrittura a tratti enigmatica, come Antonio Banfi o Galvano Della Volpe.
Il giornale era anche un movimento diffuso, fatto di operai che leggevano il foglio delle loro lotte, di ragazzi che diffondevano una copia con la settimanale pagina dedicata alla scuola o all’inserto libri, di giovani che piegavano con perizia la prima pagina per far mostrare a tutti il nome della testata che era il simbolo di una appartenenza. L’Unità poi era anche il nome fortunato dato a una grande festa di popolo, messa su con delle impegnative sottoscrizioni estive e con la fatica volontaria sopportata dagli attivisti per esserci, con il giornale e con le bandiere, in ogni sperduto angolo d’Italia.

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Gravata da un sovraccarico di grande storia, con i successi e le sconfitte di un movimento novecentesco, e affollata dalle trame di infinite microstorie di militanti, dal vissuto di semplici famiglie comuniste, il giornale non poteva uscire indenne dalla rimozione di ogni traccia di rosso nella vicenda repubblicana. Nella catastrofe, e nello spaesamento che ne è derivato, ha saputo però ritrovare lo spazio di una nuova proposta. La caduta di ogni prestigio della politica, declassata di ogni valore e osteggiata nel senso comune come un famelico nemico da aggredire con disprezzo, non poteva che ferire un giornale politico, che alla politica conferiva il senso alto di una impresa culturale per il cambiamento.

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Eppure, soprattutto per un foglio come l’Unità, ciò che deve essere (perché il giornale deve ancora essere, e recitare una parte rilevante) è connesso ai mille fili di ciò che è stato. La navigazione in rete e i giudizi scolpiti in 140 caratteri non possono a lungo esaurire lo spazio del confronto pubblico, che si alimenta con la passione e con il pensiero. La malattia mortale della democrazia italiana (di cui anche la chiusura della testata voluta da Gramsci è un macabro indizio) sarà scongiurata solo quando la politica riconquisterà il gusto della complessità. In questo lavoro per ripristinare le condizioni di una politica-progetto, ci sarà posto anche per l’Unità. Il giornale della politica ritrovata.

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