L’uovo e la gallina. Quando viene a mancare la prospettiva

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: il carteggio aspern
Url fonte: https://ilcarteggioaspern.wordpress.com/2018/10/09/luovo-e-la-gallina-quando-viene-a-mancare-la-prospettiva/

di Alfredo Morganti – 9 ottobre 2018

Laura Pennacchi, sul ‘manifesto’ dell’8 ottobre 2018, ricordava quale fosse la sfida attuale: mettere meglio a fuoco un aspetto fondamentale del funzionamento del capitalismo, ossia la problematicità del suo processo di investimento, con una crescita ordinaria realizzata con politiche straordinarie e speciali condizioni finanziarie, che incoraggiano il rischio, l’indebitamento, le bolle. Ne traggo la lezione che la fretta e l’accelerazione temporale, indotti dalla innovazione tecnologica, dal potere dei media, dal credo liberista, dalla ricerca del consenso condotta a velocità supersoniche, abbiano contagiato ogni altro aspetto della nostra esistenza storica, a partire proprio dalle attività di governo. I processi di investimento, in effetti, necessitano di una strategia di medio-lungo termine e di un lasso temporale che mal si acconciano con la ricerca spasmodica di consenso, con la disintermediazione del rapporto tra élite politiche al potere e ‘popolo’, con l’idea di ‘scambio’ che sovrintende la relazione tra dirigenti e diretti (uno scambio sempre più vis a vis, individuale, do ut des, un metodo Lauro portato agli estremi). Evocare medio-lungo termine è come parlare escatologicamente, sine die, in termini indeterminati e incomprensibili in un’epoca, invece,  totalmente schiacciata sull’illusione del presente. Pensate agli appelli sul clima: non li ascoltano più nemmeno gli scienziati. Tanto i nostri pronipoti non votano, e il futuro per quanto bislacco o tragico è solo un’astrazione.

Il dominio della Tecnica passa anche per questa riparametrazione del tempo. L’accelerazione indotta ai processi, spinge la politica debole ad adeguarsi, a interpretare il consenso come la preferibilità dell’uovo oggi rispetto alla gallina domani. Ma si sa che, senza gallina, non ci saranno più nemmeno uova. C’è poco da fare, aver cancellato i limiti della Costituzione, aver disintermediato e appiattito i livelli istituzionali, aver cancellato il ruolo cardine e di mediazione del Parlamento, ha davvero liberato la ‘bestia’, che oggi pretende tutto e subito ed è pronta a cambiare casacca solo per cercare un nuovo ‘sfamatore’. Oggi il ‘popolo’ sa che si può ottenere il conquibus immediatamente, in cambio della moneta sonante del voto, così da potersi rivolgere al mercato con sempre nuove risorse in tasca. Ieri erano 80 euro e sgravi, oggi sono reddito di cittadinanza, tagli alle tasse, condoni tombali: un flusso di soldi dallo Stato-Pantalone (Pennacchi) direttamente al portafoglio del ‘popolo’. Poco male se si tratta di risorse pubbliche gettate allo sfascio del consumo individuale, poco importa che la possibilità di effettuare investimenti e destinarvi quelle stesse risorse è sempre più ridotta. Lo schiacciamento del tempo sul presente produce nel contempo: lo schiacciamento dell’economia a tecnica della risposta immediata e della spesa corrente; la riduzione della politica a puro mercato del consenso spicciolo; la considerazione dei saperi come zavorre; l’assunzione del consumo a vero dominus delle nostre esistenze; il ruolo dei media quali acceleratori dei nostri tempi di soddisfazione dei bisogni; la concezione della mediazione come un insulso comportamento.

In  questi giorni si è parlato di un ritorno del primato della politica. Una sciocchezza detta senza rifletterci troppo. Primato della politica vi sarebbe se i ‘limiti’ costituzionali alla sovranità popolare fossero rispettati; se i tempi della strategia sopravanzassero il bisogno sempre più incontenibile della bestia di sfamarsi; se l’economia indicasse una prospettiva storica invece di votarsi alla tecnica asciutta dei meccanismi, dei chiavistelli e delle regole istituzionali o di mercato; se la mediazione tornasse a regolare il concerto dei soggetti in campo; se i partiti svolgessero il delicato compito di essere il ‘ponte’ che manca tra élite e società e non ‘giocassero’ solo sul mercato azionistico del consenso; se la parola austerità cessasse di essere un coperchio che comprime le economie, e ritornasse a essere la lenta tessitura di un rapporto sobrio con la nostra esistenza, dove non si tratta, in primo luogo, di essere individui soli alle prese col mercato e con le sue regole, ma di provare effettivo interesse per la società, per la sua coesione, per i deboli, gli sfruttati e, in buona sostanza gli altri. Se l’austerità, cioè, non fosse una compressione delle nostre capacità strategica di investimento e di crescita, com’è ora, ma una compressione dell’individualismo di mercato che ci fa perdere di vista la ragione sociale della nostra vita, la quale dovrebbe essere più forte, più intensa della ragione meramente individuale e delle potenze tecniche e di mercato. Senza moralismi, senza etica di mercato, certo, ma al contrario rompendo proprio i moralismi e le etiche del mercato che oggi imprigionano il nostro essere sociale e ci rendono sempre più soli e impotenti, nonostante le apparenze.

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