Fonte: La stampa
La pace e il contraccolpo che serve all’Europa
Che il primo governo italiano guidato da una forza politica con la storia di Fratelli d’Italia, in una situazione europea complessiva come l’attuale, costituisca un fatto di importanza storica, a prescindere dalla sua durata e dal suo valore, credo sia incontestabile. Vi sono fattori culturali di lungo periodo che possono aiutarci a spiegare “l’esperimento”? Occorre andare alla radice di quella cancel culture ovunque dominante. Col passato non si fanno i conti, lo si cancella. Chi ha posto mano all’aratro vittorioso rifiuta di volgersi indietro. Sono vagoni di errori, a che pro affrontarli? Basta un giudizio frettoloso dall’alto delle proprie nuove certezze, un giudizio che diviene una melassa ideologico-moralistica. Il passato è zavorra se perdiamo tempo a discuterne, meglio abbandonarlo all’indifferenza e infine all’oblio.
Credo perciò autentica l’insofferenza della giovane leader quando la interrogano sul suo passato. Il passato o è portante o non è. E nessun passato per nessuno sembra essere oggi portante. Questo tratto generale della nostra cultura esprime, a volte con ingenua baldanza, la nostra leader: resettiamo la nostra memoria; i padri, sostanzialmente, hanno tutte le colpe che volete, ma non mi interessa, “io non c’ero”; che i figli, liberi dal dover ricordare, diano mano al radioso futuro.
Tuttavia il passato non si arrende a esser morto. Viene il momento che esso torna drammaticamente a riguardarci e ci impone un giudizio critico sulla Storia che ha condotto al presente. Giudizio critico significa prender parte; neutralità e indifferenza non proteggono più. Ognuno è chiamato a dichiarare quale faccia del passato sia per lui la portante e sul suo fondamento a comprendere la situazione in cui vive e a cercare di dar ragione del proprio agire. Il passato, allora, interroga e pretende. La memoria si fa attiva e chiede decisioni. Ciò vale oggi per noi, in Italia, come per tutta la cultura politica europea.
Vi è l’Europa dei nazionalismi contrapposti al cosmopolitismo economico-finanziario. Opposti e complementari. Vi è, dall’altra parte, l’Europa in cui l’identità nazionale si esprime pienamente soltanto per l’energia con cui sa riconoscere ed essere riconosciuta dall’altro. Vi è l’Europa erede delle secolari lotte per l’egemonia che hanno condotto al suicidio delle Guerre mondiali – e vi è l’Europa che da quelle tragedie è sembrata capace di uscire ripudiando la guerra «come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» e di presentarsi come costruttore di accordi, di patti, di ponti tra i grandi Imperi. L’Europa che sembrava aver compreso che non vi può essere alcuna pace astrattamente separata da un’idea di giustizia. Quale Europa è per noi quella portante?
A quale costituzione dell’Unione europea puntiamo? Non intendo Costituzione in senso formale; intendo quale idea fondamentale d’Europa guida la nostra azione. Quella che concepisce come compito fondamentale del Politico rimuovere tutto ciò che rende formale l’idea di libertà, o quella che si limita a chiacchierare di diritti, senza che nessuna norma concreta li renda positivi? Dall’intero passato d’Europa emergono strade diverse, si biforcano possibilità contrapposte. La cancel culture tende a confonderne i caratteri o a seppellirle tutte. Tende a de-responsabilizzarci. Ma il passato non demorde, presenta alternative. Quale scegliamo? Di quale intendiamo essere eredi?
È certo solo che i giochi ipocriti hanno le ore contate. Se l’Europa dimentica quel “principio speranza” che, per quanto sottile, ne costituiva la trama dopo la seconda guerra mondiale, essa perderà significato e funzione nell’ambito della stessa alleanza occidentale. Un alleato supino è un servo inutile. Utile è chi fa comprendere le ragioni della crisi e come questa sia irreversibile se si continuano a non riconoscere i nuovi equilibri di potenza nel mondo globale e a lasciare si moltiplichino intollerabili disuguaglianze. E cosa significa riconoscere tutto questo se non riattingere a quella cultura europea dei foedera, dei diritti, della pace e decidere che essa costituisce il nostro portate passato?
Che cosa sia un mondo privo del “principio speranza” europeo l’hanno pure rappresentato fondamentali componenti della nostra cultura. Ricordiamole, non sbarazziamocene come di innocui giochi letterari. Non si tratta solo della grande letteratura fantascientifica (la fantascienza ha sempre avuto il vizio di prevedere ciò che si sarebbe realizzato), l’autore che forse più profondamente ha inteso il dramma della nostra epoca, e di cui corre il centenario della morte, Franz Kafka, ha rappresentato un mondo in cui proliferano ordini, meccanismi, procedure che pervadono le nostre vite senza apparentemente obbedire a alcuna Legge o superiore Tribunale, né perseguire alcun fine. Noi viviamo nella loro rete cercando vie d’uscita individuali, rintanandoci in questa vana ricerca. E intanto crescono insicurezza e paura. E si serra sulla nuda esistenza il processo di sorveglianza, di controllo, di manipolazione della facoltà stessa di immaginare e ricordare. La distopia sta diventando reale ogni giorno di più, a furia di emergenze e stati di guerra. È più di un secolo che la grande cultura europea l’ha avvertito. Ma essa non è che passato, roba da topi di biblioteca. Conta solo il linguaggio della volontà di potenza che nel sistema della Tecnica si incarna. Questo solo si insegni, dunque, a partire dalla scuola. Questo predicano da molto tempo i vari Ministri della Scuola. E che sia esso, applicato all’arte della guerra, a decidere, alla fine, anche del conflitto tra gli spazi imperiali. Su questa deriva sembra procedere inarrestabile la nostra navicella spaziale, a meno che l’Europa non conosca un contraccolpo…