Autore originale del testo: Massimo D'Alema
Massimo D’Alema: “Dove va l’Europa?”
FONDAZIONE ITALIANI EUROPEI
“Dove va l’Europa?”
Conclusioni di Massimo D’Alema
Trascrizione di Giovanna Ponti
“Siamo in un passaggio molto problematico, difficile perché è evidente che ci sarebbe bisogno di una più forte unità dell’Europa. Io sono d’accordo che il tema dell’unità e della revisione degli accordi è un tema cruciale, ma dubito che si possa porre la questione al centro di una campagna elettorale. Le persone vogliono sapere per che cosa vogliamo utilizzare l’Europa Unita più che essere interessate al tema delle forme giuridiche della integrazione.
Ci sarebbe bisogno di una Europa più unita; in questo momento non è neppure una scelta facoltativa, ma sarebbe una scelta obbligata in considerazione dei mutamenti così radicali del periodo che noi stiamo vivendo.
Mi è capitato di vedere uno studio di Goldman Sachs sulle tendenze dell’economia mondiale da cui si capisce che nei prossimi cinquanta anni cambierà l’equilibrio mondiale che è stato un equilibrio che ha retto il pianeta negli ultimi cinquecento anni.
Da qui a 50 anni non solo la Cina si consolida come la prima economia mondiale, ma la seconda sarà l’India, gli Stati Uniti saranno terzi, e poi segue un numero impressionante di Paesi (Indonesia, Pakistan, Nigeria, Brasile, Egitto) e per trovare un Paese europeo bisogna andare al nono/decimo posto della classifica.
E’ chiaro che in un mondo che si va configurando così, in un mondo nel quale a fine secolo la popolazione di Europa, Usa, Canada e Australia, cioè l’Occidente, sarà il 12% dell’umanità. L’Asia il 60%. E aggiungo che l’età media dell’Occidente si aggira intorno ai 44/45 anni, mentre quella africana è di 19 anni. Questi dati demografici sono importanti per capire dove va il mondo.
In questo contesto la vecchia Europa o si unisce o non conterà nulla perché avrà un peso molto relativo nell’equilibrio mondiale. Resteremo sempre uno straordinario giacimento di cultura e di arte, un posto bellissimo nel quale andare in vacanza, ma sarà sempre più difficile che i valori europei possano avere un peso nel nuovo assetto del mondo. Quindi non c’è alternativa alla integrazione europea, anche se ci sono Paesi che continuano a pensarsi come grandi potenze. Questo atteggiamento qualche anno fa era irritante, adesso comincia a essere ridicolo agli occhi di gran parte del mondo.
Questo dovrebbe essere il punto di partenza: un’Europa Unita, ma il vero grande problema è “unirsi per che cosa?”, cioè quale è il ruolo che noi vogliamo giocare sulla scena mondiale?.
In un momento come questo, e lo dico come appello alle forze della sinistra europea, l’Europa è stretta tra due tragiche guerre: a Est la guerra ucraina, a Sud la guerra in Palestina.
Sono due guerre che vengono da lontano perché la guerra in Ucraina è figlia di tutto quello che è successo dopo la caduta del muro e della incapacità di costruire un nuovo equilibrio in Europa e la guerra in Palestina viene da 67 anni di occupazione israeliana in violazione del Diritto internazionale, dei diritti delle persone, nella sostanziale incapacità dell’Europa Unita a far valere il suo punto di vista e in complicità degli americani con Israele.
Noi di sinistra rischiamo di andare alle elezioni europee senza un messaggio forte e cioè che noi vogliamo che l’Europa diventi il perno di un processo di pace, a Sud e a Est.
Una pace fondata sui principi e sui valori, sulla Carta delle Nazioni Unite, sull’integrità territoriale dei Paesi, ma sia a Est che a Sud.
Perché, e qui nasce la perdita di credibilità dell’Occidente, non si può sanzionare la Russia perché annette l’Est dell’Ucraina e trasferire la nostra ambasciata a Gerusalemme il giorno in cui Israele annette Gerusalemme. Le due cose sono esattamente due violazioni del Diritto Internazionale del Consiglio di Sicurezza.
I valori ed i principi sono un materiale molto delicato che non può essere stiracchiato secondo le convenienze. Questo è un discorso che la sinistra europea dovrebbe fare con grande fermezza, con grande nettezza.
A parte che in Europa bisogna che noi immaginiamo come ricostruire una convivenza con la Russia.
Io sento che bisogna convertire le nostre economie in economie di guerra, che dobbiamo mettere in conto che avremo 10 anni di guerra in Ucraina e che dobbiamo vincere la guerra contro la Russia, quando un elementare buon senso ci fa capire che la guerra in Ucraina non potrà essere vinta da nessuno dei due e quindi una guerra che non può essere vinta deve essere cessata.
Io non vedo l’Europa e neppure la sinistra europea fare questo discorso con l’energia che sarebbe necessaria.
Attenzione perché l’opinione pubblica europea, spaventata e tutt’altro che bellicosa, comincia ad avvertire la fatica della guerra.
L’unico messaggio di pace rischia di venire dalla destra, mentre non vedo un forte messaggio di pace ed un ancoraggio ai nostri valori che venga dalla sinistra.
Questo è un punto di debolezza molto grave per la sinistra.
Questo discorso è la premessa per le grandi scelte sociali.
Nel corso di questi ultimi anni, soprattutto di fronte all’emergenza della pandemia, sono state compiute scelte molto importanti perché abbiamo fatto un grande passo avanti nella individuazione di politiche comuni di sviluppo, dopo tanti anni in cui il messaggio che veniva da Bruxelles era solo quello del controllo della spesa e del contenimento. E’ venuto allora un forte messaggio di crescita orientato verso la giustizia sociale e verso la transizione ecologico/ambientale. Questa scelta rischia di essere rimessa in discussione nei fatti e di nuovo si parla di stabilità e di attenuazione degli obiettivi ambientali perché sono economicamente insostenibili. Un ritorno al passato, quindi.
Noi dobbiamo essere quelli che invece indicano la necessità di andare avanti con queste direttrici sociali e ambientalistiche. Però è evidente il nesso che c’è fra un’Europa giusta, un’Europa verde e l’idea di un’Europa che si rimette in gioco come forza di pace, che cerca di costruire una prospettiva per uscire dal conflitto ucraino, senza alimentare idee avventurose e irrealizzabili tipo “Vinciamo la guerra”.
Dobbiamo trovare una soluzione, dobbiamo smettere di fare la guerra e dobbiamo anche avere una ragionevole creatività nella soluzione che bisognerà trovare.
Io sono stato recentemente in Brasile e in Cina. Beh, la diplomazia di questi Paesi e di altri, che non sono il blocco delle autocrazie (il Brasile è un grande Paese democratico) una loro idea per come risolvere questa guerra ce l’hanno.
Non esiste il conflitto fra autocrazia e democrazia, questa è una dimensione ideologica degli americani a cui non occorrerebbe andare dietro.
Osservo che attualmente il principale sostegno economico alla Russia è l’India, cioè la più grande democrazia del mondo, e non la Cina come si sostiene propagandisticamente. Se si va a vedere l’interscambio fra la Russia e l’India è cresciuto in modo esponenziale ed è una delle ragioni per cui le sanzioni non hanno impedito alla Russia di crescere, mentre hanno seriamente ostacolato la crescita europea con un effetto che gli esperti definiscono ‘bec-fide’. Invece di fare propaganda, questo sarebbe un tema su cui riflettere con una qualche serietà.
In questi Paesi i responsabili politici ragionano su possibili piani di pace tra Russia e Ucraina, possibile che in Europa non ci sia nessuno che ragiona su questo? Io lo trovo abbastanza incredibile. Questo non significa abbandonare l’Ucraina, anzi significa aiutare l’Ucraina a trovare una via d’uscita da una tragedia.
Con tutto il rispetto per Macron che fa dei discorsi sul fatto che vuole mandare dei soldati e chi non lo capisce è un codardo, e però il giorno dopo il bombardamento lo fanno nell’Ucraina e non su Macron.
Dobbiamo stare attenti ad una narrativa bellicosa di chi sta tranquillamente a casa sua e non in prima linea pagando ogni giorno un prezzo altissimo in vite umane. Io non credo proprio che questa visione bellicosa trovi consensi o possa essere un punto di vista di una forza democratica di sinistra.
La guerra è una tragedia. Io sono tra quelli che ritengono che si dovesse aiutare l’Ucraina di fronte all’invasione russa, ma andava aiutata solo per metterla in condizioni di poter negoziare senza essere travolta. Ma ora bisogna cominciare a pensare a come costruire un negoziato perché la guerra non la vinceremo.
Questa è una questione che tocca una grande parte della popolazione democratica e non solo i pacifisti, che io rispetto moltissimo e con i quali bisogna dialogare, ma una larga fascia di opinione pubblica.
Non si va ad una campagna elettorale di questo tipo senza un messaggio forte su questi temi.
A Gaza deve finire la guerra e non solo per il rispetto dei diritti umanitari, ma anche per i diritti politici dei palestinesi. Sulla questione c’è una lunga inerzia al seguito degli americani. La distorsione che il sistema dell’informazione ha fatto è impressionante, è la censura su quello che avviene laggiù.
In due anni di guerra sono morti un po’ più di 10mila morti civili in Ucraina, che è una cosa orribile, ma in pochi mesi Israele ha ucciso 30mila civili palestinesi tra cui 12mila bambini e questo nella sostanziale omertà del mondo occidentale, salvo il coraggio del Segretario generale delle Nazioni Unite che è stato insultato e minacciato dal governo israeliano senza che l’Europa sentisse il dovere di difenderlo, essendo fra l’altro una grande personalità europea.
Qui si gioca la coerenza, la credibilità, il rapporto con una nuova generazione. C’è una nuova generazione in Italia che su questo tema della Palestina si mobilita sostanzialmente da sola, senza nessuna sponda politica. Ma noi pensiamo veramente che questi giovani andranno a votare la sinistra socialista? Io ho molti dubbi perché essi avvertono che il loro sentimento non ha rappresentanza.
C’è qualcosa che dovrebbe appartenere non soltanto alla propaganda di una forza di sinistra, ma direi anche alla sua identità, alla sua ragione di essere”.