Metanarrazione di Renzi e tiki taka calcistico

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti

di Alfredo Morganti – 7 luglio 2015

Io non so come sia venuto in mente a Filippo Sensi (nel caso sia stato lui) a raccontare ‘ai suoi’ che Renzi faceva il professore di comunicazione per i parlamentari PD, utilizzando per di più metafore come quello del tiki taka calcistico. Mi rendo conto che il momento è difficile, e che va bene tutto pur di depressurizzare la situazione e mostrare un premier bravo ma, accidenti, circondato da peracottari che non sanno vendere i loro prodotti. Possibile, tuttavia, che dopo un anno e mezzo di esecutivo il tema resti ostinatamente lo stesso: la comunicazione e le metafore calcistiche? Siamo fermi, anzi inchiodati lì, da sempre. Da ancor prima che le seconda ondate dei renziani salissero sul carro. Viene spontaneo pensare che forse il vero deficit è di politica, più che di messaggini e tweet (di cui anzi abbondiamo sino alla nausea). E per ‘politica’ intendo in special modo la capacità di tracciare un percorso efficace, a partire da un ascolto attento, persino umile, del Paese, delle sue aree più terremotate, dei suoi punti critici o di frattura, e delle sue ‘crisi’ piuttosto che insistere sulla sciocchezza di mostrare il lato bello, ottimistico delle cose, mentre quello brutto lo si spazza sotto il tappeto come un ciarpame da nascondere ai media e all’opinione pubblica. Sinché non riemerge.

Governare la crisi vuol dire agire sul ‘dissenso’, affrontarlo di petto, e non limitarsi a costruire un ‘consenso’ con modalità di cui è certamente più capace Publitalia che non i guru renziani. Potrà apparire paradossale ma non lo è. Quando la fase è difficile, quando il corpo sociale è piegato, il consenso lo si costruisce dando ascolto al dissenso, aprendo canali di comunicazione sociali, potenziando la rappresentanza, esaltando il rapporto con quella parte del corpo sociale più dilaniata e più disperata. La comunicazione-politica, al contrario, tenta in primo luogo di neutralizzare queste faglie, appiana e alliscia le grinze, fa il lifting delle rughe che la crisi ha stampato sul nostro volto, e costruisce una ‘narrazione’ addolcita di un’Italia che non esiste, per vendercela come se fosse un prodotto davvero genuino e non edulcorato. Insistere sulla comunicazione, quando serve la politica, non è nemmeno perseverare in un errore, quanto essere sordi e ciechi, ma ancora capaci di chiacchiera.

E poi fatemelo dire. Ormai siamo oltre. Il politico che assume a oggetto del proprio interesse la comunicazione, e non come dovrebbe, invece, i temi di governo, è come se si accartocciasse su se stesso, in una forma autoreferenziale che dà molto a pensare. È l’ultimo stadio, credo, di un processo perverso che conduce dalla comunicazione alla metacomunicazione, dalla narrazione alla metanarrazione, che poi sarebbe la narrazione che si appallottola su se stessa. Roba da professori bravi piuttosto che da premier. La politica non solo è messa da canto, ma è come se si sfarinasse in un’atmosfera ormai rarefatta, costituita da meri riferimenti astrali ai messaggi presi in se stessi e alla loro vuotezza, per di più con i soliti, stucchevoli, insopportabili riferimenti ai gufi e al calcio. Non capisco come possano dei parlamentari sottoporsi senza battere ciglio alle slides e alle bacchettate renziane. Non c’è più orgoglio, né dignità. A me sembra, francamente, che ormai il tiki taka Renzi ce l’abbia in testa, e dopo tanto sconclusionato palleggiare non trovi più la porta.

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