Morire di abbandono nella sanità di oggi

per Gian Franco Ferraris

di Gian Franco Ferraris

Mia madre ha 91 anni, ieri è caduta mentre faceva dei lavoretti in cortile e si è fratturata il bacino. Fino all’anno scorso guidava ancora l’auto ma negli ultimi mesi è molto invecchiata, è una vecchia contadina abituata a lavorare e sente il bisogno di rendersi utile. E’ stata trasportata al pronto soccorso dove per tutto il giorno è stata sottoposta a vari esami, dai quali sono emerse fratture semplici al bacino e tre costole rotte. Dopo una giornata passata in pronto soccorso su una barella, è stata dimessa con la raccomandazione di stare a letto immobile per 40 giorni. Con mia sorella abbiamo cercato una soluzione, mi sono rivolto a una clinica privata e ho appreso, con qualche stupore, che per questa settimana non c’erano posti letto liberi e che il costo era di 200 euro al giorno.
Mentre mia sorella sopportava la fatica della giornata e un operatore mi consigliava di rivolgermi al primario (mio ex amico e noto esponente del PD locale), io cercavo di capire il punto di vista di mia madre. Ho pensato che lei, naturalmente, sperava di essere curata ma, nello stesso tempo, avrebbe preferito morire nel suo letto. Torniamo a casa con l’ambulanza (costata la ragionevole cifra di 40 euro) e cerchiamo quindi una badante. Comincia l’offerta di numerose badanti, almeno una decina nel giro di un’ora. Anche questo è segno dell’aumento della povertà in Italia. Mi ricordo che una dozzina di anni fa alla casa di riposo comunale non si era riusciti di trovarne una ed io stesso, per necessità, avevo assistito un malato per una notte.
Rimediata una donna per la notte, mi sono reso conto che il letto di mia madre, un letto in stile rococò, era del tutto inadatto per un malato e che sarebbe stato necessario un letto ortopedico e un materasso apposito.
Mi è tornato alla mente che già negli anni ’80 nella nostra provincia si discuteva dell’ospedalizzazione a domicilio, sulla scorta dell’esperienza di Torino con l’allora sindaco Diego Novelli del PCI.
“Estendere la possibilità di curare il paziente anziano nel proprio ambiente, ospedalizzandolo a casa“ era la raccomandazione del Consiglio d’Europa di Strasburgo nel 1985. Cosa è successo in questi trent’anni in Europa e in Italia per arrivare a tale degrado economico e culturale? L’ospedalizzazione a domicilio prevede una serie di interventi medici, infermieristici e riabilitativi che, se realizzati, consentirebbero al malato di essere curato a casa e al sistema sanitario di risparmiare risorse. La realtà di oggi, invece, si avvicina all’abbandono: un malato, per di più anziano, viene rispedito a casa senza informazioni e senza assistenza.
Passata in qualche modo la notte, è cominciata la lotta con la burocrazia per cercare di procurarsi il letto ortopedico e il materasso. Mi sono chiesto: cosa capita a un vecchio infermo quando non ha famiglia o se la famiglia non può provvedere? O se il malato non ha soldi per pagarsi l’assistenza? Chi provvede? Oggi la sanità non è in grado di farvi fronte. Questa è la situazione. E certamente non per cattiva volontà degli operatori, che in generale sono encomiabili.
Non abbiamo ritenuto di rivolgerci a un’istituto di assistenza, ma in questo caso non si tratta di un problema di assistenza a un anziano ma di un problema sanitario, cioè della cura di un malato. Si pone un’altra domanda: se si trattasse di una persona giovane sarebbe curata meglio? Forse sì, perché non ci sarebbero dubbi nel distinguere tra cura e assistenza.
Viviamo in una società che non si vuole più fare carico degli anziani.  Si insiste molto sulle capacità di risolvere i problemi degli amministratori di sinistra e, a livello locale, sono nati vari comitati per la difesa della salute, per la difesa di questo o quell’ospedale, per il mantenimento del punto nascite, ecc. Ma così non si affronta il vero nodo della questione che è la quantità di risorse da destinare alla sanità e in che modo queste risorse debbano essere utilizzate.
A mio avviso la necessità di difendere i posti di lavoro non deve farci dimenticare che lo scopo primario della sanità è di curare i malati. In questo ventennio la spesa sanitaria è aumentata, gli operatori sono diminuiti e i malati (in particolare i più deboli) troppo spesso sono lasciati in uno stato di abbandono.
Ora si invocano nuove riforme costituzionali, ritenute risolutive di annosi problemi, ma constato che le riforme fatte in passato, e per restare in tema penso alla riforma del titolo V che ha delegato la sanità alle regioni, hanno prodotto risultati nefasti e un aumento abnorme e incontrollabile della spesa pubblica.
La prima vera riforma da fare e di cui avremmo assoluto bisogno è l’efficienza dello Stato, e a tale scopo servirebbe una struttura statale completamente diversa dall’attuale.
Una sanità pubblica efficiente dovrebbe essere uno dei punti caratterizzanti il programma di una formazione politica democratica di sinistra che aspiri a governare il paese. Da troppi anni la politica è subalterna agli interessi delle lobby e non si occupa di affrontare i problemi dei cittadini.

Concludo con questa riflessione di Norberto Bobbio: “Il compito principale di un’azione politica, che voglia essere qualcosa di più e di meglio che impadronirsi del potere per soddisfare interessi personali o di lobby, più o meno lecite, è quello di interpretare i bisogni e i diritti, specie di coloro che la nostra società in rapida espansione tendono a trascurare. Non esistono, purtroppo, le lobby dei vecchi non autosufficienti, nè in genere di tutti coloro che la società affluente tende a mettere ai margini”.

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