Fonte: La Stampa
Noi, Budapest, il Pride e i valori non negoziabili: L’Italia ha di nuovo rifiutato di firmare una rilevante dichiarazione dei partner europei in materia di diritti, libertà e valori condivisi dell’Unione. ma quando il governo italiano dice “Occidente” a quale Occidente pensa?
Per la seconda volta in pochi giorni l’Italia ha rifiutato di firmare una rilevante dichiarazione dei partner europei in materia di diritti, libertà, valori condivisi dell’Unione e stavolta non si capisce davvero il perché. Nel primo caso, qualche giorno fa, il governo si era dissociato dalla richiesta di rivedere gli accordi commerciali Ue-Israele: un tema oggettivamente spinoso, che ha visto l’astensione anche di un altro grande Paese fondatore, la Germania. Ma ieri, nel “caso Ungheria”, di spine non se ne vedevano. La dichiarazione, sottoscritta da 20 nazioni su 27, si limitava a esprimere preoccupazione per la decisione di Viktor Orban di inserire in Costituzione norme che, di fatto, non solo violano il diritto di manifestazione della comunità Lgbtq ma introducono anche forme di repressione inconciliabili con una società libera e aperta. Chi partecipa a un Pride a Budapest, per dirne una, potrà essere identificato sulla base di tecniche di riconoscimento facciale e dunque perseguito come un delinquente. Persino Malta, la conservatrice Malta, ultimo Paese europeo a perseguire l’aborto come reato, ha condiviso e sottoscritto la denuncia di questa deriva. E ovviamente hanno firmato tutte le grandi capitali, Parigi, Berlino, Madrid, sulla base di un ragionamento bene espresso dalla ministra della Giustizia belga, Annelies Verlinden: i valori e i diritti di libertà riconosciuti dall’Unione non sono un menu à la carte, in cui si può scegliere quale rispettare e quale lasciare da parte.
La vicenda sarebbe risultata più marginale sei mesi o un anno fa, prima che il ciclone Donald Trump prendesse a picconate il sistema di garanzie individuali e sociali che il mondo occidentale dava per scontate. Adesso il dovere di prendere posizione è diventato più urgente ed essenziale, così come la definizione dei contorni valoriali di ciò che chiamiamo Occidente. È Occidente un mondo dove gli studenti stranieri possono essere espulsi da un’università solo perché stranieri? È Occidente un mondo dove si possono effettuare deportazioni in massa senza processi individuali, solo in base alla nazionalità e a qualche tatuaggio? È Occidente un mondo dove una innocua manifestazione come il Pride è giudicata un rischio per i bambini ed è perseguita come se si trattasse di incitazione a delinquere? Queste sono le domande alle quali la maggioranza dell’Europa risponde “no”, riconoscendo al loro interno il tratto di culture autoritarie che ha sempre combattuto. In particolare, la repressione delle comunità Lgbtq è roba da regimi teocratici, così come l’utilizzo di tecniche di riconoscimento facciale per chi manifesta fa pensare più alla Cina che a uno Stato europeo.
Anche per questo stupisce la difficoltà della destra italiana di dire: è vero, l’Ungheria sta esagerando, la libertà di espressione, il diritto di riunione pacifica, il diritto alla privacy sono valori non negoziabili per chi sceglie di stare in Europa, e così come abbiamo storicamente denunciato gli abusi delle autocrazie e l’oppressione dei regimi comunisti ora abbiamo il dovere di prendere posizione anche su questo. Il ragionamento non farebbe una piega, e sarebbe coerente con una comunità che ha a lungo denunciato la propria emarginazione e dunque dovrebbe riconoscere quella di altri esclusi, altri “figli di un dio minore”. E tuttavia si è preferito rifiutare l’ingaggio, senza nemmeno la fatica di trovare una spiegazione, il che è la parte peggiore della storia. Autorizza a pensare che si agisca così solo perché Orban è amico della destra meloniana e amico degli amici trumpiani. Autorizza a preoccuparsi per i futuri sviluppi di questo tipo di amicizie. Autorizza a chiedersi: ma quando il governo italiano dice “Occidente” a quale Occidente pensa?