di Anna Lombroso per il Simplicissimus – 7 luglio 2014
C’è di tutto come in quelle marmellate confezionate con la frutta ammaccata, quindi è inevitabile che ci si trovi dentro anche qualche verme. E siccome è una marmellata, è pronto per essere spalmato magari sulle fette di pane, quelle che cadono sempre dalla parte sbagliata. È il decreto 91, quello che reca “disposizioni urgenti per il settore agricolo, la tutela ambientale e l’efficientamento energetico dell’edilizia scolastica e universitaria, il rilancio e lo sviluppo delle imprese, il contenimento dei costi gravanti sulle tariffe elettriche, nonché per la definizione immediata di adempimenti derivanti dalla normativa europea”, definito appunto anche “spalma incentivi” e oltraggiosamente, secondo il ministro competente, “ambiente protetto”.
Devono essere state sepolte sotto il cemento del realismo e dell’implacabile “necessità” certe battaglie, salvo qualche focolaio di disadattati, disfattisti, anarco-indurrezionalisti, misoneisti, marginali e gufi. Gufi, nell’accezione di chi rema contro, di chi porta sfiga, degli invidiosi. E non degli uccelli notturni dei quali invece Legambiente si è occupata attivamente per promuoverne la tutela, se sul decreto in oggetto ha fatto sì la voce grossa in Senato, ma per ribadire la necessità di contrastare il fenomeno del bracconaggio, lasciando al suo ex presidente Realacci l’incarico di “trattare” cautamente sugli obbrobri più nefasti e senza gran successo.
Mentre il silenzio vige sui contenuti “forti” del provvedimento, che si preoccupa del settore agricolo, ma solo dopo aver chiuso nel dimenticatoio una legge di tutela sul suolo, diventata un superfluo optional rispetto ad altre priorità, che, vedi caso, trattano la materia della salvaguardia, del territorio, del paesaggio come contesti di retroguardia, abbellimenti e retoriche che non possiamo permetterci, a meno che non si convertano in “giacimenti” sì, ma a beneficio di interessi privati e di pochi.
“Ambiente protetto” è il titolo paradossale che il ministro dell’Ambiente Galletti ha voluto dare all’ennesima incursione vandalica, a cominciare dalle misure che riguardano il mare, diventato ormai forza ostile, spazio libero per scorrerie di corsari e predatori, cimitero e cloaca, utile come panorama nei cartelli di “vendesi” delle coste e delle isole, come passaggio per maxi-navi, come passivo laboratorio per sperimentare grandi opere che portano grande corruzione e ancor più grande pressione sull’ambiente, a riconferma che non è mare nostrum, come ormai non lo è più nulla, ma loro, monopolio per profitti, discarica, pozzo in cui far contenere liquami e veleni.
A dettare le norme all’articolo 31, sarebbe ancora una volta quella aspirazione alla semplificazione che ispira questo governo. Boccaccio diceva di preferire i furbi ai grulli e forse aveva ragione se in nome di procedure snellite, autorizzazioni bonarie, ravvedimenti tardivi, sospetti e opachi, insomma della semplificazione, finiamo per essere noi i balordi, i creduloni, i sempliciotti.
Nella veste di “Norme urgenti per gli scarichi in mare”, si agisce come è ormai d’uso in regime di crisi che impone di “agevolare” e in fretta, perché tutto diventa emergenza, magari dopo vent’anni e più di indifferenza, cecità, complicità tolleranza, correità, e di intervenire a beneficio unicamente del bene limitato a chi tratta i soldi, anche quelli immateriali, o i nostri che diventano suoi, quelli frutto di speculazioni, corruzione, crimini. Eh si perché quelle norme urgenti, urgentissime per gli scarichi a mare altro non sono che una licenza di uccidere dietro modesto esborso, di avvelenare senza conseguenze, di distruggere quell’ambiente che a detta di chi lo sfrutta, manomette, sporca, offende, dovrebbe invece essere il nostro “petrolio”.
Ed è talmente vero che il mare, petrolio, lo diventerà davvero, anche grazie a misure che – ieri finalmente i Verdi usciti dal letargo, ne denunciano l’infamia – permettono ai grandi stabilimenti di sversare oltre i limiti consentiti fino a oggi dalla legge, andando oltre i valori massimi di emissioni in proporzione alla loro capacità produttiva. E infatti, in contemporanea all’annuncio di altre misure anche quelle urgenti di rilancio del turismo, “le Autorizzazioni integrate ambientali rilasciate per l’esercizio di dette installazioni potranno prevedere valori limite di emissione anche più elevati e proporzionati ai livelli di produzione, comunque in conformità ai medesimi documenti europei” e riguardano rifiuti di tipo industriale che vanno dall’alluminio, all’arsenico, al cromo, al ferro, al mercurio, al piombo, al nichel fino ai solventi organici. La deroga e l’entità dello sforamento verranno poi “definiti” ogni volta in “sede ambientale”, così recita il decreto, facendo intuire una pratica innovativa e moderna di “negoziazione”, una forma accettabile di quella “concertazione” caduta in disuso in altri contesti.
Ma non basta rottamare la qualità del mare: l’introduzione di quel sistema di patteggiamento, permetterà a qualsiasi azienda responsabile di aver inquinato un determinato territorio, di stipulare un benevolo accordo con lo Stato e addirittura di ricevere finanziamenti pubblici (la quantità non è specificata) per la “riconversione industriale” dei siti. E siccome sono incontentabili – i padroni e chi gli tiene mano – il decreto introduce a loro beneficio il principio del “silenzio assenso” per i piani di bonifica avviati entro il 31 dicembre 2017. Così che le autorità ambientali regionali avranno solo 45 giorni tempo per verificare i risultati delle procedure di risanamento e certificare l’ avvenuta bonifica. E se la risposta non arriva entro il termine, il piano si considererà automaticamente approvato.
In un colpo solo quindi si scardina il principio che chi inquina paga, salvando l’Ilva e tutta la grande industria del crimine ambientale, quella del petrolchimico di Porto Marghera, della centrale di Porto Torres, del polo petrolchimico di Gela, dell’Enel di Porto Tolle.
Trattative “private”, contrattazioni opache, confermano la sfrontata sottovalutazione per non dire il disinteresse per il ripristino della legalità, per il contrasto alla corruzione, oggetto di sfrontati slogan, di spudorati annunci, a fronte di un edificio di licenze, deroghe, normalizzazione della eccezionalità, innalzato in contrasto a norme, regole, diritti, nel quale abiteranno sempre più impuniti, custoditi e favoriti i trasgressori di ieri, di oggi e di domani.