Parla a San Pietro in italiano, saluta in spagnolo, neppure una parola in inglese. La tela del moderato Robert Francis Prevost in Conclave era ampia quanto la sua rete di contatti da ministro dei vescovi.

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Giacomo Galeazzi
Fonte: La Stampa

Parla a San Pietro in italiano, saluta in spagnolo, neppure una parola in inglese. La tela del moderato Robert Francis Prevost in Conclave era ampia quanto la sua rete di contatti da ministro dei vescovi.

«Nelle congregazioni generali quando si parlava di profilo curiale e di conciliazione tra i vari orientamenti del sacro collegio veniva in mente Pietro Parolin, in realtà l’identikit si attagliava anche alla perfezione a Prevost», osserva un cardinale over 80. Nato il 14 settembre 1955 a Chicago da famiglia cattolica, Prevost ha percorso una via ecclesiale che unisce radicamento accademico e spirito missionario. Dopo la laurea in Matematica presso la Villanova University, entra nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino nel 1977, emettendo i voti solenni nel 1981.

Completa la formazione con un master in Teologia a Chicago e un dottorato in Diritto Canonico all’Angelicum di Roma, con una tesi sul ruolo del priore locale. Ordinato sacerdote nel 1982, nel 1985 parte per il Perù, dove inizia un lungo servizio missionario nella Prelatura di Chulucanas. Lì opera come cancelliere, poi come formatore, docente, prefetto degli studi e parroco.

Per dieci anni guida il seminario agostiniano di Trujillo, mentre insegna diritto canonico, forma seminaristi e accompagna le comunità locali. È un apostolato nel segno di Sant’Agostino secondo il quale «l’umiltà uccise la superbia». Quindi «ascolto, fatica quotidiana e presenza tra i poveri», raccontano i suoi confratelli missionari. Dopo un primo incarico negli Stati Uniti come responsabile delle vocazioni, nel 1999 viene eletto priore provinciale di Chicago. Due anni e mezzo dopo, viene scelto come priore generale dell’ordine agostiniano, guidandolo per due mandati consecutivi fino al 2013.

Nel 2014, su richiesta di Francesco, torna in Perù come amministratore apostolico della diocesi di Chiclayo, di cui diventa vescovo nel 2015. Durante il suo episcopato a Chiclayo, Prevost si fa notare per leadership e moderazione, in un contesto politico caotico in cui la Chiesa peruviana gioca un ruolo di stabilità.

È vicepresidente della Conferenza episcopale peruviana e, tra il 2020 e il 2021, diventa amministratore apostolico della diocesi di Callao. Nel gennaio 2023, Jorge Mario Bergoglio lo chiama a Roma come prefetto del Dicastero per i vescovi, incarico strategico per la selezione dell’episcopato a livello globale. Otto mesi dopo viene creato cardinale, ricevendo il titolo suburbicario di Albano.

Prevost assume anche la presidenza della Pontificia Commissione per l’America Latina, consolidando un profilo di rilievo nella Curia. E stringendo legami personali con quelli che poi nell’elezione pontificia conclusa dalla fumata bianca di ieri si riveleranno suoi elettori.

Conosciuto per la discrezione, la capacità di ascolto e la fedeltà alla visione pastorale di Francesco, ha sostenuto la comunione per i divorziati risposati e mostrato attenzione alle sfide ambientali, all’inclusione dei migranti e dei poveri.

Più cauto, invece, su temi divisivi come l’ordinazione femminile e la benedizione delle unioni omosessuali, pur appoggiando l’innovativa dichiarazione Fiducia supplicans della congregazione per la Dottrina della fede. Due controversie relative a casi di abusi lo hanno visto coinvolto indirettamente, prima come provinciale a Chicago e poi come vescovo a Chiclayo.

In entrambi i casi le accuse di insabbiamento sono state respinte con documentazione e sostegno da parte delle autorità ecclesiastiche, che hanno confermato il rispetto delle procedure canoniche e il rigoroso svolgimento delle indagini.

Oltre al dicastero per i vescovi, Leone XIV è membro di sette ministeri e della Commissione per il Governatorato dello Stato Vaticano, segno della fiducia accordatagli da Francesco negli ultimi anni del suo pontificato.

E così adesso, per la prima volta nella storia, un nordamericano siede sulla Cattedra di Pietro. Dalla periferia geografica (le parrocchie del Perù) al cuore della cattolicità, il “new Pope” ha percorso una strada di servizio silenzioso ma determinato, che lo ha reso uno degli uomini più fidati di Francesco con cui condivide una visione aperta, inclusiva e attenta agli ultimi.

Prevost si è distinto appunto per il suo impegno su temi come l’accoglienza dei migranti, la giustizia sociale e la custodia del creato. Ma ha anche saputo muoversi con prudenza in un contesto ecclesiale polarizzato: favorevole alla comunione per i divorziati risposati, cauto sull’apertura alle unioni omosessuali, critico nei confronti di un episcopato autoreferenziale.

«Un vescovo non dovrebbe comportarsi come un piccolo principe nel suo regno», ha detto in passato. Il pastore è per il gregge, non il contrario. Una concezione che oggi suona come manifesto. L’elezione di Prevost arriva dopo un pontificato segnato da profonde trasformazioni.

Come prefetto del Dicastero per i Vescovi, aveva già in mano le chiavi della selezione dell’episcopato globale. Ora, quelle stesse chiavi aprono le porte a un possibile rinnovamento ancora più ampio. Leone XIV (mozzetta e stola nel rispetto della tradizione) è un uomo che conosce a fondo i meccanismi della Chiesa e le sue tensioni, ma anche le sue immense potenzialità.

La sua biografia parla di un lungo impegno in America Latina, dove ha vissuto per oltre un decennioIn Perù ha diretto un seminario, svolto ministero pastorale e affrontato da vescovo le crisi istituzionali del Paese con autorevolezza e spirito di dialogo.

È stato anche al centro di controversie legate alla gestione di casi di abusi, che ha affrontato attivando procedure canoniche e offrendo collaborazione con la giustizia civile. I suoi sostenitori sottolineano trasparenza e rispetto delle norme; i detrattori, una certa lentezza.

Adesso sulla scrivania troverà questioni urgenti come la crisi tra India e Pakistan. I capi dei dicasteri verrano confermati a partire dal segretario di Stato, Pietro Parolin.

«In Curia Prevost ha fatto tesoro della lezione appresa negli anni trascorsi in missione: nessuno può risolvere da solo i problemi. Fare squadra è una caratteristica del suo metodo di lavoro ma l’ultima parola sarà sempre la sua», osserva un ex ministro d’oltretevere.

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