LETTERA AL COMITATO DI GENOVA:
Il problema dell’utilizzo del patrimonio pubblico per finalità sociali, collegato alla gestione degli spazi ad uso sociale ed aggregativo (per implementare le politiche giovanili e non solo) è sicuramente uno di quelli da tenere agenda tra le priorità (e l’affaire buridda ha il merito di metterlo in evidenza). La Lista Doria, assieme all’assessore Lanzone, all’ufficio partecipazione ed all’associazione Genova Bene Comune, sta lavorando attivamente per promuovere l’adozione, anche da noi, del regolamento per la messa a disposizione e la gestione collettiva di spazi pubblici già approvato dal consiglio comunale di Bologna.
Detto questo, penso anche però che la “questione csoa” è si importante ma ha un peso relativo, inversamente proporzionale ad altre questioni, ben più dirimenti, che tra poco entreranno prepotentemente nel dibattito cittadino (chiusura bilancio, risorse per il welfare, trasporto pubblico, gestione rifiuti, piano urbanistico, fiera di genova, infrastrutture, ecc.). Sono uno di quelli che è convinto che il problema Buridda non nasca da “intenzionalità politica” (un diverso approccio tra giunta vincenzi e giunta doria) ma sostanzialmente ad un difetto di negoziazione (complicato dall’assenza di Don Gallo) che ha finito per allontanarci dalla soluzione con gli effetti deleteri che tutti possono constatare.
Allora perchè non sottrarsi (e addirittura prestarsi) alla “polemica” o, per dirla meglio, agli “stimoli” al confronto che vengono dalla rete?
Perché, l’affaire Buridda solleva al nostro interno, in modo quasi paradigmatico, il “discorso” sui processi di formazione delle opinioni e sui metodi utilizzati per dirimere le questioni, aspetti entrambi decisivi per lo sviluppo del nostro progetto nel breve periodo. La capacità del nostro contenitore (lista altra europa) di mantenere aperto il confronto e il dialogo, tra diverse anime e posizioni nel campo della sinistra, la sua capacità di essere sufficientemente inclusivo, sarà decisiva per il nostro futuro prossimo. Essa avrà effetti diretti sulla possibilità di costruire visioni comuni dei problemi ed, in prospettiva, sulla possibilità stessa di definire un programma condiviso anche per l’Italia (alla ricerca di quel “massimo comune divisore” in grado di tenerci insieme a prescindere dalle differenze, che ci sono, inutile negarlo).
Tengo molto al progetto di una sinistra unita e plurale in grado di fare una proposta di “governo” alternativa al pd, penso addirittura che sia una necessità storica a cui non possiamo sottrarci. Per questo, ho deciso di espormi e di proporvi, dal mio modesto osservatorio (mi sono parecchio occupato, per professione, di organizzazioni a rete e coalizioni), alcune riflessioni proprio a partire da questo primo incidente di percorso, legato ad una posizione collettiva che abbiamo dovuto prendere (o, forse meglio, non prendere) senza del tutto volerlo. Insomma parlare di Buridda per parlare di noi!
Per inquadrare il problema riporto uno scambio epistolare su facebook tra me e il compagno R.D proprio a proposito dell’adesione alla manifestazione, lo pubblico perché sintetizza bene una parte delle questioni aperte e che dovremo affrontare…
X: ma sei contrario ad aderire al corteo dei centri sociali?
Y: si, personalmente, ho molti dubbi penso che bisogna lavorare a riaprire il dialogo non a inasprire il conflitto….ma la vera questione è un’altra ed è di soprattutto d metodo …. la lista è un cartello elettorale con un programma comune per l’Europa con un carattere fortemente antiliberista (che è già un orientamento significativo) ok… ma non c’è stato nessun dibattito tra noi su nessuna delle questioni che invece riguardano il locale (ed il centro sociale non è il principale problema all’orizzonte, anche se si presta benissimo ad essere un simbolo)… ci aspetta un periodo in cui arriveranno “nodi al pettine” importanti su cui esprimere posizioni (amt, amiu, bilancio, puc ) su tutti questi temi molto più rilevanti per la portata che hanno sulla città… la lista tsipras dovrebbe ugualmente esprimersi? ma in base a quale posizione politico-programmatica condivisa dove, discussa dove? ci candidiamo a sostituirci alle forze in cui militiamo e che hanno la responsabilità di governare la città? il rischio che ci vedo è quello che per avere troppa fretta, fretta legata al bisogno di essere rappresentati e che si dilapidi l’unico capitale che abbiamo guadagnato quello di essere un soggetto collettivo alternativo al pd, che si candida a fare sintesi tra le diverse anime della sinistra e che vuole costruire un progetto per governare il paese sul modello syriza….
X: abbastanza d’accordo con te ma se l’ambizione è di non essere più solo un cartello elettorale allora da qualche parte bisogna pure ben cominciare. Adesso, non è che su ogni cosa bisogna avere la quadra, ma diciamo che sui giovani e sui movimenti in generale sarebbe una buona cosa. Mi par comunque di capire che anche se sei tu il referente della Lista civica nel comitato hai comunque espresso una posizione personale quindi al limite non sarebbe stata una forzatura così pesante dai…
Y: ne parlo oggi con il gruppo consiliare, ma il problema resta tutto, non si può esagerare a fare i partiti di lotta e di governo (per parafrasare il segretario del pd), una cosa è sostenere le rivendicazioni, difendere gli spazi, lavorare per trovare soluzioni, difendere le politiche per i giovani e per l’aggregazione, un’altra cosa è aderire ad una manifestazione dei centri sociali le cui forma di lotta (e anche le intenzioni più o meno dichiarate) non sono sempre condivisibili e lo dico a te che hai esperienza, diretta di questo tipo di pratiche politiche (ma tieni presente che anch’io sono stato un ragazzo del ’77 e ne conosco intimamente caratteristiche e limiti).
Ci torno sopra, non solo perché Roberto ha finito per buttarla sul “piano personale” (la coerenza, le contraddizioni, la fedeltà al sindaco senza se e senza ma e via discorrendo), ma anche perché la piega che rischia di prendere il primo dibattito serio in cui siamo incappati, solleva un problema di metodo (che, in una fase costituente, è anche sostanza) e mette a nudo, a mio modo di vedere, alcuni antichi vizi storici della sinistra che non possiamo più permetterci. Lo stile relazionale richiama, in modo persino troppo plastico, quella sinistra litigiosa e conflittuale che non riesce a lavorare sulle cose che la uniscono ma che è maestra ad appassionarsi di quelle che generano entropia e dividono.
Approcci mentali fortemente “identitari” (che definiscono, una volta per tutte, la comunità dei buoni e le appartenenze) e forse “rassicuranti” (perché dentro lo schema semplificante amico-nemico, non obbligano a farsi troppe domande, a lasciarsi attraversare dalla complessità e dai dubbi) da cui, però, se vogliamo avere qualche speranza, dobbiamo rifuggire come la peste. Comportamenti che ci restituiscono una sinistra, moralista e giudicante che alla prima occasione, in nome di verità assolute di cui troppi si sentono esclusivi portatori (assunte per definizione, “non falsificabili”, sottratte all’argomentazione ed al confronto) rischia di dividersi in particelle subatomiche. Come cantava, De Andrè (ne “Il giudice”) “il dito più lungo della mia mano è il medio ma quello della tua è l’indice”: fine della possibilità di elaborare pensieri nuovi che nascono dall’incontro tra culture e posizioni politiche diverse, fine dell’utopia di una sinistra unitaria e plurale.
Non per alimentare la polemica, ma non mi è affatto chiaro perché nel modo di argomentare di Roberto si dia per scontato le sue siano posizioni politiche “vere” (all’onor del mondo) e le mie “contraddizioni” (segrete, implicite, ma messe a nudo) di cui posso anche cominciare a vergognarmi. Non sarò abbastanza di sinistra ed al prossimo giro al prossimo errore verrò epurato? Chissà. E se invece si trattasse di opinioni diverse, ma legittime, con cui confrontarsi?
Me la sono presa? No, non così tanto come potrebbe sembrare, ma sono molto preoccupato per le modalità che stanno assumendo le nostre interazioni (i post al veleno su FB e le mail si rincorrono, ogni volta leggo giudizi sempre più tranchant e pesanti sui compagni), il clima positivo che ci ha accompagnato in campagna elettorale sembra si sia già evaporato, lasciando al suo posto diffidenza, astio e vecchi rancori. Un approccio di questo genere al confronto, non solo non ci aiuta ma ci condanna definitivamente al fallimento. Quale percorso costituente può realizzarsi se siamo tutti fieramente nemici, disposti alla rissa verbale e se la mancanza di rispetto per le opinioni altrui prevale?
E’ evidente che se anche solo alcuni di noi avessero sul serio in tasca la verità rivelata avremmo già vinto da un pezzo. L’amara verità ci restituisce invece un quadro, un po’ desolante, in cui la sinistra, a dispetto di una crisi che ha un’intensità forse mai vista, è al 4%, se sta unita, e rischia continuamente l’estinzione se non cambia direzione. Dobbiamo dirci, senza esitazioni, che il “clima cognitivo” tra di noi deve essere un altro. La gente che ci incontra deve trovarci disponibili, accoglienti, aperti al dialogo e all’ascolto, non giudicanti ed escludenti, condannati dal proprio settarismo a rimanere marginali, sennò è finita.
Detto questo. Parliamo per un attimo seriamente delle “contraddizioni“ in seno al popolo (quelle vere) che meritano di essere affrontate attraverso un confronto ed un dibattito serio (che in Sel si è avviato con l’assemblea).
Premetto, per evitare equivoci, che di una cosa sono fermamente convinto: senza la partecipazione dei compagni di SEL, il progetto “altra italia” è fallito prima ancora di nascere. Non solo per questioni di numeri (militanti strutture e flussi elettorali) ma per soprattutto per la questione aperta e non ancora risolta della necessità dell’integrazione tra le diverse culture della sinistra che devono essere portate a sintesi. Il progetto di una nuova “sinistra” (sul modello Syriza) in grado di attrarre consensi ben più ampi di quelli a cui siamo abituati (dai civatiani ai comunisti, recuperando i consensi andati a cinque stelle e verdi) con una vocazione a diventare maggioritaria e a governare il paese (o comunque a condizionarne significativamente le politiche) rischia, se SEL non ci sta, di nascere incompleto, parziale.
Ma quali sono i problemi che SEL solleva nel dibattito e lascia aperti nel suo documento. Provo a sintetiz-zare dopo una prima rapida lettura:
1) La questione delle alleanze: E’ evidente che bisognerebbe partire dal programma e non dalle alleanze, insisterere troppo sulle alleanze sa di politichese e non di buona politica (il vantaggio che ci ha dato Tsipras è quello di avere ereditato, senza troppo merito e senza troppa fatica, un programma condiviso con obiettivi chiari e comunicabili su cui aprire il confronto e stringere eventuali collaborazioni), ma proprio sulla questione delle alleanze SEL è divisa.
La fase che si è aperta con la vittoria di Renzi, ha, tuttavia, mutato completamente il quadro. Ci troviamo con un partito interclassista, populista, accentratore, autoritario e dirigista (con tendenze antidemocratiche anche al proprio interno), animato da un riformismo ostentato che però produce riforme irricevibili (legge elettorale, job act), apparentato al governo con la destra (con cui, non a caso, condivide la direzione e il senso delle riforme), comunque non realmente intenzionato a maneggiare i nodi veri del paese (corruzione, evasione fiscale, ridistribuzione della ricchezza, precarietà, assenza di prospettive, crisi dei consumi, disuguaglianza, povertà crescente), sostanzialmente liberista in politica economica e nella gestione del patrimonio pubblico (alienazioni e privatizzazioni), con un idea di sviluppo centrata ancora principalmente sulle grandi opere e apparentemente disposto a tenere sotto controllo il debito con ricette nella sostanza simili a quelle dei governi precedenti (compressione della spesa per la pubblica amministrazione che eroga servizi ai cittadini, tendenza a “far cassa” a partire dalle amministrazioni locali).
E’ in questa fase ancora possibile parlare seriamente di alleanza con il PD? Partito Democratico che al contrario, all’interno di una conclamata “vocazione maggioritaria”, tende in modo evidente ad una completa egemonia (primo esito di questo nuovo approccio relazionale, la “cannibalizzazone” degli alleati e delle opposizioni interne) e ha i numeri per fare da solo. A dispetto di queste evidenze, SEL sembra non aver risolto ancora il “nodo gordiano”: né con il PD, né contro il PD, con Tsipras, ma anche con Shultz e si sta parlando non di alleanze tattiche per realizzare gli obiettivi del programma, ma di prospettive strategiche. A mio modesto parere, SEL corre un serio pericolo se non cambia qualcosa (anche la “metafora dell’anguilla” non fa per niente sognare) e l’indeerminatezza non si chiarisce, stare stabilmente con le truppe posizionate nella “terra di mezzo” la espone al rischio di morire per consunzione.
2) Il tramonto del centrosinistra come orizzonte politico: Se quindi, in questa fase il problema del governo nazionale sembra non potersi porre, tramonta o rischia di tramontare, almeno nel breve periodo, anche ogni ipotesi di collaborazione nelle amministrazioni locali. Le coalizioni di centro centro-centro-sinistra sarebbero fondate su un matrimonio impossibile tra forze politiche dotate, allo stato attuale, di una evidente asimmetria di consenso e di potere. La sinistra sarebbe messa in un angolo senza nessuna possibilità di incidere sulle decisioni strategiche. Ha quindi ancora senso parlar di centrosinistra o non conviene stare all’opposizione sia al governo centrale che nelle amministrazioni locali provando a giocare la partita della distintività, della riconoscibilità dell’offerta politica, senza correre il rischio di condividere la responsabilità di scelte impopolari (oltretutto non condivise) che si realizzerebbero comunque in ogni caso (sia in considerazione dei rapporti di forza, sia perché il Pd detiene tutte le leve di comando sia a livello di governo centrale che di quello periferico)? Anche in questo caso mi sembra che SEL non abbia ancora sciolto il nodo e che l’attrazione mortale esercitata del vecchio alleato si faccia sentire, come si è visto nelle competizioni per le amministrazioni locali. Anche questo mi sembra un terreno scivoloso e pericoloso.
3) la questione della “sinistra di governo”: non è però un problema banale, da liquidare con qualche facile battuta ironica. Ne ho esperienza diretta nella mia attività consiliare. La sinistra ha avuto ben poche occasioni di governare e spesso senza avere responsabilità dirette importanti (magari qualche assessorato ma niente di più). Nelle esperienze di centrosinistra al governo, chi amministrava sul serio era il PD, non noi. Riconosciamolo, siamo più bravi a protestare, a lottare per i principi, che non a governare, amministrare, e risolvere i problemi gestionali. Facciamo una fatica boia (e non rientra nella nostra antropologia) misurarci con i limiti del reale, con i condizionamenti del contesto dato (magari figli di contraddizioni, di eredità che vengono dal passato, di scelte che non hai potuto condividere, di responsabilità non tue, di risorse ormai dilapidate e che non ci sono più) ma che definiscono però, ahimè, uno dei corni del problema a cui non ci si può sottrarre e che bisogna affrontare e risolvere. Non sempre si può mandare la palla in tribuna, o “gridare alla luna” e insultare il governo che è ladro per definizione (non essendo mai stato il tuo), se si amministra bisogna gestire, prendersi responsabilità, sporcarsi le mani, essere disposti a mediazioni, per cercare di risolvere i problemi. Appendere una “cultura di governo” (che ci manca completamente) è un passo necessario, un atto dovuto a noi e ai cittadini. Se si vuole essere credibili bisogna operare una profonda “ristrutturazione cognitiva” del nostro approccio all’amministrazione della cosa pubblica, produrre uno sforzo collettivo nella direzione della concretezza. Bisogna stare dentro i problemi, suggerire soluzioni effettivamente sostenibili e percorribili, se si vuole conquistare sul serio e stabilmente il consenso dei cittadini. Qui SEL non ha torto forse perchè nel frattempo qualche esperienza concreta di governo l’ha maturata davvero, anche se, visto il contesto dato, la possibilità di andare di nuovo al governo nelle città e nelle regioni non si presenterà di certo a breve.
Per concludere, ad una prima lettura, le contraddizioni e le ambiguità mi sembrano all’ordine del giorno, speriamo che il dibattito ed il confronto facciano chiarezza. Per il resto, resta da capire come nello stesso partito possano convivere militanti che teorizzano la necessità di una “sinistra di governo” con altri che teorizzano di un posizionamento in una fantomatica “terra di mezzo”, con altri ancora, che condividono senza se e senza ma, le pratiche di lotta della “citta di sotto”. I partiti a volte sono un mistero della fede, da cui c’è solo da imparare. Mi dispiace dirlo, ma, pur rispettando come ho avuto occasione di dire in altre occasioni il travaglio che deriva da un confronto doloroso, difficile e necessario, credo che l’ambiguità non risolta sia fortemente legata ad un comprensibile istinto di sopravvivenza. Sono convinto che, solo se il processo che stiamo attivando supererà le contraddizioni in atto e sarà in grado di esercitare il sufficiente appeal, restituendo senso a chi partecipa, allora sarà possibile che anche chi ha qualcosa da perdere (l’identità, il partito, le relazioni), lo faccia senza troppa paura di perdere tutto e di rimanere con in mano un pugno di mosche.