PASSIONI E VIOLENZE DELLA CONQUISTA DI AMERICA
C’è chi attribuisce la prima scoperta di Santa Marta sulla costa colombina a Rodrigo di Bastidas, dicendo che costui, come persona potente e ricca, residente nell’isola spagnola di Santo Domingo, la scoprì arrivando a terra ferma per imprigionare schiavi. Altri invece pensano che lo scopritore non sia stato Bastidas, ma Pedraria, che andava alla ricerca di oro. Ma è più probabile che questo territorio lo abbia scoperto Juan de Ojeda, che viveva imprigionando schiavi. Quelli che vengono in America come capi di spedizione non sono teologi, sono uomini di avventura, forti e rapaci, come lo richiede il genero guerriero dell’impresa. De Juan de la Cosa e di Cristòbal Guerra, che accompagnano Bastidas nella scoperta di Santa Marta, dice Restrepo Tirado:” Idolatri del vitello d’oro, si occupavano solo di riempire le loro navi d’oro e perle, che toglievano agli indigeni con la forza, o di imprigionare questi infelici per portarli a vendere come schiavi. Per discolparsi, dettero agli abitanti di Santa Marta la fama sinistra di appartenere alle etnie Caribe, allora sinonimo di antropofagi e nemici dell’umanità”.
Le circostanze della lotta imprimono, anche nei religiosi, sentimenti conformi con l’ambiente della conquista, più che con le pratiche cristiane. I religiosi devono agire come balsamo nelle campagne che promuovono i conquistatori per assoggettare gli indigeni e privarli dell’oro. Seguendo gli ordini del Re, prima di aprire il fuoco con gli archibugi o di lanciarsi a cavallo sugli indigeni aizzando i cani, devono chiedere ai nativi se sono disposti a credere nel Dio uno e trino che incarnò nel Cristo figlio di Maria Vergine per redimere il mondo. La richiesta la dettò il Re con gli occhi posti sul Papa, però la perplessità degli indigeni, che non capiscono e rimangono interdetti, fa sì che i soldati avanzino con l’impeto che gli dà l’avidità. Il Governatore Garcìa de Lerma considera il vescovo Tomàs Ortiz ladro ed eretico, anche se il vescovo si dice a parole difensore degli indigeni e predica come loro protettore. Partecipa in una spedizione con i soldati fino a cadere in una imboscata. Nella confusione e la paura, credendosi ferito dalle frecce velenose, incita i soldati a perseguire gli assalitori fino a farli prigionieri, con il fine di assolverli. Ritorna iracondo dalla spedizione a cui partecipava come missionario di pace, e da allora la sua parola non cessa di attribuire ai nativi bestialità e cannibalismo. Li apostrofa di ladri, macellai, incestuosi, malvagi, traditori, canaglie, cattivi e traditori. Si dimentica di includere gli spagnoli nella reprimenda.
Tutti i Re e Imperatori di America muoiono tragicamente. Dal Messico fino al Cile corre il sangue, si confondono le sorti di Aztechi, Incas, Chibcha, Araucani. Gli spagnoli sono cautelosi all’inizio, ma l’avarizia e le brame sono più forti. Con i primi ritrovamenti e confische di oro si apre l’appetito, si dilata la pupilla, il desiderio di ricchezze non tiene limiti, e lo spagnolo sospetta sempre che gli indigeni occultino l’oro. Allora ricorre alla tortura per strappare il segreto.
Un giorno Cortèz si reca al palazzo dove risiede Moctezuma col segreto proposito di arrestarlo con accuse infondate. Moctezuma si sottomette e cerca di calmare la turba che vuole salvarlo. Ma nelle strade è rivolta violenta, si tirano bastoni, frecce, pietre agli spagnoli. L’imperatore è raggiunto da alcune pietre, è ferito gravemente, gli spagnoli lo abbandonano e si scagliano contro l’erede che lotta come un leone in difesa di Messico. Gli indigeni muoiono invece che arrendersi, e la città è coperta di cadaveri. Dice Torquemada:” correvano torrenti di sangue per le strade come corre l’acqua quando piove con impeto.”
È simile la prigionia e la morte di Atahualpa a mano de Francisco Pizarro nel Perù. Il sovrano arriva maestoso in una portantina dorata, sostenuta a spalla dai dignitari, preceduto da balli e danze e da un enorme numero di servi. Pizarro e i suoi si appostano dietro le porte della sala dove si deve celebrare l’intervista per imprigionarlo. Si avvicina il frate domenicano Vicente di Valverde e lo esorta a convertirsi con le parole del Credo cattolico. È una formula che, come con i nativi di Santa Marta, lascia perplesso Atahualpa quando gli si chiede di sottomettersi al Papa e al Re di Spagna, di abbandonare la falsa fede della religione incaica e gli idoli. Il tutto sotto minaccia di guerra e uccisioni di massa. La risposta dell’Imperatore riafferma la sua libertà e il suo onore di sovrano: si dichiara amico e disposto a conoscere il Re, ma rifiuta l’obbedienza al Papa sconosciuto, difende la sua religione e pone in dubbio quella che gli viene proposta con la violenza. Il frate Valverde, col crocifisso in mano, mostra il suo breviario e lo esorta a leggere. L’Imperatore lo riceve, lo guarda con curiosità, lo lascia cadere a terra. A questo punto Valverde incita i soldati che si lanciano all’assalto del corteo imperiale, e davanti questo sacrilegio gli indigeni reagiscono e vengono decimati; Atahualpa è fatto prigioniero. Si negozia allora la sua libertà a cambio di una enorme quantità di oro che viene riunita e consegnata. Ma ora Pizarro è deciso a sbarazzarsi dell’imperatore e gli comunica la sentenza di morte al rogo. L’imperatore è sereno, ricorda a Pizarro di aver compiuto il patto del riscatto, e su consiglio dei suoi dignitari acconsente alla conversione perché così commuterà il supplizio col garrote, evitando essere consumato dalle fiamme che impedirebbero al suo spirito di ritornare al Sole. È il momento tanto atteso da Valverde: il battesimo, l’imposizione del nome grottesco di Juan Francisco. Poi viene eseguita la sentenza. È il 20 agosto 1533.
La storia del Perù in questi anni si riassume in poche parole. Francisco Pizarro il fondatore uccide il suo compagno Diego de Almagro. Il figlio di Diego uccide Francisco Pizarro, ed è a sua volta decapitato. Gonzalo Pizarro uccide il Viceré Nùñez de Vela. Il frate Valverde finisce a bastonate a mano degli abitanti di Puna.
In America la vita termina a pugnalata o con le frecce. Bastidas muore con la stessa morte di Almagro e Pizarro, Lope de Aguirre o Orellana. Pedrarias esploratore e conquistatore della odierna Nicaragua, in un momento di ira e invidia ordina l’uccisione di Nùñez de Balboa, navigatore spagnolo e scopritore di Panama e l’oceano Pacifico, morto decapitato. Balboa si era reso anche lui colpevole di vessazioni e lo troviamo immortalato in una celebre poesia di Pablo Neruda.
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Ho ritenuto includere questi cenni per osservare come le due correnti spirituali attive nell’evoluzione si contrappongono in generale, ma anche collaborino fra di loro. La corrente che si occupa di spazzare via il passato si serve magnificamente dell’altra corrente per i suoi fini.* Dalla stessa fonte da cui sorgono impetuose le passioni dirette al male e l’egoismo più sfrenato, emanano anche gli impulsi per azioni elevate ed altruiste. L’esistenza di questa possibilità nell’anima umana è opera degli spiriti luciferici. Sarebbe impossibile che esistesse entusiasmo e passione se allo stesso tempo non esistesse la possibilità scendere verso il vizio e l’egoismo. Oggi come allora assistiamo allo stesso gioco di forze.
*Vedi articoli precedenti su Archimede e su Moctezuma.
FILOTEO NICOLINI
Immagine: CUZCO, FESTA DELL’INTY RAIMI.