Fonte: Il carteggio Aspern
Url fonte: https://ilcarteggioaspern.wordpress.com/2017/02/06/il-patrimonio-i-proci-e-telemaco/
di Alfredo Morganti – 6 febbraio 2017
Bonifazi, il tesoriere del partito democratico, dinanzi al tema del ‘patrimonio’ ex Pci mai transitato nella cassaforte del PD, e dinanzi allo spettro della ‘scissione’, si mostra scandalizzato e si dice pronto a promuovere una class action per farsi consegnare gli immobili e quant’altro dalle fondazioni post-DS che oggi ne detengono le proprietà. Dice che “quel patrimonio è stato accumulato grazie ai tanti compagni e compagne, che donarono i loro risparmi per costruire Case del Popolo e finanziare altre attività del partito”. “Mio nonno, partigiano – aggiunge – si rivolterebbe nella tomba se sapesse che ciò che ha contribuito a costruire è poi finito nelle mani di una fondazione privata”. Io credo che se mio nonno Giuseppe, bracciante, poi operaio, poi amministratore di una sezione della periferia di Roma nel 1948, iscritto sino alla morte al PCI, potesse oggi vedere in che modo i renziani hanno ridotto l’attuale partito, che pure si proclama erede di nobili tradizioni politiche (comunista, socialiste, cattoliche), non si rivolterebbe ma credo farebbe di peggio. E anche il nonno partigiano, con tutto il rispetto, non penso che si sentirebbe così in simpatia coi renziani.
Il punto è che il PD è molto più ‘privato’ (personale) delle fondazioni contro le quali pure si vorrebbe aprire un contenzioso. Al contrario, aver mantenuto il patrimonio alla larga dall’avventura politica in cui sta incorrendo l’ultimo rampollo di una storia altrimenti nobile (sia sul lato PCI, sia su quello DC) io credo che sia stata una decisione di rilevanza ‘pubblica’, di interesse diffuso. Se oggi quel patrimonio è ancora vivo, e non è stato dilapidato in convegni, comunicazioni, frizzi e lazzi, lo si deve al fatto che, con lungimiranza, lo si è tenuto alla larga da certi voraci appetiti politici e attuali ambizioni personali. Peraltro il PD se n’è comunque giovato di quel patrimonio. Nato, lo si ricorda, dal sacrificio dei nonni, mentre oggi i nipoti a fare sacrifici non ne sembrano affatto né capaci né intenti, concentrati come sono, piuttosto, a spendere e a reclamare un’eredità (dopo aver brandito la ‘rottamazione’, peraltro). E così, una volta si invoca Telemaco, e un’altra invece si passa all’incasso. Non scrive Recalcati che “c’è giusta eredità solo se si riconosce la nostra provenienza dall’Altro”? Ossia dal linguaggio, dalla cultura, dalla tradizione, da ciò che non è unicamente la nostra misera, attuale individualità? E non c’è quindi dietro un’eredità sempre un ‘debito’, prima ancora che un credito? Un riconoscimento anche fattuale, prima ancora di un’appropriazione?
E dov’è stato il ‘riconoscimento’ renziano? Dove il senso del debito? Nella rottamazione, che sembra una mossa edipica, più che di Telemaco? Che, invece, conquista il suo futuro lottando, che aspetta il padre, che non intende ucciderlo? Ma percepisce, anzi, il senso della sua concreta mancanza, e insieme non dispera nel suo ritorno, seppur in termini di mera testimonianza ed esempio vivo? “L’eredità – scrive Recalcati – non si compie mai come un mero travaso di beni o di geni da una generazione [anche politica] all’altra. L’eredità non è un diritto sancito dalla natura, ma un movimento singolare, privo di garanzia […] una ripresa in avanti di ciò che siamo sempre stati […] un ‘retrocedere avanzando’ “ à la Kierkegaard. Io invece, dinanzi a questo ‘esigere’, a questa eredità che è concepita solo come credito naturale da versare a certi viziati rampolli, non scorgo Telemaco, il ‘giusto erede’, ma i Proci, quelli che invasero la casa altrui, gozzovigliarono, rottamarono, pretesero, si industriarono nel mero piacere dei sensi, nella pura fenomenologia del desiderio brutale e immediato, come se l’Altro non esistesse ma solo la loro vorace esistenza. I proci, non Telemaco hanno preso il Nazareno. Sapete allora che dico? Ha fatto bene Sposetti a ‘salvare’ l’eredità. A quelli che oggi minacciano la class action, invece, consiglio di rispettare di più l’Altro, di ripartire da lì, di provare a essere ‘giusti eredi’, non esattori, e di sentirsi in debito più che in credito verso una lunga tradizione che attende di essere rinnovata e rilanciata, piuttosto che sradicata. Ma già so che non sarà così. E poi, Ulisse sta tornando.