Perché la fame non è un danno collaterale

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Anna Foa
Fonte: La stampa

Perché la fame non è un danno collaterale

i parla molto di fame, in occasione dell’80° anniversario della FAO, celebrato a Roma con grande rilievo, alla presenza del presidente Mattarella e di papa Leone. Ambedue hanno posto l’accento sui “nuovi scenari di carestia” (Mattarella) e all’”uso della fame come arma di guerra” (papa Leone). E in effetti, la fame è stata protagonista nei mesi scorsi – e lo è ancora– di almeno uno degli scenari di guerra di questi nostri terribili tempi, Gaza, con il rifiuto israeliano di far entrare sufficienti rifornimenti per quella popolazione già decimata dalle bombe. E abbiamo visto le scene terribili dei civili che allungano una scodella per avere almeno un poco di cibo, mentre il cibo marcisce intatto ai confini della Striscia.

L’uso della fame nelle guerre e come arma della guerra stessa non è nuovo. In tutti gli assedi delle città, dal Medioevo fino alla seconda guerra mondiale, nelle città assediate si moriva di fame, e le leggende, o quello che vorremmo fossero solo leggende, ci parlano di cannibalismo, di bambini divorati dai genitori. È il “poscia più che ’l dolor poté il digiuno” di Dante, almeno in una delle sue interpretazioni. La fame accompagna la guerra, tanto è vero che appena soffiano venti di guerra che potrebbero sfiorarci svuotiamo subito gli scaffali dei supermercati. Di fame si parla molto nelle memorie della seconda guerra mondiale, anche se per molti era una fame temperata dal mercato nero. Ma i primi reduci dai campi nazisti si sentivano spesso rispondere da quanti avevano vissuto più o meno tranquilli nelle loro case che anche loro avevano fatto la fame. Poi c’è la fame del terzo mondo, pensate alla terribile carestia del Biafra, non proprio arma di guerra ma comunque indotta da una guerra e dai blocchi dei rifornimenti. E ancora, c’è la fame dell’Ucraina negli anni Trenta, l’Holodomor, quando i raccolti c’erano ma erano destinati al resto dell’URSS e agli affamati era addirittura proibito di andarsene dal Paese. Ma qui si è parlato, e a ragione, di genocidio.

E allora, se la fame è dietro di noi come realtà o come spettro, perché la carestia indotta in questi mesi da Israele, e pervicacemente negata dal governo di Bibi, ci ha fatto così impressione? Perché con la ripresa della guerra nel marzo del 2025 e il blocco quasi totale dei rifornimenti, quella carestia indotta, coi camion fermi dietro il confine, ha sollevato l’indignazione di popoli e governi? Cosa è cambiato che l’opinione pubblica, che nonostante tutto aveva visto i bombardamenti come parte dolorosa ma “normale” di una guerra, si sollevasse ora di fronte alla fame? Perché in Israele nelle manifestazioni di opposizione al governo apparissero sempre più spesso, accanto alle foto degli ostaggi, quelle dei bambini di Gaza denutriti?

Questa differenza di percezione rispetto a due modi diversi di infliggere la morte mi colpisce e non sono sicura di avere risposte. Forse perché la morte per fame colpisce prima i bambini ed è lunga e dolorosa. Forse è proprio il fantasma antico della carestia che ci terrorizza e forse è la sovrabbondanza dei cibi in questa nostra parte del mondo a renderci inspiegabile e particolarmente crudele la morte per fame. Mentre noi cerchiamo sempre nuove diete, loro muoiono letteralmente di fame. Forse è il nostro complicato rapporto col cibo, che oscilla fra anoressia e bulimia, a renderci inaccettabile quella morte.

Qualunque ne sia la ragione, chi fermava quei camion e impediva al cibo di raggiungere i suoi destinatari ha rapidamente compreso che, se con le bombe si poteva ancora parlare di “danni collaterali”, con la fame questo era impossibile, che la favola che si affamava un intero popolo per impedire ad Hamas di gestire gli aiuti era assurda. Ed allora si è semplicemente negato: “La fame non esiste, non c’è mai stata”. “Guardate come sono in carne, ” dicono le voci ciniche di chi è pronto ad usare il centimetro per misurare il deperimento dei palestinesi di Gaza. E intanto gli ospedali ci raccontano un’altra storia, ma si sa, i medici, anche in Europa, sono tutti pro Hamas.

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