Fonte: La Giustizia -quotidiano on line dell'associazione socialista liberale -
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Stamattina ci siamo svegliati con l’ennesima notizia dell’ennesimo attacco “mirato” israeliano: cinque missili hanno distrutto un palazzo di otto piani nel centro abitato di Beirut. Cinque missili per colpire un solo uomo: il comandante militare supremo di Hezbollah, Muhammad Haydar.
Nessuno sa se Haydar sia stato colpito o no. Però sono morte 20 persone e altrettante sono state ferite. Con un bel cratere al posto del palazzo.
Viene quasi nostalgia delle belle vecchie guerre di trincea in stile prima guerra mondiale. Soldati contro soldati, e i civili a casa a fare la fame e i rosari.
E questo ennesimo attacco arriva dopo soli due giorni dall’evento che tanto ha fatto e fa discutere: la corte penale internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto per Benjamin Netanyahu e per il suo ex ministro della difesa Yoav Gallant. Imputazione: crimini di guerra. E non solo.
Secondo la CPI vi sono “fondati motivi” per ritenere che i due signori possano ritenersi co-autori “del crimine di guerra della fame come metodo di guerra, e dei crimini contro l’umanità di omicidio, persecuzione e altri atti disumani“. Roba da fare impallidire Badalamenti & Company.
A destare clamore, soprattutto, è che si tratta della prima volta in cui i leader di una democrazia (allineata all’Occidente) sono accusati dalla Corte dell’Aja.
Per non parlare dell’ombra antisemita che in tanti si sono affrettati a gettare addosso alla Corte Internazionale.
Il procuratore capo della corte, Karim Khan, ha esortato i 124 membri dell’organismo ad agire in base ai mandati di arresto, (ma non credo affatto che qualcuno oserà farlo davvero), e ha invitato i paesi non-membri della CPI a collaborare comunque per “sostenere il diritto internazionale“.
Netanyahu non ha perso tempo nel definirla una “manovra antisemita“, e Gallant ha sottolineato che “crea un pericoloso precedente contro il diritto all’autodifesa e alla guerra morale“.
La guerra morale? Signore e signori, purtroppo non è il titolo di un romanzo di Sartre.
Molti altri leader israeliani si sono uniti nel condannare la decisione. Benny Gantz, generale in pensione e rivale politico di Netanyahu, ha affermato che la cosa mostra “cecità morale“, perché è una “vergognosa macchia di proporzioni storiche che non sarà mai dimenticata“.
Yair Lapid, altro leader dell’opposizione, l’ha definita un “premio al terrore“. Il ministro della sicurezza nazionale di estrema destra, Itamar Ben-Gvir, ha perfino detto che Israele adesso bene farebbe ad annettere la Cisgiordania in risposta all’emissione della CPI.
Gli Stati Uniti, che (guarda un po’) non sono membri della CPI, hanno respinto con forza la decisione della corte: “la CPI non ha giurisdizione su questa questione. In coordinamento con i partner, tra cui Israele, stiamo discutendo i prossimi passi” – così il consiglio per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti.
Eppure proprio gli USA hanno già accolto con favore i precedenti mandati di cattura per crimini di guerra della CPI contro Vladimir Putin e altri funzionari russi per le atrocità commesse in Ucraina. Come diceva Andreotti? Per i nemici la legge si applica, per gli amici si interpreta.
Il deputato repubblicano Mike Waltz, scelto da Donald Trump come consigliere per la sicurezza nazionale nella sua nuova amministrazione, ha avvertito che “ci si può aspettare una forte risposta al pregiudizio antisemita della CPI e dell’ONU a gennaio“, quando Trump entrerà in carica. Mio Dio che paura!
Joseph Borrell, capo della politica estera dell’Unione Europea, ha invece affermato che i mandati di arresto sono vincolanti per tutti gli stati membri dell’UE. Il nostro Guido Crosetto ha detto alla stampa che l’Italia dovrebbe arrestare Netanyahu se arrivasse nel paese. E anche i Paesi Bassi hanno affermato di essere pronti ad agire in base ai mandati di arresto emessi. Dal ministero degli esteri francese fanno sapere che sostengono “l’azione del procuratore della corte, che agisce in piena indipendenza“.
Altri paesi hanno dichiarato che si atterranno alla decisione della corte. Come il Regno Unito, che accetterà qualsiasi richiesta della CPI di arrestare Netanyahu se arrivasse in Gran Bretagna. Il Canada rispetterà tutte le sentenze emesse dalle corti internazionali, ha detto il suo primo ministro Justin Trudeau. E anche il ministro degli esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che la decisione della CPI deve essere rispettata e attuata.
Nella medesima disposizione che condanna Netanyahu e Gallant la CPI ha emesso mandato di arresto anche per il leader militare di Hamas, Mohammed Deif. Israele sostiene di averlo già ucciso in un attacco aereo a luglio scorso, ma la CPI risponde invece “di continuare a raccogliere informazioni” per confermare la sua morte. Siamo nel teatro dell’assurdo? Magari.
Ovviamente i mandati della CPI sono stati accolti con grande favore dai gruppi per i diritti umani. Human Rights Watch auspica che i mandati “spingano finalmente la comunità internazionale ad affrontare le atrocità e ad assicurare giustizia per tutte le vittime in Palestina e Israele“.
Amnesty International ha ribadito che Netanyahu è adesso “ufficialmente un ricercato” e che la decisione della CPI rappresenta una “svolta storica per la giustizia“.
Intanto, almeno 47 persone sono state uccise e altre 22 ferite negli attacchi israeliani nel Libano orientale proprio giovedì scorso. E l’agenzia Reuters ha riportato che nello stesso giorno una dozzina di attacchi aerei israeliani (tra i più intensi finora mai registrati) ha ripetutamente colpito la periferia meridionale di Beirut.
Dall’ottobre 2023 a oggi sono 44.056 i palestinesi uccisi negli attacchi israeliani a Gaza. Oltre 104.268 sono le persone ferite nella Striscia di Gaza dall’inizio della guerra.
Però ieri le autorità israeliane hanno finalmente permesso a Mazyouna Damoo di lasciare Gaza per avere cure mediche adeguate fuori dai territori. Chi è Mazyouna? Una bambina palestinese di 12 anni il cui volto era stato “strappato” da un missile israeliano che aveva colpito la sua casa a giugno scorso. Il permesso di lasciare Gaza è stato accordato solo cinque giorni dopo che il “Guardian” aveva riferito come le ripetute richieste per la sua urgente evacuazione medica urgente continuassero ad essere respinte dal governo israeliano.
“The show must go on”. Sì però, anche basta.
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