Pisa città ferita, i manganelli erano già pronti

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Salvatore Settis
Fonte: La stampa

Pisa città ferita, i manganelli erano già pronti

Il severo e impeccabile monito del Presidente Mattarella dà le coordinate per giudicare gli eventi di Pisa il 23 febbraio: i manganelli usati per impedire l’esercizio del diritto di opinione sono il sintomo di un fallimento. Pisa è una piccola città (90 mila abitanti), ma anche un grande campus universitario : più di 50 mila studenti, tre atenei e una presenza vivace e importante del Consiglio Nazionale delle Ricerche. Città e istituzioni universitarie e di ricerca si sovrappongono, si compenetrano, fanno tutt’uno. E il cuore di questa città-campus è l’asse che parte dai Lungarni, sfiora il Collegio della Sapienza, ora sede di Giurisprudenza (e anche della trascuratissima Biblioteca Universitaria) e arriva a piazza dei Cavalieri, sede della Scuola Normale. Sullo stesso asse si trova il Liceo Artistico Russoli, da cui venivano gli studenti che hanno provato il manganello. Perfino il nome della strada che parte dal Lungarno, “via Curtatone e Montanara”, parla di università: ricorda infatti uno degli eventi-simbolo della prima guerra d’indipendenza nazionale, la battaglia in cui 348 studenti e 30 professori venuti da Pisa combatterono contro le truppe austriache del maresciallo Radetzki (29 maggio 1848).

In quell’area della città, fra strade e vicoli, piazze e cortili, hanno sede decine di biblioteche, di dipartimenti, di aule. È la casa degli studenti, dei docenti, di bibliotecari e impiegati delle università che vi si muovono con lo stesso agio e fiducia con cui ci si muove a casa propria. Perciò la violenza della repressione poliziesca ha colpito non solo le poche decine di manifestanti (per lo più minorenni), ma tutta la città: lo mostra la reazione del rettore Zucchi, del direttore della Normale Ambrosio, della rettrice del Sant’Anna Nuti, ma anche dell’arcivescovo Benotto e del sindaco Conti (centro-destra). Lo sottolineano le cinque o seimila persone che nel pomeriggio di quello stesso giorno sono confluite nella stessa piazza dei Cavalieri, in una manifestazione anch’essa non autorizzata, ma che nessuno ha avuto l’ardire di reprimere. Qualcuno tuttavia ha trovato il coraggio di giustificare l’accaduto sostenendo, finora senza la minima prova, che i manifestanti intendevano dirigersi verso la sinagoga e il cimitero ebraico. Chi conosce Pisa sa che il cimitero ebraico, a ridosso delle mura non lontano dal Battistero, è in direzione opposta alla sinagoga, e non è certo fra i luoghi più noti di Pisa. Quanto alla sinagoga, la strada più corta per andarci non passa per piazza dei Cavalieri, e d’altronde, se si voleva evitare che il corteo la raggiungesse, perché le forze di polizia non si sono schierate nei pressi della sinagoga stessa ma a circa 800 metri?

Una foto scattata in piazza dei Cavalieri alle 10:42 di venerdì 23 mostra una decina di auto dei Carabinieri già schierate dietro un furgone della Polizia che blocca l’accesso alla via San Frediano (che continua in via Curtatone e Montanara), quella in cui di lì a pochissimo si sarebbero scatenati i manganelli. Chi ha predisposto tanto schieramento di forze conosceva dunque in anticipo l’intenzione dei manifestanti (non dichiarata da nessuna parte) di andare verso una qualche meta “proibita” o sensibile? O voleva impedire l’accesso a piazza dei Cavalieri, a 100 metri dal Liceo artistico? E perché? Sembra di entrare nel mondo distopico di Minority Report di Spielberg, dove la polizia non reprime i crimini, ma l’intenzione di commetterli, intenzione che viene individuata con un sistema di “precognizione” (Precog). Ventidue anni sono passati da quel film: anche i manganelli di Pisa intendevano forse reprimere o prevenire un “precrimine”? È in questa direzione che sta andando l’Italia?

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