Fonte: huffingtonpost
di Laura Lauri – 2 febbraio 2018
Emma Bonino dalle pagine de Il Sole 24 Ore ci ripropone la solita vecchia ricetta dell’austerità espansiva: sorprende che dopo circa 10 anni di politiche di austerity ci sia ancora chi possa ritenerla valida.
A fronte di questo effetto sul debito pubblico inoltre, la disoccupazione a gennaio 2018 è all’11% e quella giovanile al 32,7% con una perdita della produzione industriale del 22%. A completare il quadro ottenuto dagli anni di austerity alle nostre spalle va evidenziata la costante crescita delle disuguaglianze nel Paese come evidenziato dal recente Rapporto dell’Oxfam: l’Italia si colloca al ventesimo posto nella graduatoria dei Paesi più “disuguali” e siamo all’ultimo posto, financo dopo la Grecia, nella lotta alla riduzione della povertà tra i Paesi Ue.
A fronte di un quadro così auto-esplicativo dell’errore compiuto, oggi la Bonino ci propone di continuare su questa rotta, anzi di accelerarla.
In sintesi questa la ricetta “salva-Italia” dei radicali: meno tasse sul lavoro a beneficio delle aziende, da compensare con un aumento dell’aliquota Iva che in proporzione sarebbero proprio i meno abbienti a pagare maggiormente. Un sistema fiscale regressivo quindi e iniquo, a vantaggio di pochi e a carico di molti.
Prosegue poi la ricetta liberista con la privatizzazione di tutte le imprese pubbliche che operano in mercati concorrenziali, quindi trasporti locali in primis, secondo la sempreverde idea che il pubblico sia inefficiente e il privato invece virtuoso: è di tutta evidenza che i continui tagli alla spesa pubblica rendono di fatto impossibile un servizio pubblico efficiente, aprendo quindi la strada all’intervento salvifico del privato che massimerà il proprio profitto a spese dell’intera comunità.
La retorica della “famiglia Italia” che troppo indebitata deve evitare di contrarre nuovi debiti, cavallo di battaglia della Bonino in questi giorni, non tiene in alcuna considerazione quello che è il ruolo principale dello Stato affermato nella nostra Carta Costituzionale: garantire diritti irrinunciabili alla persona: in primis lavoro, istruzione, sanità.
Il modello proposto in questa visione ultraliberista di società è invece quello in cui lo Stato sia confinato esclusivamente a garantire lo smantellamento di quanto rimasto del welfare e a legiferare per assicurare la compressione salariale necessaria al mercantilismo selvaggio.
Sarebbe al contrario necessario, oggi più che mai, che il prossimo governo concordi in sede europea misure che superino radicalmente il pareggio di bilancio, dannoso per la sua natura pro-ciclica, per la sostenibilità dei debiti pubblici e intimamente contraddittorio con gli obiettivi costituzionali di dignità del lavoro e welfare.
Va inoltre introdotto un sistema di vigilanza, affianco alla vigilanza sul vincolo del 3% nel rapporto tra deficit di bilancio pubblico e Pil, su una variabile di enorme rilevanza in un’area valutaria comune ovvero il saldo commerciale (esportazioni meno importazioni) che non dovrebbe eccedere il 6% in rapporto al PIL a pena di apertura di procedura di infrazione.
Gli aggiustamenti dovranno essere a carico del Paese con surplus eccessivo: ciò vuol dire, tradotto in altri termini, che la Germania deve innalzare le retribuzioni dei suoi lavoratori invece di imporre il taglio alle retribuzioni degli altri.
I surplus commerciali tedeschi dell’8-9% del Pil sono colpi devastanti sulle prospettive dell’eurozona e sulle condizioni del lavoro e del welfare, di gran lunga più gravi degli sconfinamenti del deficit dei bilanci pubblici. Alcune Direttive come la Bolkestein e quella sui cosiddetti “lavoratori dislocati” andrebbero totalmente riscritte al fine di arginare il dumping sociale determinato dal principio della concorrenza e del “Paese di origine”.
Quello cioè che veramente serve oggi al Paese non è certo un’ulteriore dose di questa Europa, ma invece una rinnovata attenzione a politiche sociali che tutelino i più deboli e aggrediscano le disuguaglianze. Solo così potrà tornare in vigore il sogno di un’Europa unita, sogno che oggi più che mai rischia di infrangersi.