Politici: Essere come tutti?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Alfredo Morganti
Fonte: facebook

di Alfredo Morganti – 12 settembre 2014

Insomma, su Facebook almeno, le cose vanno così. Renzi dice che i magistrati fanno troppe ferie? E allora partono subito gragnuole di post e commenti sui magistrati fannulloni, sempre in ferie, ecc. Commenti scritti, magari, da chi non ne sa nulla e scrive solo per sentito dire o per sentito rottamare. Saviano attacca Renzi dalle colonne dell’Espresso? Bene, anzi male. C’è subito quello che interpreta a modo suo certi stralci dell’intervento di Saviano, e immediatamente una schiera di schifati detrattori del giornalista lo insultano a spron battuto. Pena cancellare il commento a seguito di una rilettura più attenta delle frasi incriminate. Ovviamente pochi hanno letto l’intervento dell’autore di Gomorra, ai più basta il pessimo suntino dell’avanguardista che ha aperto la polemica. E l’omo feisbucchiano campa. Renzi dice: tagli agli sprechi anche sulla sanità! E giù scariche di commenti favorevoli od osannanti da parte dei falangisti di turno. Indignazione a iosa, senza che molti ne sappiano davvero granché su come vadano le cose negli ospedali e nelle ASL. Parlano da esperti, ma ce ne fosse uno che dica sensatamente: si facciano tagli, d’accordo, ma i soldi risparmiati restino nel comparto sanità! Nessuno. Solo grida sdegnate. Solo rigore. Solo arruffapopoli. Se Renzi avesse invece detto: nessun taglio! (come aveva detto ad agosto, mi pare), allora la schiera di cui sopra avrebbe gridato: ecco un uomo di sinistra, ecco colui che salva i poveri malati, altro che Bersani o D’Alema! Renzi ha fatto il patto del Nazareno? Bene, giusto, serve l’accordo con l’opposizione! Il patto magari è pure sull’economia? Certo, giusto, c’è bisogno di tutti per salvare il nostro Paese (e giù l’inno nazionale). Se non avesse sottoscritto il patto? Ben fatto, non ci si deve accordare con l’avversario! Insomma: comportamenti che rasentano le logiche del caro e vecchio Comintern. E che la rete certifica, diffone, propaga, incoraggia. Come quando vieni aggredito e ti urlano nei commenti ‘energumo’! Così.

C’è un tale livore in giro che è considerato ‘livore’ anche la critica argomentata, pacata e comunque legittima (e vedi ’mpo!), mentre il successivo insulto, o lo sdegno, o la frase ‘nemmeno ti commento’ (perché magari gli fai pure schifo a livello intellettuale) quello no, quello non è livore, quello è incoraggiamento al dissenso come risorsa di tutti! Quella che vedo, in sostanza, è un’onda di conformismo che si innalza e pervade tutto. E spinge le persone a comportamenti massificati, a ripetere le cose che già tutti ripetono, a sentire il tepore della propria poltrona ben più importante che non la freschezza della propria mente, a percepire il senso del potere come inebriante, a scegliere una sorta di austerity del cervello. Perché è così. La comunicazione non insegna lo ‘scatto’, la deviazione, l’innovazione. La comunicazione applicata alla politica insegna ad agire allineati e coperti sotto il claim o l’hashtag del momento, dando l’illusione di un’unità di fondo, di una compattezza che esclude necessariamente il dibattito e la critica, che invece spingerebbero alla frammentazione. Si dice: bisogna cercare affinità con l’elettorato, anche al livello più basso, anche al livello meno nobile. Impera l’antipolitica? Si è antipolitici. L’opinione pubblica è disgustata dai sindacati? E allora pure noi. Monta un vento di centro? Tutti al centro. La sinistra è giudicata finita? E allora che finisca del tutto! I partiti hanno fatto il loro tempo? E giù contro i partiti. Si dice: è perché dobbiamo farci capire da tutti, dobbiamo parlare il linguaggio di tutti, dobbiamo essere come TUTTI. Io dico che il giorno in cui tutti saranno come tutti, quel giorno sarà davvero il momento di attaccare la politica al chiodo. Oppure, al contrario, di far sentire il peso anticonformista della propria opinione. Che non vuol dire anarchismo del pensiero. Ma solo il bisogno di sentirsi parte di un collettivo dove la discussione non è rumore di fondo, ma uno dei modi della pratica. E dove la politica adotta la comunicazione come strumento, non viceversa.

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