Il Porco, il governo e l’Euro

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Jacques Sapir
Fonte: russeurope.hypotheses.org
Url fonte: http://russeurope.hypotheses.org/4217

di  Jacques Sapir – 18 agosto 2015

La crisi che conosce il settore agricolo in Francia è solo un aspetto di una crisi più generale che non riguarda solo una parte del settore agricolo, ma anche piccole e medie imprese tra loro collegate. Se questa crisi ha espressamente dimensioni “agricole”, riflette anche i problemi che provocano l’euro e l’Unione europea nell’economia francese.

La crisi del settore suino sta diventando emblematica perché mette insieme due elementi molto specifici della cultura contadina francese ed elementi di concorrenza internazionale (soprattutto con la Germania, la Spagna e Danimarca). Le cause immediate di questa crisi sono in realtà molteplici: ci sono le “contro-sanzioni” prese dalla Russia in risposta alle sanzioni contro le aziende russe da parte dei paesi dell’Unione Europea, il consumo stagnante della carne di Maiale in Francia, ma anche problemi specifici di competitività delle aziende francesi. Questi problemi meritano la nostra attenzione.
Le aziende agricole francesi non sono redditizie ai prezzi praticati dalla Germania, Danimarca e Spagna per diversi motivi. C’è prima di tutto un problema generale del settore suino, che è in parte a causa delle dimensioni delle aziende agricole, ma anche (e soprattutto) per l’uso sistematico in Germania di “lavoratori distaccati” che vengono pagati (in salario diretto come indiretto) ben al di sotto degli standard francesi. Subito dopo c’è il problema della dimensione delle aziende agricole, la cui misura è in parte limitata dalla legislazione, la legislazione che è stata adottata a causa dell’inquinamento che provoca allevamenti di suini. Il letame del maiale è una delle principali cause di inquinamento da nitrati e delle sue conseguenze (lo sviluppo di alghe verdi sulla costa bretone). La legge obbliga quindi all’operatore di commisurare il numero di ani-mali di aziende a un’area su cui diffondere il letame. La legislazione francese non è però la più restrittiva. La Legislazione danese è anche molto severa. Un altro motivo per la dimensione “moderata” delle aziende agricole francesi è l’argomento di “qualità della vita” degli animali. Ma qui, se da alcune aziende, gli animali sono allevati all’aperto, in altri, le condizioni non sembrano molto diverse da “allevamenti industriali” che esistono in Germania e Spagna.

Noi prenderemo in considerazione il caso della Danimarca come specifico. L’agricoltura danese si è specializzata nel settore suino dalla fine del XIX secolo ed esporta i suoi prodotti in maniera massiccia alla Gran Bretagna, ma anche in molti altri paesi. Il buon funzionamento di questo settore dell’agricoltura è riconosciuto e le norme sono almeno altrettanto rigorose come in Francia. E’ certo che gli agricoltori francesi devono imparare dai loro colleghi danesi. Ma non è la Danimarca, che è la causa della crisi in Francia. La competizione della concorrenza tedesca e spagnola sono molto più efficaci. Essi si concentrano su una questione di costi.

Socopa-Bigard, COOPERL e le contraddizioni del governo francese

La crisi del settore francese ha assunto una nuova dimensione quando due princi-pali trasformatori francesi, Bigard-Socopa e aziende COOPERL hanno deciso di boicottare il mercato Plérin, i cui prezzi dovevano servire come riferimento. Il governo francese, che si trova ad affrontare la crisi strisciante nel settore da molti mesi aveva deciso, d’accordo con le altre parti interessate, di aumentare i prezzi di 1,25 € al kg a 1,40 kg. Tuttavia, le due società che hanno rotto l’accordo sostengono che non possono essere competitivi a questo prezzo, quando la carne di maiale tedesco vende per 1,18 euro e 1,23 euro al kg. Il ritiro di queste due società dal mercato ha provocato la sua chiusura e messa in pericolo di molte aziende agricole. La riapertura di questo mercato martedì 18 Agosto, ha determinato una diminuzione dei prezzi, e una parte significativa della produzione è rimasta invenduta.

Qui si nota una contraddizione nella politica del governo. Il ministro dell’Agricoltura chiede un “dialogo” per aumentare i prezzi. Tecnicamente, si tratta di un accordo di cartello, vietato dalla legislazione europea. L’accordo implica che i grandi giocatori siano d’accordo. Se due giocatori, che rappresentano il 30% del mercato rompono l’accordo, non si può non tenerne conto. Ma i mezzi del governo per costringere i giocatori a comprare carne di maiale a 1,40 euro al kg, quando possono consegnare in Germania a 1,23 euro al kg, in media, sono molto limitati. Da qui la procrastinazione Le Foll, che sa che se usa la coercizione, procura la censura da Bruxelles. La differenza di prezzo del 14% (che è una differenza economicamente importante) è dovuto in gran parte non solo dalle dimensioni delle aziende tedesche (e spagnole), ma anche con l’uso di manodopera a molto buon mercato, che ammonta a un travestito dumping sociale. A questo livello, non esistono soluzioni. Se il governo prende misure coercitive, si trova in contraddizione con le norme dell’Unione europea. Se lascia le “forze del mercato” giocare questa “legge” necessariamente beneficiare dei sistemi produttivi che non sono necessariamente più efficienti del sistema francese, ma che si av-vantaggiano per l’uso di manodopera a basso costo costo, o standard di qualità più bassi, o a volte entrambe le cose.

La Colpa è l’Euro?

Ora immaginate che i paesi della zona euro hanno mantenuto le loro valute nazionali. La differenza tra il marco e il franco sarebbe circa il 20% al 25%. Questo significa che se il maiale è stato acquistato in Francia a 1.40 franchi il maiale tedesco sarebbe 1,48 franchi a parità. Anche supponendo che il prezzo del cibo fosse più alto, non ci sarebbe quasi diffrenza a causa del cambiamento dei tassi di cambio tra il maiale maiale tedesco e francese.

Si potrebbe anche immaginare che, nel quadro del partenariato euromediterraneo, si applicano esattamente le stesse regole, sia sociali che ambientali, Francia e Germania. Questo è ciò che accadrebbe se avessimo costituito un unico paese. Ma sappiamo che la Germania non è pronta a rinunciare alla sua legislazione di sicurezza sociale, o anche ad una serie di norme ambientali. In queste condizioni, la “legge del mercato” è in grado di produrre solo i disordini che vediamo. Perché la concorrenza esige di essere “libera” ed è falsata da distorsioni normative, ma anche dalle situazioni diverse tra i paesi, si chiama “non distorta”, e in questo caso non è gratuito e comprende meccanismi di compensazione per correggere proprio queste distorsioni. Ma l’idea di una “concorrenza libera e non distorta” è una contraddizione di termini. Tuttavia è su questo concetto che si basa in gran parte il “mercato unico” europeo.

Quello che abbiamo dimostrato con il maiale vale per il manzo, pollame e latte. Nella misura in cui l’attività agricola è sempre più integrata in una catena di elaborazione, differenze normative, situazioni che influenzeranno sempre più sul costo finale del prodotto. Diciamo che questo è quello che è successo in Fran-cia, anche quando i mercati regionali erano in concorrenza tra di loro con la ferrovia. Questo è senza dubbio vero. Tuttavia, sono stati sviluppati meccanismi di compensazione, se l’elaborazione sussidi agricoli (ed è vero che facevamo crescere il grano sopra la montagna quando era ancora il caso nel XIX secolo) o meccanismi di sostegno dei prezzi delle commodity, come tra il Grain Board (ex grano Office national interprofessionnel) istituito sotto il governo del Fronte Popolare.

Un discorso contraddittorio

Nel frattempo, è chiaro che il governo è un discorso profondamente contraddittoria. Da un lato, essa chiede il «French consumare”, che è appunto il discorso del Fronte Nazionale su questo punto. D’altra parte, non è il mezzo, in particolare nel regolamento, per l’etichettatura dei prodotti in modo che il francese può sapere con certezza per quanto riguarda la vera origine dei prodotti che consumano. Lo fa non perché è impegnato in una logica di negoziati, sia nell’Unione europea o in parte al di fuori del quadro trattato UE (come il famoso TAFTA con gli Stati Uniti), che coinvolgono in altrimenti i c’è una banalizzazione della vera origine dei prodotti.

Questi discorsi contraddittori non possono essere ripetuti a lungo. Tra la logica di “grande mercato”, che implica una standardizzazione dei prodotti a scapito delle condizioni di produzione di questi e la logica più controllata dell’elaborazione dei prodotti agricoli, si sceglierà. Si potrebbe pensare che la scelta del governo è in realtà fatta, e questa scelta va contro gli interessi dei produttori e quelli dei consumatori. Da questo punto di vista, il ruolo dell’euro è indiscutibile perché organizza una falsa omogeneità (per il prezzo) e costringe la concorrenza tra prodotti che hanno costi di produzione e qualità diverse, che sono in realtà derivati dalla produzione in condizioni molto diverse. Dietro e sotto, la crisi del settore agricolo e zootecnico, troviamo il ruolo molto per-verso dell’euro.

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