Proviamo a rimetterci in moto dopo la sconfitta?

per Gian Franco Ferraris
Autore originale del testo: Lanfranco Turci

di Lanfranco Turci – 8 marzo 2018

Il quadro che esce dal voto è quello di una geografia politica in gran parte nuova, di un mondo sconvolto di cui non possediamo le mappe. Noi ci siamo dentro come una piccola pattuglia politicamente sconfitta, ma convinta di avere condotto una battaglia in cui abbiamo dato tutti moralmente il massimo. E questo è un patrimonio che non possiamo concederci il lusso di disperdere, perché nella campagna elettorale si sono davvero fusi con un impegno generoso i militanti che venivano dalle tre componenti di Liberi e Uguali. Con questi compagni dovremo costruire un nuovo soggetto politico.
Di fronte a una sconfitta elettorale di questa portata andare a cercare quelle che Riccardo Achilli, in un recente post,chiama le spiegazioni residuali, è un esercizio di scarsa utilità. Penso ai limiti comunicativi di Grasso, penso a come abbiamo accettato, sotto l’urgenza dei tempi, modi di decisione della leadership e delle candidature tali da far invidia ai 5stelle, penso a come abbiamo accettato che il programma fosse vago su temi decisivi come la sicurezza, la globalizzazione e l’Europa. Certo! ci sono certo aspetti anche più importanti: abbiamo visto che con l’arrivo di Mdp si assottigliava l’area di confine che ci separava dal Pd, abbiamo sofferto l’oscillazione periodica di Bersani e dei rappresentanti più autorevoli di MDP verso il centro-sinistra, almeno quello delle mitiche origini uliviste. Dunque eravamo consapevoli che nell’accordo con MDP c’era un prezzo evidente da pagare di fronte alla loro troppo recente rottura col PD e alla maggior forza organizzativa che riuscivano a mettere in campo e che vediamo oggi tradotta nei numeri e nei nomi degli eletti nel Parlamento. Ma nonostante questo abbiamo deciso di impegnarci con tutte le nostre forze e oggi sarebbe immorale scaricare su altri il peso della sconfitta. E aggiungo che da soli, come Sinistra Italiana non eravamo in grado di andare da nessuna parte e che proprio sui punti nevralgici della sicurezza, della immigrazione e dell’Europa avevamo in casa le stesse ambiguità e divisioni. Il vero problema è che ci aspettavamo di più, molto di più, almeno dall’area degli elettori delusi del Pd, quelli che Bersani voleva andare a recuperare nel bosco e che lusingava in nome delle antiche glorie dei governi del primo Ulivo.
Questa è la sorpresa negativa e su questo bisogna interrogarsi!
La risposta più convincente è quella che vede nel risultato del 4 marzo un voto anti-establishment, o meglio, in una accezione più grande, un voto antisistema. Questa spinta travolgente ha investito anche noi. Come ha scritto efficacemente Riccardo Achilli “LeU è stata percepita come una forza di “sistema”. Rimanendo dentro un bacino d’acqua che credeva rassicurante, LeU ha fatto in realtà la fine dei tonni che, seguendo i compagni, finiscono intrappolati nella tonnara, ed ammazzati a randellate”.
Eppure, come scrive ancora Riccardo nelle prime righe del suo post, eravamo in una situazione di crisi sociale e politica tale da farla ritenere, secondo nostri antichi modi di ragionare, il quadro ideale per la rinascita elettorale di una sinistra socialista e democratica. “La crisi del partito che, indegnamente, ha ereditato la tradizione e la struttura del vecchio Pci, sotto la guida spericolata di Renzi, le condizioni sociali sempre più lacerate del Paese, dopo dieci anni di ricette neoliberiste, con crescita di diseguaglianze e precarietà, avanzamenti nell’integrazione europea sempre più imposti in forma dirigistica, un trend europeo di ricostruzione diffusa delle sinistre (in Francia con Mélenchon, in Portogallo, in Gran Bretagna), tutte queste condizioni congiuravano in favore di una rinascita elettorale, sebbene parziale, della sinistra socialista e democratica anche da noi.”
Perché i nostri antichi modi di ragionare non hanno funzionato? Perché il rilancio dei valori della sinistra non ha riscaldato gli animi? Perché dire più scuola, più lavoro, più diritti non è bastato?
E ora, per dare uno sviluppo a Liberi e Uguali, potrà bastare riproporre i temi di fondo con maggiore rigore: dall’euro al ruolo dell’Italia nella UE, dalla politica migratoria alle politiche industriali e del lavoro?
Questi sono i temi che il Network per il socialismo europeo e l’area di Fassina hanno proposto con più insistenza e con scarso successo prima in Sinistra Italiana e poi in LeU. Dovremo riproporli sfidando tabù e luoghi comuni consolidati, consapevoli che non siamo gli unici ad avvertirne l’urgenza e il carattere dirimente. Dovremo riproporli rivendicando il carattere socialista della forza politica che vogliamo costruire. E dovremo farlo per dare credibilità agli obiettivi che abbiamo presentato in campagna elettorale.
Ma dobbiamo sapere che le ragioni ideali del socialismo e l’analisi più raffinata dei conflitti sociali e delle modificazioni del mondo del lavoro non bastano più a tracciarci la rotta in questo mondo. Occorre che in qualche modo anche noi ci immergiamo in questo fluido che chiamiamo populista, che ne cogliamo le pulsioni che sono insieme di richiesta di sovversione e di protezione. Dovremo farlo con intelligenza vigile, ma abbandonando allo stesso tempo il senso di sufficienza di chi ritiene di essere armato di una sapienza superiore. E senza paura di forti soluzioni di continuità, perché siamo entrati in una fase di guerra di movimento!
P.S. Le soluzioni di continuità riguardano anche il gruppo dirigente

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