Fonte: Lucia Del Grosso blog
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di Lucia Del Grosso – 30 giugno 2015
Io non sono una fan dei referendum. Li considero l’ultima delle opzioni. Ma proprio per questo non biasimo Tsipras: la vicenda greca è pervenuta appunto a quel limite.
Provo a spiegarmi:
1) Nei referendum l’alternativa è secca, o Sì o NO. Non Si’, ma anche un pezzettivo di ragioni di NO o viceversa. Chi vince vince tutto e chi perde perde tutto. Significa che rimarranno sul campo morti e feriti.
2) Se la posta è così alta allora lo schema è: quando è guerra è guerra. E allora non valgono più le argomentazioni, ma tutto si gioca sulla mozione degli affetti. E’ facile che si parli alla pancia piuttosto che alla testa e al cuore, perché il messaggio arriva più diretto.
3) Non è vero che il referendum esprime la volontà del popolo. Accade solo se una delle due proposte viene approvata con una maggioranza bulgara. Ma in tal caso perché indire un referendum se la scelta giusta emergeva solo annusando l’opinione pubblica? Al contrario un referendum si può vincere con il 50% più un voto. Non rimarrà scontenta solo un’esigua minoranza, ricucire lo strappo potrebbe risultare impossibile.
4) E’ la mediazione il metodo che realizza la volontà popolare perché fa sintesi delle ragioni di tutti i pezzi di società. Ma nei referendum non c’è spazio per la mediazione.
Tuttavia ci sono momenti in cui lo scontro è alto e gli spazi di mediazione si sono esauriti tutti. Come nel caso della vicenda greca, dove non si tratta più di limare aliquote IVA o percentuali di avanzo primario.
C’è in gioco il futuro di un popolo: se rassegnarsi ad un’agonia da austerità che comunque lo condurrà alla morte, o affrontare il rischio di una catastrofe, ma riprendendosi il destino nelle proprie mani.
Non c’è molto da spiegare, da argomentare: da una parte c’è l’orgoglio di un popolo, dall’altra c’è la paura di gente stremata.
E infatti ormai l’evidenza dei fatti e la razionalità hanno lasciato il posto alla propaganda ed alla manipolazione delle informazioni, come avviene sempre quando si apre la deriva della mozione degli affetti, dell’istigazione a distruggere il nemico.
Girano balle spaziali, come quella che dipinge i lavoratori greci pigri e apatici, quindi non meritevoli del nostro aiuto. che lavorano poco e che quindi non possiamo più mantenere. Invece i dati Ocse ci dicono che Germania e Francia sono i Paesi che più di tutti hanno ridotto gli orari annui di lavoro pro capite, passati da 1800 del 1990 alle 1400 ore degli ultimi anni. Anche Norvegia ed Olanda hanno orari annui di 1400 ore, seguiti da Danimarca con 1500 ore, Svezia e Finlandia con 1600 ore, Austria con 1700 ore. Poi ci sono Italia, Grecia e Spagna che hanno più lunghi orari di lavoro, che erano, nelle ultime rivelazioni Ocse, di 2034 ore per la Grecia, 1752 per l´Italia, 1686 per la Spagna.
O l’altra falsità sesquipedale sui bilanci greci taroccati. Dice onfatti Emiliano Brancaccio che “Eurostat ha stimato che tra il 1999 e il 2001 i «trucchi contabili» della Grecia per entrare nell’euro ammontarono a meno di 10 miliardi. Non è una gran cifra se consideriamo che da quando la Grecia nel 2010 si è sottoposta ai programmi della Troika, sono stati effettuati tagli alla spesa pubblica per un ammontare complessivo di ben 106 miliardi. Insomma, i famigerati «trucchi» per entrare nell’euro non rappresentano nemmeno il dieci percento degli enormi sacrifici compiuti dai greci per tentare di restarci, dentro la moneta unica”.
Ecco, quando lo scontro arriva a questo livello scatta anche in una antireferendaria come me il richiamo partigiano: o si sta da una parte o dall’altra, non ci sono vie di mezzo.
E per me è naturale stare dalla parte di Tsipras, che incita all’orgoglio e invita a vincere la paura. Ed è in malafede chi lo accusa di delegare la sua decisione al popolo. O si vuole sostenere che anche i nostri Padri Costituenti erano in confusione perché hanno lasciato decidere gli Italiani tra Monarchia e Repubblica? O forse qualcuno pensa che avessero in mente una democrazia referendaria? La questione era che si trattava di decidere del destino dell’Italia che si biforcava tra due distinte e opposte opzioni: non era possibile mediare tra tenersi i Savoia al potere o cacciarli dall’Italia.
Ora in Grecia, come allora in Italia. O si sta da una parte o si sta dall’altra. Non esistono terre di mezzo. Quando è guerra è guerra, come si dice.